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Responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione per la revoca di una procedura di gara

di Paolo Carbone – Funzionario della Corte dei conti

La sentenza in esame costituisce uno spunto per affrontare alcune delle problematiche più significative in tema di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione e di criteri di liquidazione dei relativi danni oggetto della domanda risarcitoria.

La fattispecie trae origine da una procedura di gara, indetta da una società pubblica per la gestione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica, per l’affidamento dei lavori di ristrutturazione di un immobile da destinarsi ad alloggi a canone agevolato in un Comune della Provincia di Siena.

Tuttavia, al momento dell’avvio e dell’aggiudicazione della gara, la società pubblica non aveva la disponibilità dell’immobile che era proprietà dell’ASL locale. Quest’ultima lo aveva solo successivamente concesso in comodato al Comune che, a quel punto, lo aveva assegnato in gestione alla società.

Avuto contezza dello stato dell’immobile che si presentava in uno stato di gravissimo degrado, la società si era vista costretta a revocare l’aggiudicazione tenuto conto della necessità di effettuare preventivi lavori di messa in sicurezza prima di eseguirvi qualsiasi altro intervento.

Il radicale mutamento dello stato dei luoghi, rispetto alle condizioni che avevano guidato la redazione del progetto di recupero posto a base della gara aggiudicata, costituisce la ragione che ha indotto la stazione appaltante a ritenere non più possibile la stipulazione del contratto con l’aggiudicataria, occorrendo redigere un nuovo progetto previa messa in sicurezza dei locali.

Il provvedimento revocatorio veniva impugnato quindi di fronte al TAR della Toscana dalla società che ne chiedeva da una parte l’annullamento e dall’altra la condanna dell’organismo appaltante alla stipula del contratto o, in subordine, la condanna al risarcimento dei danni da provvedimento illegittimo ovvero da responsabilità precontrattuale.

Il TAR della Toscana, con sentenza 2 febbraio 2018, n. 187, respingeva la richiesta di annullamento del provvedimento di revoca, accogliendo la domanda risarcitoria per responsabilità precontrattuale, condannando la società al ristoro dei danni patiti per un importo assai contenuto.

La decisione del TAR toscano veniva dunque fatta oggetto di appello di fronte al Consiglio di Stato sulla scorta dei seguenti presupposti

a) erroneità nel giudizio di bilanciamento tra interesse pubblico volto alla rimozione del provvedimento aggiudicatorio e l’affidamento riposto dall’impresa nell’affidamento dell’appalto

b) censurabilità dell’operato dell’amministrazione che avrebbe contribuito a creare le condizioni che, successivamente avevano indotto la medesima ad assumere il provvedimento ablatorio

Il Consiglio di Stato ha ritenuto che l’amministrazione abbia correttamente ravvisato i presupposti per l’adozione dell’atto di ritiro. Infatti, dalla situazione emersa risulta che si configurava “un radicale mutamento della situazione di fatto, al ricorrere del quale l’art. 21-quinquiesL. n. 241 del 1990 legittima l’adozione di un provvedimento di revoca”.

A giudizio del Supremo Organo di Giustizia Amministrativa, infatti “la gravità e serietà delle ragioni poste a fondamento della disposta revoca giustificava (anche in ragione delle richiamate esigenze di interesse pubblico) l’adozione dell’atto di ritiro, rendendo recessivo (il pur comprensibile) affidamento riposto dall’appellante alla realizzazione degli interventi di ristrutturazione inizialmente messi a gara”.

E’ ben vero che la stazione appaltante possa nel caso di specie aver concorso a causare le circostanze che hanno poi giustificato l’atto di revoca, ma tale condotta non può ritenersi illegittima sotto il profilo dell’azione amministrativa, giustificando soltanto i presupposti risarcitori. Si è dunque in presenza di un’ipotesi di atto legittimo e di condotta illecita, che dà luogo ad una responsabilità precontrattuale dell’amministrazione.

Neppure degna di accoglimento è stata giudicata la censura relativa alla mancata adozione di una variante progettuale volta a “salvare” l’iniziale procedura di gara. In realtà, anche a giudizio del Consiglio di Stato, tale tesi non può trovare accoglimento in quanto “l’invocata assegnazione di un appalto oggettivamente diverso da quello originariamente messo a gara avrebbe presentato insormontabili ostacoli di ordine giuridico, stante l’evidente e oggettiva diversità fra l’utilitas posta a base della procedura ad evidenza pubblica e quella che l’appellante aspirava (e in modo postumo) a vedersi assegnare senza alcuna nuova procedura evidenziale”

Fugato ogni dubbio circa la legittimità dell’atto ablatorio, e spostata l’attenzione sul piano della possibile responsabilità precontrattuale, resta da considerare l’entità risarcitoria.

Innanzitutto l’appellante censura la sentenza di primo grado nella parte in cui non ha accolto la domanda risarcitoria finalizzata al ristoro

a) dell’interesse positivo (nella forma del lucro cessante);

b) della perdita di chance connessa all’esecuzione della commessa;

c) del danno curriculare (connesso alla mancata acquisizione dell’esperienza professionale connessa all’esecuzione dell’appalto).

Anche tali rivendicazioni risultano, a giudizio della sentenza in esame, destituite di fondamento presupponendo l’illegittimità dell’atto amministrativo, elemento che è stato, invece, respinto.

Ulteriori motivi di appello sono stati proposti relativamente alle specifiche voci di danno.

Innanzitutto, il Consiglio di Stato si richiama all’orientamento giurisprudenziale (vd. ad esempio Cons. di Stato 27 marzo 2017, n. 1364) che individua una distinzione tra l’ipotesi di danno da mancata aggiudicazione, parametrato al cd. interesse positivo che consiste nell’utile netto ritraibile dal contratto oltre che dai pregiudizi di tipo curriculare e danno all’immagine per non avere acquisito la commessa e quello da responsabilità precontrattuale i cui danni sono limitati al cd. interesse negativo (ovvero l’interesse a non essere coinvolto in trattative inutili) e alla perdita di chance. Quest’ultima, tuttavia, viene interpretata come la possibilità di riconoscere “il ristoro dei benefici connessi alla ulteriori e diverse occasioni di guadagno che l’appellante avrebbe potuto conseguire se non fosse stata impegnata nelle inutili trattative con la stazione appaltante”.

Tuttavia, nel caso in esame, anche tale domanda è stata respinta posto che la società non ha fornito al riguardo alcuna prova. Proprio su tale punto viene ribadito come grava sul ricorrente provare la perdita di chance che si configura come un danno attuale e risarcibile, alla cui assenza, peraltro, non è possibile sopperire con una valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c..

Infatti, conclude il Supremo Giudice Amministrativo, “la perdita di chance di rilievo risarcitorio, in quanto entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione e non mera aspettativa di fatto o generiche ed astratte aspirazioni di lucro, deve correlarsi a dati reali, senza i quali risulta impossibile il calcolo percentuale di possibilità delle concrete occasioni di conseguire un determinato bene”.

Viene dunque confermata la sentenza di primo grado che ha riconosciuto all’impresa il solo danno emergente per l’inutile partecipazione alle trattative, vale a dire i soli costi di partecipazione alla gara.

Cons. di Stato, Sez. V, 28 gennaio 2019, n. 697

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