27/02/2019 – Musa, quell’uom di multiforme ingegno dimmi, che molto errò…..

Musa, quell’uom di multiforme ingegno dimmi, che molto errò…..
Ti prende un raro senso di smarrimento nello scorrere la sentenza della Corte Costituzionale n. 23/2019. La famosa decisione che, come era facile prevedere, ha bollinato come costituzionalmente legittimo lo spoil system per i segretari comunali.
Quanti seguono da tempo il dibattito che si era acceso in passato in questo forum, sa che chi scrive aveva pronosticato sin dall’inizio questo esito.
La battaglia contro lo spoil system, condotta nei termini velleitari e contraddittori con cui l’ha condotta l’Associazione Vighenzi, era destinata a sicura sconfitta.
 Gli archivi di questo forum sono testimoni di quanto vado affermando.
Qualcuno ora si consola sostenendo che la Corte avrebbe fissato dei punti fermi da cui si dovrebbe ripartire.
E’ invece, ripartita, non senza soddisfazione, UNSCP con la sua assurda teoria dell’apicale. Senza rendersi conto di quanto bruciante sia la sconfitta per la tutta la categoria, il documento dell’Unione non si perita di assumere alcuna cautela. Il suo tono trionfalistico è addirittura surreale. La sentenza, secondo il giudizio entusiasta dell’Unione, restituisce “l’immagine di una figura di assoluto rilievo”.
Beati loro! E’ ancora una volta evidente la frattura tra lo scoramento con cui la base ha accolto la sentenza della Corte ed i toni fastidiosamente soddisfatti di costoro.
Come si può esultare di una sentenza che comunque sancisce che solo per questa categoria di dirigenti pubblici, vale la regola dello spoil system? E le mille contraddizioni censite dalla stessa Corte?
Cosa ci consegna la sentenza della Consulta?
Come scrive, più realisticamente, il collega Vangi – Responsabile settore Segretari Comunali e Provinciali Confsal – Fenal , “resta la descrizione di una professione in perenne contraddizione con se stessa, avviluppata in un groviglio di funzioni, di non facile coordinamento e talora anche in radicale contraddizione”.
Lo scrive la Corte, ma preferisce non comprenderlo l’Unione: “Lo statuto burocratico e funzionale che lo caratterizza resta segnato da aspetti tra loro … dissonanti.”.
Ed il tentativo della Consulta di edulcorare questa evidente realtà (che tutti noi sperimentiamo quotidianamente sulla nostra pelle), tentando di dare ad intendere che questa “dissonanza” sarebbe solo “apparente” è più un espediente per tenere in piedi una baracca fatiscente che una solida argomentazione.
Come si può descrivere in maniera certosina l’intricato ed irrazionale assetto di una professione in cui finanche il rapporto di lavoro/di servizio resta scisso, se poi tutto viene liquidato come si trattasse non di dati reali ma di mera “apparenza”? Apparenza derivante da cosa? Cosa indurrebbe questo scarto tra rappresentazione e realtà? La Corte ovviamente si guarda bene dallo spiegarlo.
In verità, come ho scritto molte volte in questo forum (quando lo frequentavo con una certa assiduità), alla fine l’unica vera ratio che sembra sorreggere la “incoerente” decisione della Corte Costituzionale è riconducibile alla vecchia battuta di Totò che tante volte ho richiamato: “la serva serve”.
Non c’è nessuna altra logica: né lavoristica, né di principio se non questa.
Ecco: il segretario offre, a buon mercato, di supplire alle mille deficienze in cui affogano sempre più gli enti locali e lo fa adattandosi alle mille variabili che si riscontrano localmente.
Qui fai il direttore, lì la gestione, in altro comune fai il controllore, altrove un po’ questo, un po’ l’altro… venghino siori venghino, a prezzo modico si offre dirigente pubblico tutto fare!
Certo, la Consulta non scrive brutalmente “la serva serve” ma lo lascia intendere molto chiaramente. Anzi! Legittima lo sbilenco esistente, in barba a tutti i noti principi del diritto amministrativo (la tassatività, la nominatività, la tipicità, il principio della riserva di legge nella organizzazione degli uffici….) ed in barba alla stessa coerenza con la propria giurisprudenza (e sappiamo come la Corte coltivi un autentico “culto” dei propri precedenti).
Qui siamo oltre.
Siamo difronte ad un personaggio arlecchinesco, in cui le attribuzioni si sono stratificate, senza alcuna coerenza, nei decenni, secondo le contingenze del momento. Anzi! Ben vengano i “doppi incarichi”, le funzioni multiple, e sia santificato pure il fatto che “l’elenco dei compiti che possono essere affidati al segretario comunale sia “aperto”e perciò modellato anche sulle specifiche esigenze del Comune“.
Ecco, la pietra angolare: la serva serve, a dispetto di ogni diverso principio. Il “multiforme” che sconfina nel proteiforme più estemporaneo.
Tu segretario non sei titolare di un ruolo, di una funzione, di un fascio di attribuzioni ma devi servilmente adattarti alle “specifiche esigenze del Comune“. Comune che vai, segretario che trovi. E laddove il diritto amministrativo è, su tutti il diritto che disciplina rigorosamente l’uniformità dell’esercizio delle funzioni pubbliche, il segretario diventa l’eccezione che deroga alla regola. E non si tratta di una eccezione una tantum, circoscritta ad una materia o ad una fattispecie. Ma è essa stessa una eccezione senza regole e senza limiti.
Ed allora è inutile stare a badare troppo per il sottile, ogni argomento è buono. Così, in questa sentenza ciascuno può trovare qualche perla e qualche enunciato da portare a sostegno della propria tesi.
In un argomentare che non ha altro fine che coonestare l’esistente, quanto più esso risulti dissonante e zeppo di contraddizioni, non si bada neppure a qualche clamoroso sfrondone da matita rosso e blu.
E così capita di leggere nella ricostruzione della sentenza 23/2019 che “la giurisprudenza di legittimità e quella amministrativa sottolineano concordemente che il segretario comunale…. dipenda personalmente dal sindaco..”. Dipendenza “personale”?! Ma sono secoli che gli ordinamenti più evoluti non prevedono forme di “dipendenza personale” nel pubblico impiego! E quale sarebbe questa “giurisprudenza” che sottolinea “concordemente”?
Non meno sorprendente risulta l’attribuzione di un “controllo indipendente” al segretario comunale! Indipendente da chi? In Italia il requisito dell’indipendenza è vantato solo dalla magistratura (art. 104 cost.). Risulta addirittura provocatorio associare il concetto di indipendenza ad un organo proprio nel momento in cui lo si consegna definitivamente al regime di spoil system!
Non è quindi la saldezza dei principi; non è il nitore dei concetti e non è neppure il rigore delle argomentazioni a caratterizzare la decisione n. 23/2019. Del resto, consapevole dell’estrema debolezza del proprio impianto argomentativo, la sentenza si rifugia in un linguaggio rigorosamente “apofatico”.
Basta leggere le conclusioni: “la previsione della sua decadenza alla cessazione del mandato del sindaco non raggiunge la soglia oltre la quale vi sarebbe violazione dell’art. 97 Cost., non traducendosinell’automatica compromissione né dell’imparzialità dell’azione amministrativa, né della sua continuità“.
Questo modo apofatico tradisce chiaramente la difficoltà della Corte, che non se la sente di essere assertiva nelle sue affermazioni. Essa sembra quasi provar timore di quanto va sostenendo. Così, invece di parlare, come sarebbe naturale, di un “ragionevole punto di equilibrio“, nella consapevolezza di aver evidenziato a sufficienza le contraddizioni del sistema, essa si sente costretta a ripiegare su un più problematico: “non irragionevole punto di equilibrio“. Si nega per affermare, un tipico modo di argomentare difensivo.
La serva serve, dicevo. Il punto è questo. Non era lo spoil system la vera o la sola posta in gioco ma la tenuta del sistema degli enti locali, iper stressato (ed ormai alle corde) da decenni di cure finanziarie draconiane, di follia legislativa fuori controllo, di insensatezze adempimentali ormai sfuggite di mano.
In questo quadro da notte di sabba il segretario comunale rappresenta una sorta di obbligata chiave di volta su cui si scaricano tutte le spinte e le controspinte della malmessa costruzione locale. Se fosse stato espunto quell’istituto l’effetto deflagrante, a catena, sarebbe stato micidiale per la già problematica tenuta del mondo delle autonomie.
Si è preferito sacrificare i principi e la coerenza con la stessa giurisprudenza costituzionale; sì proprio quella della Corte, che aveva ritenuto il sistema delle spoglie una rara eccezione del nostro ordinamento, confinato a casi del tutto circoscritti, relativi a figure preposte alla stretta ed esclusiva collaborazione con i vertici politici delle amministrazioni. Alla fine è prevalsa una logica “opportunista”. E’ necessario che una sola categoria si sacrifichi per il bene dell’intero settore degli enti locali. Eccoci qui, definitivamente immolati alla tenuta del sistema. La serva serve, in saecula saeculorum. W la serva e chi la conservò!

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