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Reato difficile da provare, filtro dei pm  

di Ivan Cimmarusti – Il Sole 24 Ore – 24 Maggio 2019
Roma Negli ambienti giudiziari l’ abuso d’ ufficio è definito la corruzione nella quale non si è riusciti a dimostrare la tangente. Un reato particolarmente difficile da provare, perché c’ è un atto illegittimo del pubblico ufficiale che crea un vantaggio ad un terzo, ma non c’ è una ricompensa. Un illecito la cui applicazione risulta, per questo, sempre più stringente: le procure si stanno dotando di linee guida per una valutazione più rigorosa del dolo intenzionale, cioè quella volontà del pubblico ufficiale di creare un beneficio patrimoniale o un danno a un altro soggetto.
L’ aspetto è di non poco conto, perché permette agli uffici giudiziari di non far andare in assoluzione la maggior parte dei processi per violazione dell’ articolo 323 del codice penale. Come il caso della Procura della Repubblica di Roma – la più grande d’ Europa, con 100 pm – che dal 2016 ha deliberato una serie di direttive interne per rendere più attenta l’ analisi sull’ applicazione dell’ abuso d’ ufficio. L’ idea è nata dopo che il pool dei reati contro la Pa – coordinato dal procuratore aggiunto Paolo Ielo – ha estratto i dati relativi ai fascicoli definiti nel 2016.
Numeri desolanti: il 70% dei processi per abuso d’ ufficio era finito in primo grado con una assoluzione. A ben vedere ciò che non tornava era proprio l’ analisi del dolo intenzionale. In molti casi era dimostrato il compimento di atti illeciti, ma non l’ intenzione di creare un vantaggio specifico. Ma andiamo con ordine. Stando al testo dell’ articolo 323 cp, «il pubblico ufficiale» che «nello svolgimento delle sue funzioni» procura un vantaggio patrimoniale a sé o ad altri è punito con la reclusione da uno a quattro anni. Per questo reato è prevista la violazione di una norma da parte del pubblico ufficiale e un dolo intenzionale, ossia l’ intenzione di creare un vantaggio. Più di una volta gli investigatori hanno trovato atti ritenuti illegittimi ma senza dolo intenzionale. Un caso specifico è l’ archiviazione per la sindaca di Roma Virginia Raggi, in merito alle nomine di Renato Marra (fratello del suo ex fedelissimo Raffaele) alla direzione Turismo del Campidoglio, ma anche dell’ ex capo di gabinetto Carlo Raineri.
Atti amministrativi per i quali la prima cittadina pentastellata era finita nel registro degli indagati con l’ accusa di abuso d’ ufficio. Tuttavia per i magistrati quelle nomine non presentavano un dolo intenzionale. Stessa cosa per il sindaco di Milano Giuseppe Sala, indagato per abuso d’ ufficio ma poi prosciolto proprio per mancanza di quella forma di dolo. In altri casi l’ atto ritenuto illecito crea un generale vantaggio patrimoniale, non potendo così provare «l’ intenzione» del pubblico ufficiale a creare un beneficio per degli indagati specifici. Per questo nelle procure l’ abuso d’ ufficio è ritenuto un «reato difficile da dimostrare», come spiega una qualificata fonte. Le deleghe alla pg risultano ormai ancor più incisive. In presenza di un atto illecito, infatti, si tende a cercare una eventuale ricompensa, come una tangente.

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