21/02/2019 – La Commissione Europea mette nel mirino il Codice degli appalti italiano

La Commissione Europea mette nel mirino il Codice degli appalti italiano

di Domenico Irollo – Commercialista/revisore contabile/pubblicista

Calcolo del valore stimato dell’affidamento, opere di urbanizzazione, cause di esclusione, subappalti, avvalimento, offerte anomale: è lungo l’elenco delle questioni su cui si appuntano le critiche della Commissione Europea al vigente Codice dei contratti pubblici nostrano (D.Lgs. n. 50 del 2016), messe nero su bianco in una lettera di “costituzione in mora” dello scorso 24 gennaio indirizzata ex art. 258 del TFUE alle Autorità di Governo italiane, primo step della procedura d’infrazione per mancata conformità con il diritto unionale che regola la materia.

Invero bisogna considerare che alcune delle obiezioni mosse sono “anacronistiche” visto che sono state già superate ovvero lo saranno a breve per effetto di recenti/imminenti novità rispetto al quadro regolamentare interno preso a riferimento dalla Commissione UE.

Nello specifico, si allude, per un verso, alla disciplina dell’affidamento diretto delle opere di urbanizzazione a scomputo recata dall’art. 16, comma 2-bis, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 in combinato disposto con gli artt. 35, comma 9, e 36, commi 3 e 4 del CCP: al termine di un travagliato percorso legislativo e interpretativo, il pronunciamento da ultimo reso su sollecitazione di ANAC dal Consiglio di Stato in sede consultiva il 24 dicembre u.s., giusta parere n. 2942 del 2018 (su cui si veda il commento dello scrivente: Palazzo Spada torna sulle opere di urbanizzazione a scomputo e, con una conferma che sa di dietrofront, scongiura una procedura di infrazione UE, cui si rinvia per una articolata ricostruzione dei termini della complessa problematica), dovrebbe aver posto difatti la parola fine alla querelle, avendo Palazzo Spada una volta per tutte chiarito che per le opere di urbanizzazione a scomputo totale o parziale del contributo previsto per il rilascio del permesso di costruire, nel calcolo del valore stimato devono essere cumulativamente considerati tutti i lavori di urbanizzazione primaria e secondaria anche se appartenenti a diversi lotti, connessi ai lavori oggetto di permesso di costruire. La previsione contenuta nel citato art. 16, comma 2-bis, D.P.R. n. 380 del 2001 che consente di bypassare il CCP, si applica pertanto unicamente quando il valore degli affidamenti, calcolato ai sensi dell’art. 35, comma 9, dello stesso CCP, non raggiunge le soglie di rilevanza comunitaria. Conseguentemente, se il valore complessivo delle opere di urbanizzazione a scomputo – qualunque esse siano – non raggiunge la soglia comunitaria, il privato potrà avvalersi della deroga esclusivamente per le opere funzionali; al contrario, qualora il valore complessivo di tali opere superi la soglia comunitaria, il privato sarà tenuto al rispetto delle regole di cui al CCP sia per le opere funzionali che per quelle non funzionali. Si tratta di un approdo esegetico finalmente conforme al diritto eurounitario, come dato atto anche dalla stessa Commissione Europea che ha però evidenziato come detto parere del CdS, al momento della formalizzazione della missiva di messa in mora dello Stato italiano, non era stato ancora recepito da ANAC, apportando le pertinenti modifiche alla “pietra dello scandalo”, ossia alle Linee Guida n. 4 relative agli affidamenti sotto-soglia, di cui alla versione da ultimo aggiornata con delibera dell’Authority n. 206 del 2018 (su cui si veda il commento dello scrivente: Via libera definitivo alla nuova versione delle Linee guida n. 4) che tuttora contengono invece l’interpretazione stigmatizzata dalla Commissione (in base alla quale il valore delle opere di urbanizzazione primaria di tipo funzionale, appaltabili in deroga alle procedure di evidenza pubblica regolate dal CCP ove di importo di rilievo infracomunitario, avrebbe potuto essere determinato ex se, senza tenere conto del valore complessivo delle opere di urbanizzazione, cioè escludendo le opere di urbanizzazione secondaria e primaria non funzionali). A questo riguardo giova segnalare che lo scorso 11 febbraio ANAC ha lanciato una consultazione on line (avente termine il 21 febbraio 2019) con contestuale diffusione di una bozza di Linee Guida che riporta (sub 2.2.) una nuova formulazione del passaggio “incriminato”, stavolta coerente con le norme comunitarie che vengono in rilievo e con l’interpretazione che di esse ne dà la Commissione. E’ verosimile che a breve la materia del contendere potrà perciò ritenersi cessata.

Altra criticità segnalata dalla Commissione ma che già può dirsi risolta è quella legata al testo originario dell’art. 80, comma 5, lett. c), CCP, interpretato nel senso che nel caso di offerenti che abbiano contestato in giudizio la risoluzione anticipata di un precedente contratto di appalto o concessione, sarebbe stata preclusa alle Stazioni Appaltanti ogni valutazione circa l’affidabilità di tali offerenti sino a quando il giudizio non abbia confermato la risoluzione anticipata. I dubbi in ordine alla compatibilità di siffatta lettura della norma interna con quella comunitaria parametrica avevano già portato un TAR ed il Consiglio di Stato a sollevare innanzi alla Corte di Giustizia UE analoghe questioni pregiudiziali (cause C-41/18 e C-324/18: in merito si rinvia al commento dello scrivente: Sui gravi illeciti professionali Palazzo Spada passa la palla ai colleghi di Lussemburgo), fintanto che da ultimo, mercé l’art. 5D.L. 14 dicembre 2018, n. 135 (c.d. “Decreto Semplificazioni”), convertito in parte qua senza modificazioni giusta L. 11 febbraio 2019, n. 12, la disposizione controversa risulta adesso formalmente rimodulata su tre punti contrassegnati rispettivamente dalle lett. c), c-bis) e c-ter); mentre sul piano dei contenuti le novità attengono alla formulazione della neo introdotta lett. c-ter), in ragione della quale ora si richiede soltanto che “l’operatore economico abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili”, senza che sia più richiesto che detta risoluzione per inadempimento sia anche “non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio” (in tema, si veda, amplius, il contributo dello scrivente: “DL Semplificazioni”: sui gravi illeciti professionali l’Esecutivo gioca d’anticipo sui giudici di Lussemburgo).

Passando invece alle criticità ancora “attuali”, si evidenzia, in sintesi, come le rimostranze della Commissione si concentrino nello specifico sulle seguenti, ulteriori previsioni del CCP:

– esclusione automatica delle offerte anomale ai sensi dell’art. 97, comma 8, con cui si stabilisce che per lavori, servizi e forniture, quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso e comunque per importi inferiori alle soglie comunitarie, la S.A. può prevedere nel bando l’esclusione automatica delle offerte che presentino un ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia, sempre che il numero delle offerte ammesse non sia inferiore a dieci. La Commissione, richiamando giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, ha contestato all’Italia la possibile violazione della normativa comunitaria, in quanto l’art. 97, comma 8, cit., si applica indiscriminatamente a tutti gli affidamenti sotto-soglia, indipendentemente dall’esistenza di un interesse transfrontaliero certo. Inoltre, la Commissione ritiene insufficiente il limite di dieci offerte valide per poter giustificare il ricorso all’esclusione automatica. Al riguardo, giova rilevare che ANAC, nell’indire la cennata consultazione on line sulle possibili modifiche da apportare alle Linee Guida n. 4, ha incluso pure l’eventualità di fornire, in sede di revisione dell’atto regolatorio in parola, un’interpretazione comunitariamente orientata della norma de qua, nonché indicazioni interpretative, sulla scorta della citata giurisprudenza comunitaria, al fine di individuare gli indicatori dell’interesse transfrontaliero certo, quali potrebbero essere l’importo dell’affidamento, le caratteristiche tecniche o la zona di esecuzione della prestazione;

– limite quantitativo al subappalto stabilito dall’art. 105, commi 2 e 5, in virtù dei quali si impone appunto che nel settore degli appalti pubblici il subappalto non possa superare la quota del 30 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture (in particolare, il comma 5 estende il divieto alle opere super specialistiche – in gergo “s.i.o.s.” – di cui all’art. 89, comma 11, nella quale ipotesi il subappalto non può in nessun caso superare il 30% del valore delle “opere” e non del contratto). A tal proposito, si osserva che i dubbi della Commissione sono condivisi dal TAR Lombardia, Milano, che con ordinanza n. 148 del 19 gennaio 2018, ha giustappunto rimesso alla Corte di Giustizia UE la questione pregiudiziale della compatibilità della normativa italiana in esame con il diritto comunitario (causa C63/18, nel cui ambito il Presidente della Corte di Lussemburgo, con ordinanza dell’8 marzo 2018, ha peraltro respinto la domanda del TAR a quo diretta a sottoporre la causa al procedimento accelerato previsto dall’art. 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte stessa). Più di recente, anche il Consiglio di Stato, giusta ordinanza n. 3553 dello scorso 11 giugno, ha sollevato analoga questione pregiudiziale riferita tuttavia alle similari previsioni contenute nel pregresso Codice De Lise (art. 118D.Lgs. n. 163 del 2006: causa C402/18, nel cui contesto il Presidente della Corte di Giustizia UE ha allo stesso modo respinto con ordinanza del 18 settembre u.s. la domanda del Giudice del rinvio diretta a ottenere che la causa venisse sottoposta al menzionato procedimento accelerato). Al pari del G.A. meneghino, anche la Commissione Europea ritiene, evocando a conforto pregressa giurisprudenza comunitaria, che il fatto di consentire il ricorso al subappalto soltanto per una parte dell’appalto, fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dell’importo di quest’ultimo, e ciò a prescindere dalla natura delle prestazioni dedotte in contratto che possa oggettivamente giustificare la restrizione ovvero a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe, si pone in contrasto con il diritto comunitario, il quale ha tra i suoi obiettivi di favorire la concorrenza e l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici che invece in questo modo vengono ingiustamente penalizzate. Al riguardo, occorre altresì rimarcare che lo stesso art. 105 CCP, in scia con quanto previsto dagli artt. 63 e 71Direttiva n. 2014/24/UE (per gli appalti e dalle parallele norme delle Direttive n. 2014/23/UE e n. 2014/25/UE, rispettivamente relative alle concessioni e alle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali), prevede una serie di obblighi informativi e di adempimenti procedurali, per effetto dei quali l’impresa subappaltatrice può oggi ritenersi assoggettata a controlli analoghi a quelli svolti nei confronti dell’impresa aggiudicataria; in particolare, la S.A. è posta in condizione di conoscere, in anticipo, le parti dell’appalto che si intende subappaltare a terzi e l’identità dei subappaltatori proposti, nonché di verificare, in capo al subappaltatore, il possesso della qualificazione, l’assenza di motivi di esclusione, la posizione di regolarità contributiva e il rispetto degli obblighi di sicurezza. In un siffatto contesto normativo, la misura drastica della limitazione quantitativa del subappalto al 30% dell’importo complessivo del contratto non sembra rappresentare uno strumento “proporzionato” al soddisfacimento dell’obiettivo di assicurare l’integrità del mercato dei contratti pubblici; tale obiettivo, infatti, pare potersi ritenere già adeguatamente soddisfatto per mezzo delle nuove previsioni che consentono in linea di principio di effettuare verifiche e controlli più pregnanti rispetto al passato, finalizzate a garantire che il subappalto venga affidato, in condizioni di trasparenza, ad operatori capaci e immuni da controindicazioni;

– obbligo di indicare la terna dei subappaltatori contemplato dall’art. 105, comma 6, qualora l’appalto sia superiore alle soglie comunitarie e non sia necessaria una particolare specializzazione. La norma impone alle Stazioni Appaltanti di indicare tale obbligo nel bando ed infine stabilisce la possibilità di ricorrere a tale obbligo anche negli appalti sotto-soglia, a meno che non si tratti di attività particolarmente esposte al rischio di infiltrazione mafiosa nel qual caso detto obbligo scatta automaticamente anche nel sotto-soglia. Per gli appalti che rientrano nell’ambito di applicazione dello stesso comma e che riguardano diverse tipologie di prestazioni, in sede di offerta gli operatori sono obbligati a indicare la terna di subappaltatori proposti per ciascuna di tali tipologie. Orbene, la Commissione ritiene che se è vero che l’art. 71, par. 2, della citata Direttiva n. 2014/24/UE attribuisce agli Stati membri la facoltà di statuire l’obbligo di indicare nell’offerta di gara i nominativi dei subappaltatori proposti, il fatto che la diposizione in analisi, per un verso, obblighi gli offerenti ad indicare sempre tre subappaltatori, anche qualora all’offerente ne occorrano meno di tre, e dall’altro, li obblighi altresì ad indicare nelle loro offerte una terna di subappaltatori anche quando, in realtà, essi non intendono fare ricorso a nessun subappaltatore si pone comunque in contrasto con il principio di proporzionalità di cui all’art. 18, paragrafo 1, della medesima Direttiva n. 2014/24/UE;

– divieto di avvalimento e subappalto “a cascata”, rispettivamente sanciti dagli artt. 89, comma 6, e 105, comma 9, che consiste nell’impedire in modo generale ed universale che l’ausiliario possa a sua volta avvalersi delle capacità di altro soggetto e che le prestazioni subappaltate possano essere oggetto di ulteriore subappalto. Precisamente, la Commissione reputa che il divieto di avvalimento “a cascata” si ponga in contrasto con l’art. 63, par. 1, della ripetuta Direttiva 2014/24/UE (e con le norme “gemelle” delle Direttive n. 2014/23/UE e n. 2014/25/UE, citt.) che consente ad un operatore economico di affidarsi alle capacità di altri soggetti, indipendentemente dalla natura giuridica dei suoi rapporti con loro. Il divieto indiscriminato di subappalto “a cascata” (o cd. sub-subappalto) si porrebbe invece in contrasto con l’obbligo di rispettare i principi di proporzionalità e parità di trattamento di cui al richiamato art. 18, paragrafo 1, della Direttiva 2014/24/UE (e alle norme parallele delle Direttive n. 2014/23/UE e n. 2014/25/UE, citt.);

– divieto incondizionato, rinvenibile dagli artt. 89, comma 7, e 105, comma 4, lett. a), per: i) i diversi offerenti in una determinata procedura di gara di affidarsi alle capacità dello stesso soggetto; ii) il soggetto delle cui capacità un offerente intende avvalersi di presentare un’offerta nella stessa procedura di gara; iii) l’offerente in una data procedura di gara di essere subappaltatore di un altro offerente nella stessa procedura di gara. La Commissione valuta che tutte queste preclusioni siano incompatibili con il medesimo principio di proporzionalità su evocato, in quanto essi non lasciano agli operatori economici alcuna possibilità di dimostrare che il fatto di aver partecipato alla stessa procedura di gara, o di essere collegati a partecipanti nella stessa procedura di gara, non ha influito sul loro comportamento nell’ambito di tale procedura di gara né incide sulla loro capacità di rispettare gli obblighi contrattuali;

– divieto assoluto di avvalimento per le opere superspecialistiche previsto sub art. 89, comma 11. Anche in questo caso la Commissione pone una questione di sproporzione perché, invece di proibire l’avvalimento in relazione agli specifici “lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica” compresi nell’appalto, essa proibisce l’avvalimento in relazione all’intero appalto, andando così oltre quanto disposto dall’art. 63, paragrafi 1 e 2, della Direttiva n. 2014/24/UE e dall’art. 79, paragrafi 2 e 3, della Direttiva n. 2014/25/UE, i quali stabiliscono norme in materia di avvalimento e prevedono che le Stazioni Appaltanti possono esigere che taluni compiti essenziali siano direttamente svolti dall’offerente stesso;

– l’aggiunta nell’art. 35, comma 9, lettera a), e comma 10, lettera a) concernente il metodo di calcolo del valore stimato degli appalti – rispetto ai testi speculari dell’art. 5, paragrafi 8 e 9, della Direttiva 2014/24/UE – dell’avverbio “contemporaneamente”, di talché il Legislatore nazionale ha stabilito che sia computato il valore complessivo stimato della totalità dei lotti qualora vi sia la possibilità di “appalti aggiudicati contemporaneamente per lotti separati”. La Commissione avanza il sospetto che, introducendo la qualifica “contemporaneamente”, la normativa italiana possa aver ristretto l’applicabilità dell’obbligo di computare il valore complessivo stimato della totalità dei lotti.

Il nostro Governo ha ora due mesi di tempo per replicare.

Lettera datata 24 gennaio 2019 della Commissione Europea di costituzione in mora dello Stato italiano – Infrazione 2018-2273

Artt. 3536808997 e 105D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (G.U. 19 aprile 2016, n. 91, S.O.)

Art. 16, comma 2-bisD.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (G.U. 20 ottobre 2001, n. 245, S.O.)

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto