25/02/2019 – Spoil system dei segretari comunali: un cambio di assetto della figura?

Spoil system dei segretari comunali: un cambio di assetto della figura?

Luigi Oliveri

La sentenza 23/2019 della Corte costituzionale appare sostanzialmente un infortunio della Consulta, affetta com’è da tante, troppe sviste di diritto ed anche di fatto, nonché da contraddizioni pesanti con precedenti e consolidate pronunce.

Sulle contraddizioni è sufficiente constatare il seguente prospetto di confronto con la sentenza 34/2010: da presupposti motivazionali sostanzialmente identici, la Consulta giunge a conclusioni totalmente opposte:

Sentenza Consulta 34/2010

Sentenza Consulta 23/2019

In secondo luogo, la nomina dei direttori generali delle Asl della Regione Calabria è subordinata al possesso di specifici requisiti di competenza e professionalità (art. 14, comma 3, della legge della Regione Calabria n. 11 del 2004), mentre quella del direttore generale dell’Arpacal è, oltre a ciò, anche preceduta da «avviso pubblico» (art. 11, comma 1, della legge della Regione Calabria n. 20 del 1999). Tali nomine, pertanto,presuppongono una forma di selezione che, per quanto non abbia natura concorsuale in senso stretto, è tuttavia comunque basata sull’apprezzamento oggettivo, ed eventualmente anche comparativo, delle qualità professionali e del merito. Essa, quindi,esclude che la scelta possa avvenire in base ad una mera valutazione soggettiva di consentaneità politica e personale fra nominante e nominato. Ciò, del resto, è strettamente collegato al tipo di funzioni che i titolari degli uffici pubblici in questione sono chiamati ad esercitare. Essi non collaborano direttamente al processo di formazione dell’indirizzo politico, ma ne devono garantire l’attuazione. A tal fine, non è però necessaria, da parte del funzionario, la condivisione degli orientamenti politici della persona fisica che riveste la carica politica o la fedeltà personale nei suoi confronti. Si richiede, invece, il rispetto del dovere di neutralità, che impone al funzionario, a prescindere dalle proprie personali convinzioni, la corretta e leale esecuzione delle direttive che provengono dall’organo politico, quale che sia il titolare pro tempore di quest’ultimo.

 

7. – Le disposizioni impugnate, come detto, dispongono la decadenza automatica di un ampio elenco di funzionari nominati, anche «previa selezione», nei nove mesi antecedenti la data delle elezioni per il rinnovo degli organi di indirizzo politico. A prescindere dalle circostanze che non è dato riscontrare alcuna oggettiva ragione dell’intervallo temporale preso in considerazione (9 mesi) e che la nomina del Presidente della Giunta regionale potrebbe non comportare un cambiamento di indirizzo politico, tali norme sono illegittime in quanto sottopongono all’identico regime di decadenza automatica non solo titolari di organi di vertice nominati intuitu personae dall’organo politico, ma anche soggetti che non possiedono l’uno o l’altro di tali requisiti e che sono scelti previa selezione avente ad oggetto le loro qualità professionali. In particolare, la disciplina censurata, nella parte in cui si applica al direttore generale di Asl e al direttore generale dell’Arpacal, è in contrasto con gli artt. 97 e 98 Cost., sotto molteplici profili.

 

Innanzitutto, il principio di buon andamento è leso in riferimento alla continuità dell’azione amministrativa, la quale risulta pregiudicata quando intervengano, come avvenuto nelle specifiche fattispecie oggetto dei giudizi a quibus, due mutamenti del titolare di un ufficio pubblico a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro. In secondo luogo, il principio di imparzialità amministrativa è violato quando le funzioni amministrative di esecuzione dell’indirizzo politico non sono affidate a funzionari neutrali, tenuti ad agire al servizio esclusivo della Nazione, ma a soggetti cui si richiede una specifica appartenenza politica, ovvero un rapporto personale di consentaneità con il titolare dell’organo politico. In terzo luogo, il carattere automatico della decadenza dall’incarico del funzionario, in occasione del rinnovo dell’organo politico, viola l’art. 97 Cost. sotto due aspetti: da un lato, lede il principio del giusto procedimento, perché esclude il diritto del funzionario di intervenire nel corso del procedimento che conduce alla sua rimozione e di conoscere la motivazione di tale decisione; dall’altro lato, pregiudica i principi di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, in base ai quali le decisioni relative alla rimozione dei funzionari incaricati della gestione amministrativa, così come quelle relative alla loro nomina, debbono essere fondate sulla valutazione oggettiva delle qualità e capacità professionali da essi dimostrate.L’illegittimità costituzionale della disciplina censurata risulta, infine, ulteriormente aggravata dalla circostanza che il regime di decadenza automatica viene applicato, in via transitoria, ad incarichi già in corso al momento nel quale essa è entrata in vigore (art. 1, comma 4, della legge della Regione Calabria n. 12 del 2005), come quelli che formano oggetto dei giudizi a quibus. In tal modo, la normativa impugnata non si limita a subordinare la permanenza nella carica del titolare ad un termine incerto, cioè il rinnovo dell’organo politico, ma produce automaticamente la cessazione di un incarico che è stato conferito senza la previsione di quel termine. Sotto questo specifico profilo, dunque, l’art. 1, comma 4, della legge della Regione Calabria n. 12 del 2005 viola anche il legittimo affidamento (art. 3 Cost.) che, in virtù dell’atto di nomina, i dirigenti dichiarati decaduti ai sensi della disposizione censurata hanno «riposto nella possibilità di portare a termine, nel tempo stabilito dalla legge, le funzioni loro conferite e, quindi, nella stabilità della posizione giuridica acquisita» (sentenza n. 236 del 2009).

Il dato, pur importante, non è tuttavia di univoco significato, come molti di quelli riferibili al segretario comunale, e trova immediato contraltare nel rilievo che apicalità e immediatezza di rapporto col vertice del Comune non richiedono necessariamente una sua personale adesione agli obbiettivi politico-amministrativi del sindaco. La scelta del segretario, infatti, pur fiduciaria e condotta intuitu personae, presuppone l’esame dei curricula di coloro che hanno manifestato interesse alla nomina e richiede quindi non solo la valutazione del possesso dei requisiti generalmente prescritti, ma anche la considerazione, eventualmente comparativa, delle pregresse esperienze tecniche, giuridiche e gestionali degli aspiranti.

Si tratta di competenze che presuppongono anche un ruolo attivo e propositivo del segretario comunale. Esse infatti gli consentono di coadiuvare e supportare sindaco e giunta nella fase preliminare della definizione dell’indirizzo politico-amministrativo e non possono quindi non influenzarla: non già nel senso di indicare o sostenere obbiettivi specifici, piuttosto nella direzione di mostrare se quegli obbiettivi possono essere legittimamente inclusi fra i risultati che gli organi di direzione politico-amministrativa intendono raggiungere, indicando anche, nel momento stesso in cui la decisione deve essere assunta, i percorsi preclusi, o anche solo resi più difficoltosi, dalla necessità di rispettare leggi, statuto e regolamenti.

 

Si è insomma in presenza di compiti la cui potenziale estensione non rende irragionevole la scelta legislativa, che permette al sindaco neoeletto di non servirsi necessariamente del segretario in carica.

 

 

In definitiva, la soluzione censurata dall’ordinanza di rimessione si presenta come riflesso di un non irragionevole punto di equilibrio tra le ragioni dell’autonomia degli enti locali, da una parte, e le esigenze di un controllo indipendente sulla loro attività, dall’altro. Da questo punto di vista, tenendo conto delle ricordate peculiarità delle funzioni del segretario comunale, la previsione della sua decadenza alla cessazione del mandato del sindaco non raggiunge la soglia oltre la quale vi sarebbe violazione dell’art. 97 Cost., non traducendosi nell’automatica compromissione né dell’imparzialità dell’azione amministrativa, né della sua continuità.

 

 

In quanto agli sviamenti interpretativi, questo passaggio della sentenza è molto più di un refuso, ma una vera e propria svista: “Innanzitutto, nei Comuni con popolazione inferiore ai centomila abitanti (art. 97, comma 4, lettera e, del d.lgs. n. 267 del 2000, che rinvia all’art. 108, comma 4, del medesimo d.lgs.), il segretario può essere nominato (anche) direttore generale. In tal caso, è chiamato a svolgere funzioni di attuazione degli indirizzi e degli obbiettivi stabiliti dagli organi di governo dell’ente, dovendone predisporre il piano dettagliato, e a lui rispondono, nell’esercizio delle loro attività, i dirigenti dell’ente. Ma anche laddove un direttore generale non vi sia, o comunque il segretario comunale non sia nominato tale, il d.lgs. n. 267 del 2000 richiede a quest’ultimo di sovrintendere allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti, coordinandone l’attività (art. 97, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000). Funzioni di gestione gli sono affidate, infine, quando sia nominato responsabile di servizio (art. 97, comma 4, lettera d, del d.lgs. n. 267 del 2000), ciò che accade particolarmente nei Comuni di piccole dimensioni, ove non vi è personale idoneo ad assumere compiti dirigenziali”.

E’ abbastanza clamoroso che una sentenza della Consulta àncori un proprio ragionamento, trascurando la normativa vigente, ai sensi della quale nei comuni con popolazione inferiore ai 100.000 abitanti la figura del direttore generale è stata soppressa dal 2009, con l’articolo 2, comma 186, lettera d), della legge 191/2009, modificato dall’art. 1, comma 1-quater, lett. d), della legge 42/2010.

Sta di fatto, comunque, che la sentenza 23/2019, qualunque siano le considerazioni sulla persuasività, fondatezza e condivisibilità delle sue argomentazioni, registra la situazione esistente, ritenendo che lo spoil system introdotto nel 1997 dalla riforma Bassanini non sia incostituzionale.

A tale conclusione, la Consulta giunge in particolare sulla base dell’analisi delle funzioni del segretario e specificamente delle funzioni “di proposta”. Scrive la sentenza: “il parere di regolarità tecnica su ogni proposta di deliberazione sottoposta a giunta e consiglio si configura quale intervento preliminare volto a sottolineare se e in che modo la proposta pone le corrette premesse per il raggiungimento dell’interesse pubblico volta a volta tutelato dalla legge. Si tratta di competenze che presuppongono anche un ruolo attivo e propositivo del segretario comunale. Esse infatti gli consentono di coadiuvare e supportare sindaco e giunta nella fase preliminare della definizione dell’indirizzo politico-amministrativo e non possono quindi non influenzarla: non già nel senso di indicare o sostenere obbiettivi specifici, piuttosto nella direzione di mostrare se quegli obbiettivi possono essere legittimamente inclusi fra i risultati che gli organi di direzione politico-amministrativa intendono raggiungere, indicando anche, nel momento stesso in cui la decisione deve essere assunta, i percorsi preclusi, o anche solo resi più difficoltosi, dalla necessità di rispettare leggi, statuto e regolamenti. Si è insomma in presenza di compiti la cui potenziale estensione non rende irragionevole la scelta legislativa, che permette al sindaco neoeletto di non servirsi necessariamente del segretario in carica”.

La Consulta evidenzia un nucleo di altre due tipologie di compiti:

a) quelli gestionali (incorrendo nel già visto errore di considerarli come sostanzialmente tipizzabili in tutti i comuni in cui può essere incaricato come direttore generale, comprendendo erroneamente quelli con meno di 100.000 abitanti);

b) quelli di controllo.

Dal riconoscimento della legittimità costituzionale dello spoil system che regola la attribuzione e decadenza degli incarichi dei segretari comunali, deriva una diversa considerazione, anche de iure condendo, della figura?

L’apparenza conduce a ritenere di sì. La Consulta, pur riconoscendo che la figura del segretario è del tutto peculiare data anche l’estrema estensione del ventaglio delle sue funzioni e competenze, molto eterogenee, evidentemente considera prevalente l’esercizio di quelle competenze che “non possono non influenzare” la determinazione dell’indirizzo politico. Questa prevalenza attrae, secondo la sentenza 23/2019, la figura del segretario verso quella dei massimi vertici ministeriali, quelli nei confronti dei quali, insegna l’indirizzo giurisprudenziale maturato dalla Consulta dalle sentenze 103 e 104 del 2007, lo spoil system è costituzionalmente legittimo, in funzione della personale adesione del vertice ministeriale all’orientamento politico del Ministro e della “consentaneità politica e personale fra nominante e nominato”.

Se così fosse, allora, ci sarebbe da rivedere necessariamente il ventaglio delle competenze dei segretari. Per eliminare radicalmente quelle “di controllo”, alla luce della chiara incompatibilità dell’esercizio della funzione di controllo attribuita a chi è consentaneo con il controllato.

Del resto, le funzioni di controllo o, comunque, di verifica della legittimità dei singoli provvedimenti, erano state eliminate dalla riforma Bassanini, coerentemente – è da dire – con l’introduzione dello spoil system, per essere in parte reintrodotte dalla stagione tra il 2011 e il 2012 nella quale una visione formale e rigoristica della PA è sfociata in una serie di riforme che hanno reintrodotto le funzioni di controllo (sia pure nella forma edulcorata ed inefficiente di quelli a campione, successivi e “collaborativi”) in capo al segretario, con l’aggiunta del ruolo ex lege di responsabile della prevenzione della corruzione.

La visione che appare proporre la Consulta appare rafforzare il ragionamento proposto dall’Anac con la delibera 2 ottobre 2018, n. 840, ove proprio in relazione alle funzioni di controllo si legge: “il RPCT, nell’esercizio delle proprie funzioni – secondo criteri di proporzionalità, ragionevolezza ed effettività, rispetto allo scopo delle orme richiamate – non possa svolgere controlli di legittimità o di merito su atti e provvedimenti adottati dall’amministrazione, né esprimersi sulla regolarità tecnica o contabile di tali atti, a pena di sconfinare nelle competenza dei soggetti a ciò preposti all’interno di ogni ente o amministrazione ovvero della magistratura”.

Dunque, la sentenza 23/2019 avvalora una chiave di lettura della deliberazione dell’Anac, secondo la quale il segretario non dovrebbe più svolgere funzioni di controllo?

Le cose non pare stiano così, a ben vedere. La delibera dell’Anac non è riferita espressamente al mondo degli enti locali, ove il responsabile anticorruzione è il segretario (a meno di motivata scelta contraria), ma all’intera PA. Nelle amministrazioni diverse da quelle locali il responsabile della prevenzione della corruzione viene individuato in dirigenti o funzionari né dotati di competenze gestionali, né direttamente nominati dall’organo di governo, né quindi chiamato ad svolgere controlli sugli atti, generalmente demandati a nuclei specifici.

Tuttavia, come ha evidenziato la Consulta, il segretario non può non svolgere esattamente quelle competenze che l’Anac ritiene che il responsabile della prevenzione della corruzione non debba assumere: in particolare “esprimersi sulla regolarità tecnica” degli atti.

L’ordinamento locale disegna la figura del segretario, così come lo ha descritto la sentenza 23/2019.

Immaginare di sottrarre al segretario comunale tutta la funzione dei controlli, quella che da sempre infastidisce i sindaci, quella che aveva portato alla prima proposta di abolizione della figura per referendum alla metà degli anni ‘90 e che sfociò nella riforma Bassanini, e ad una seconda proposta di abolizione, naufragata insieme con la deleteria riforma Madia della dirigenza, non risolverebbe il vulnus dello spoil system riservato ai segretari comunali.

Per una ragione molto semplice ed evidente: la Consulta incorre nell’errore logico dell’ossimoro. Afferma che contemporaneamente il segretario comunale non può non avere un rapporto fiduciario col sindaco, tanto da “influenzare” l’indirizzo politico amministrativo, ma non deve affermare la personale adesione all’orientamento politico.

La sentenza sarebbe risultata conclusiva ed utile per un deciso cambio normativo, se avesse indicato una strada da seguire e una sola. Il segretario come soggetto tecnico che contribuisce alla formazione dell’indirizzo politico? La strada sarebbe quella di trasformarlo, nella sostanza, in un capo staff o capo di gabinetto o consigliere politico.

Il segretario che svolge funzioni propositive rispetto agli atti? Non potrebbe che essere un gestore, attuatore dell’indirizzo politico e quindi lo spoil system, applicato ad un gestore che in modo conclamato non ha da aderire all’orientamento politico dell’organo di governo, non si regge, nonostante la sentenza 23/2019.

Si potrebbe osservare, a confutazione dell’affermazione poco sopra riportata, che la Consulta tuttavia configura un’equivalenza tra la collaborazione tecnica alla formazione dell’indirizzo politico, propria dei massimi vertici ministeriali, è la “influenza” che il segretario non potrebbe non esercitare su sindaco e giunta.

Ma, è proprio questa la contraddizione insanabile e l’errore di merito clamoroso della sentenza.

Essa va fuori strada quando considera una peculiarità del segretario comunale esprimere, sulle deliberazioni di giunta e consiglio, la valutazione preliminare di regolarità tecnica finalizzata a sottolineare “se e in che modo la proposta pone le corrette premesse per il raggiungimento dell’interesse pubblico volta a volta tutelato dalla legge”, rimarcando che tale competenza presuppone “anche un ruolo attivo e propositivo del segretario comunale”.

La Consulta ha ulteriormente trascurato di verificare l’assetto delle competenze degli enti locali. E non ha considerato che le funzioni indicate poco sopra sono tipiche di tutti i soggetti preposti alla direzione delle strutture comunali (con qualifica dirigenziale o meno, a seconda dell’organizzazione degli enti), i quali ai sensi dell’articolo 49 del d.lgs 267/2000 debbono esprimere il parere di regolarità tecnica sulle delibere, e ai sensi dell’articolo 147-bis, comma 1, sempre del Tuel, ad assicurare la regolarità amministrativa e contabile degli atti gestionali.

Non è, quindi, una peculiarità del segretario “coadiuvare e supportare sindaco e giunta nella fase preliminare della definizione dell’indirizzo politico-amministrativo”: ogni tecnico, funzionario o dirigente, deve agire, così nell’attuare l’indirizzo politico e gli obiettivi gestionali, come nell’istruire i dossier degli atti di diretta competenza degli organi di governo, deve coadiuvare detti organi, per assicurare l’attuazione dell’indirizzo mediante atti e scelte operative che si rivelino contestualmente sia idonee ad ottenere gli obiettivi amministrativi fissati, sia centrare detti obiettivi attraverso strade efficaci sul piano gestionale e legittime sul piano amministrativo.

Dunque, qualsiasi soggetto preposto ai vertici delle strutture non potrebbe non influenzare la definizione dell’indirizzo politico, se tale influenza, come sancisce la corte, consiste “non già nel senso di indicare o sostenere obbiettivi specifici, piuttosto nella direzione di mostrare se quegli obbiettivi possono essere legittimamente inclusi fra i risultati che gli organi di direzione politico-amministrativa intendono raggiungere, indicando anche, nel momento stesso in cui la decisione deve essere assunta, i percorsi preclusi, o anche solo resi più difficoltosi, dalla necessità di rispettare leggi, statuto e regolamenti”.

Ma, questo ritratto delle competenze del segretario, che delinea funzioni gestionali ed attuative del programma politico, è distantissimo dal peculiare ruolo che giustifica l’applicazione dello spoil system, che consiste non nell’illustrare all’organo di governo quali percorsi tecnico-giuridici sono necessari per delineare il programma politico, ma nel collaborare direttamente proprio alla formazione dell’indirizzo politico.

La Corte Costituzionale ha dimenticato che l’indirizzo politico, negli enti locali, è integralmente riservato al sindaco, che lo esprime prima col programma elettorale, poi col programma di mandato. Il segretario comunale (come anche, dove esista, il direttore generale) ha il compito esclusivamente di indirizzare la gestione verso i risultati evinti dal programma politico, traducendoli in programmi, progetti ed azioni, da connettere alla corretta attribuzione delle risorse di varia natura necessari per realizzarli.

Ma, questa è gestione. Non è formazione dell’indirizzo politico, che consiste nella collaborazione diretta, caratterizzata da una condivisione politica di fini liberi, che si traducono nell’elaborazione diretta di stralci, se non di intere parti, di leggi, contratti, decreti, regolamenti, circolari che innovano l’ordinamento, esattamente allo scopo di innestare l’indirizzo politico e così orientare l’ordinamento, l’economia, il lavoro, l’imprenditoria.

Questo ruolo lo si gioca non negli enti locali, ma nelle strutture di massimo vertice dello Stato, ove appunto un indirizzo politico si forma ed ha bisogno anche della collaborazione attiva di tecnici che esprimano una personale adesione all’orientamento politico.

Le funzioni tecniche descritte dalla Consulta in relazione al segretario possono e debbono essere svolte da qualsiasi segretario: non sono per nulla collegate alla persona fisica di chi sia stato reclutato in quel ruolo ed iscritto all’albo, come se quella persona fisica, in funzione della personale relazione col sindaco, le potesse interpretare in modo diversificato.

Risulta, quindi, del tutto non condivisibile l’affermazione centrale della sentenza 23/2019: “Si è insomma in presenza di compiti la cui potenziale estensione non rende irragionevole la scelta legislativa, che permette al sindaco neoeletto di non servirsi necessariamente del segretario in carica”.

Esattamente al contrario, i compiti molto estesi non giungono fino alla co-formazione dell’indirizzo politico e quindi escludono ogni ragionevolezza di un presunto diritto del sindaco neo eletto a doversi scegliere il segretario, agevolato da una decadenza automatica dell’incarico.

La scelta del sindaco dovrebbe fondarsi sulla valutazione dell’operato del segretario, sui risultati conseguiti. I 60 giorni di tempo concessi dalla legge dopo le elezioni entro i quali il sindaco ha la possibilità di meditare sull’opportunità di confermare o meno il sindaco in carica, in assenza di un sistema che imponga di motivare la scelta in funzione dei risultati conseguiti, sono solo una parvenza procedurale, una cortina che nasconde una decisione al limite dell’arbitrarietà.

Il comune di Licata ha recentissimamente modificato lo statuto, allo scopo di eliminare la dirigenza. In questo modo, si mette in disponibilità il dirigente dell’ufficio tecnico che in questi ultimi anni ha avviato una lotta di legalità contro l’abusivismo edilizio. Qualcuno può fondatamente ritenere che il segretario comunale abbia potuto assumere un ruolo attivo di influenza di una scelta simile?

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto