22/05/2019 – Furbetti del cartellino, licenziamento d’obbligo  

Furbetti del cartellino, licenziamento d’obbligo  

di LUIGI OLIVERI – Italia Oggi – 21 Maggio 2019
Una presunta buona fede del furbetto del cartellino non può essere fonte di annullamento del licenziamento per giusta causa. La Corte d’ appello di Genova, con la sentenza 250/2019 pubblicata il 20/5/2019 respinge su tutta la linea il ricorso presentato da uno dei furbetti del cartellino di San Remo, che aveva chiesto la revisione della sentenza di primo grado, con la quale era già stata respinta la domanda di annullamento del licenziamento. La corte di appello non dà spazio alcuno alle ragioni difensive, che oggettivamente per molti versi appaiono artificiose e insostenibili. In particolare, appunto, il passaggio difensivo secondo il quale la sanzione del licenziamento risulterebbe eccessiva, perché il comune non avrebbe tenuto conto della circostanza che il dipendente era convinto della sufficienza di un consenso verbale del proprio responsabile all’ allontanamento dall’ ufficio.
I giudici sono trancianti: il dipendente essendo alle dipendenze da molti anni dal comune non poteva non essere a conoscenza dell’ obbligo, imposto da sempre da leggi e contratti collettivi, di timbrare il cartellino presenze sia in entrata che in uscita. Inoltre, la violazione contestata dal comune non riguarda tanto la circostanza dell’ omessa timbratura quanto l’ elemento ancor più grave della fraudolenta alterazione della presenza in servizio. Infatti, a carico del dipendente interessato era stato rilevato di aver manomesso le timbrature, facendo risultate entrate ed uscite dall’ ufficio in orari diversi da quelli effettivi. Né ha retto lo spunto difensivo alla «situazione di stress» connessa alla necessità di prestare assistenza alla madre anziana. La sentenza evidenzia come le indagini abbiano comprovato che il dipendente licenziato fosse stato visto ripetutamente rientrare in ufficio con i sacchetti della spesa.
La Corte d’ appello non manca, inoltre, di rilevare che i fatti addebitati concernono circa 50 alterazioni delle timbrature, per mezzo delle quali, per altro, il dipendente si era accreditato ore di straordinario illegittimamente. Ma non basta: ad escludere ogni buona fede è la circostanza che il licenziato ha anche timbrato più volte per i colleghi, ricevendo in cambio analoghi indebiti favori: il che è ulteriore prova del comportamento certamente fraudolento, che, secondo anche insegnamenti della Cassazione, impongono l’ adozione della misura del licenziamento, non essendo consentito dalla legge adottare sanzioni di natura «conservativa», come la sospensione dal servizio. La Corte d’ appello ha rigettato anche altri rilievi di presunta nullità del licenziamento, quali, tra tutti presunte incompatibilità tra ruolo di responsabile dell’ ufficio dei procedimenti disciplinari e segretario generale.
Il comune di San Remo a suo tempo affidò alla segretaria la responsabilità dei procedimenti disciplinari: la Corte d’ appello osserva che l’ Anac con una nota del 6 novembre 2016 ha confermato la correttezza dell’ incarico. Allo stesso modo, nonostante l’ ufficio per i procedimenti disciplinari fosse monocratico, costituito solo dal segretario generale del comune, nulla gli vietava, come effettivamente accaduto, di acquisire da soggetti terzi, in particolare gli agenti di polizia giudiziaria competenti alle indagini penali scattate a suo tempo, elementi utili per l’ istruttoria: questo, a differenza di quanto reclamato in appello, non aveva modificato l’ assetto monocratico dell’ ufficio, né invalidato il procedimento.
Del tutto privo di fondamento, ancora, sono state considerate le richieste di pronuncia di nullità per violazione del principio del giudice precostituito per legge, applicabile ovviamente solo ai procedimenti giurisdizionali, ai quali non appartiene certo il procedimento disciplinare. Né migliore fortuna hanno avuto le doglianze legate alla presunta mancata qualificazione del soggetto agente nelle lettere di comunicazione degli atti del procedimento e del licenziamento: le note inviate al dipendente licenziato erano scritte su carta intestata del comune e ricondotte alla competenza del segretario generale, incaricato anche quale dirigente del personale, quindi senza alcun dubbio riproducenti una volontà da ricondurre a quella del comune quale datore di lavoro.

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