21/02/2019 – Bocciata la norma che consente di gestire in disavanzo la spesa corrente per 30 anni

Bocciata la norma che consente di gestire in disavanzo la spesa corrente per 30 anni

di Girolamo Ielo – Dottore commercialista/revisore contabile Esperto finanza territoriale

La Corte costituzionale con la sentenza n. 18 del 14 febbraio 2019 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione che consente agli enti locali in stato di predissesto di ricorrere all’indebitamento per gestire in disavanzo la spesa corrente per un trentennio. La procedura di prevenzione dal dissesto degli enti locali è costituzionalmente legittima solo se supportata da un piano di rientro strutturale di breve periodo. La norma impugnata è dichiarata illegittima sotto tre diversi profili:

1) violazione dell’equilibrio del bilancio, in relazione alla maggiore spesa corrente autorizzata nell’arco del trentennio;

2) violazione dell’equità intergenerazionale, per aver caricato sui futuri amministrati gli oneri conseguenti ai prestiti contratti nel trentennio per alimentare la spesa corrente;

3) violazione del principio di rappresentanza democratica, in quanto sottrae agli elettori e agli amministrati la possibilità di giudicare gli amministratori sulla base dei risultati raggiunti e delle risorse effettivamente impiegate nel corso del loro mandato.

La norma impugnata. Il comma 714art. 1L. 28 dicembre 2015, n. 208, come sostituito dall’art. 1, comma 434L. 11 dicembre 2016, n. 232 stabilisce che “Fermi restando i tempi di pagamento dei creditori, gli enti locali che hanno presentato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale o ne hanno conseguito l’approvazione ai sensi dell’art. 243-bis del testo unico di cui al D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, prima dell’approvazione del rendiconto per l’esercizio 2014, se alla data della presentazione o dell’approvazione del medesimo piano di riequilibrio finanziario pluriennale non avevano ancora provveduto ad effettuare il riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi di cui all’art. 3, comma 7, D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118, possono rimodulare o riformulare il predetto piano, entro il 31 maggio 2017, scorporando la quota di disavanzo risultante dalla revisione straordinaria dei residui di cui all’art. 243-bis, comma 8, lettera e), limitatamente ai residui antecedenti al 1° gennaio 2015, e ripianando tale quota secondo le modalità previste dal decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 2 aprile 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 89 del 17 aprile 2015. La restituzione delle anticipazioni di liquidità erogate agli enti di cui al periodo precedente, ai sensi degli artt. 243-ter e 243-quinquies del citato testo unico di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, è effettuata in un periodo massimo di trenta anni decorrente dall’anno successivo a quello in cui è stata erogata l’anticipazione. A decorrere dalla data di rimodulazione o riformulazione del piano, gli enti di cui ai periodi precedenti presentano alla Commissione di cui all’art. 155 del medesimo testo unico di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000 apposita attestazione del rispetto dei tempi di pagamento di cui alla Direttiva n. 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011″.

Questioni di legittimità costituzionale. Le questioni di legittimità costituzionali sono state sollevate dalla Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Campania, con ordinanza del 28 febbraio 2018, in riferimento agli artt. 81 e 97 della Costituzione, autonomamente e in combinato disposto con gli artt. 123 e 41 Cost., e agli artt. 24 e 117, comma 1, Cost.

Il pronunciamento della Corte costituzionale. La Corte, come si è già detto, si è pronunciata con la sentenza n. 18 del 2019.

Ad avviso della Corte la questione di legittimità costituzionale sollevata è fondata in riferimento agli artt. 81 e 97, comma 1, Cost., sia sotto il profilo della lesione dell’equilibrio e della sana gestione finanziaria del bilancio, sia per contrasto con gli interdipendenti principi di copertura pluriennale della spesa e di responsabilità nell’esercizio del mandato elettivo.

Violazione principio dell’equilibrio di bilancio. Il principio dell’equilibrio di bilancio non corrisponde ad un formale pareggio contabile, essendo intrinsecamente collegato alla continua ricerca di una stabilità economica di media e lunga durata, nell’ambito della quale la responsabilità politica del mandato elettorale si esercita, non solo attraverso il rendiconto del realizzato, ma anche in relazione al consumo delle risorse impiegate.

E’ evidente, continua la Corte, che la norma censurata si discosta radicalmente da tali parametri, consentendo di destinare, per un trentennio, in ciascun esercizio relativo a tale periodo, alla spesa di parte corrente somme necessarie al rientro dal disavanzo.

La Corte, dopo aver ripreso alcune disposizioni che regolano la materia, ricorda che l’ordinamento finanziario-contabile prevede, in via gradata: a) l’immediata copertura del deficit entro l’anno successivo al suo formarsi; b) il rientro entro il triennio successivo (in chiaro collegamento con la programmazione triennale) all’esercizio in cui il disavanzo viene alla luce; c) il rientro in un tempo comunque anteriore alla scadenza del mandato elettorale nel corso del quale tale disavanzo si è verificato. In sostanza, è stabilito che: a) al deficit si deve porre rimedio subito per evitare che eventuali squilibri strutturali finiscano per sommarsi nel tempo producendo l’inevitabile dissesto; b) la sua rimozione non può comunque superare il tempo della programmazione triennale e quello della scadenza del mandato elettorale, affinché gli amministratori possano presentarsi in modo trasparente al giudizio dell’elettorato al termine del loro mandato, senza lasciare “eredità” finanziariamente onerose e indefinite ai loro successori e ai futuri amministrati; c) l’istruttoria relativa alle ipotesi di risanamento deve essere congrua e coerente sotto il profilo storico, economico e giuridico.

La lunghissima dilazione temporale finisce per confliggere anche con elementari principi di equità intergenerazionale, atteso che sugli amministrati futuri verranno a gravare sia risalenti e importanti quote di deficit, sia la restituzione dei prestiti autorizzati nel corso della procedura di rientro dalla norma impugnata. Ciò senza contare gli ulteriori disavanzi che potrebbero maturare negli esercizi intermedi, i quali sarebbero difficilmente separabili e imputabili ai sopravvenuti responsabili. Tale scenario mina alla radice la certezza del diritto e la veridicità dei conti, nonché il principio di chiarezza e univocità delle risultanze di amministrazione più volte enunciato dalla stessa Corte (ex plurimis, sentenza n. 274 del 2017).

Elusione principio di responsabilità rappresentanza democratica. Ad avviso della Corte il contrasto della norma censurata con gli artt. 81 e 97 Cost., sotto il profilo dell’elusione del principio di responsabilità nell’esercizio della rappresentanza democratica, risiede innanzitutto nel consentire agli enti locali coinvolti nella procedura di predissesto, e che non sono in grado o non intendono rispettare i termini e le modalità del piano di rientro: a) di non ottemperare alle prescrizioni della magistratura vigilante e di evitare comunque la dichiarazione di dissesto; b) di scaglionare in un trentennio gli accantonamenti inerenti al rientro del disavanzo; c) di confermare il programma antecedente di pagamento dei creditori, lucrando così la disponibilità – in termini di spesa corrente per l’intero trentennio – derivante dal minore accantonamento finanziario delle somme necessarie per l’intero periodo di rientro e dall’impiego contra legem delle anticipazioni di liquidità; d) di aggirare le complesse procedure di verifica di congruità e sostenibilità del piano attraverso una rimodulazione autonoma in termini esclusivamente numerici, così sottraendo alla Corte dei conti quello che la sezione rimettente denomina correttamente «canone concreto di controllo». In pratica, prosiegue la Corte, nessuno degli amministratori eletti o eligendi sarà nelle condizioni di presentarsi al giudizio degli elettori separando i risultati direttamente raggiunti dalle conseguenze imputabili alle gestioni pregresse. Lo stesso principio di rendicontazione, presupposto fondamentale del circuito democratico rappresentativo, ne risulta quindi gravemente compromesso.

Violazione dell’equità intergenerazionale. La Corte già in passato (sent. n. 6 del 2016 e n. 107 del 2016) ha sottolineato la problematicità di soluzioni normative, mutevoli e variegate, le quali prescrivono il riassorbimento dei disavanzi in archi temporali lunghi e differenziati, ben oltre il ciclo di bilancio ordinario, con possibili ricadute negative anche in termini di equità intergenerazionale. La tendenza a perpetuare il deficit strutturale nel tempo, attraverso uno stillicidio normativo di rinvii, finisce per paralizzare qualsiasi ragionevole progetto di risanamento, in tal modo entrando in collisione sia con il principio di equità intragenerazionale che intergenerazionale.

L’equità intergenerazionale comporta, altresì, la necessità di non gravare in modo sproporzionato sulle opportunità di crescita delle generazioni future, garantendo loro risorse sufficienti per un equilibrato sviluppo. E’ evidente che, nel caso della norma impugnata, l’indebitamento e il deficit strutturale operano simbioticamente a favore di un pernicioso allargamento della spesa corrente. E, d’altronde, la regola aurea contenuta nell’art. 119, comma 6, Cost. dimostra come l’indebitamento debba essere finalizzato e riservato unicamente agli investimenti in modo da determinare un tendenziale equilibrio tra la dimensione dei suoi costi e i benefici recati nel tempo alle collettività amministrate. Di fronte all’impossibilità di risanare strutturalmente l’ente in disavanzo, la procedura del predissesto non può essere procrastinata in modo irragionevole, dovendosi necessariamente porre una cesura con il passato così da consentire ai nuovi amministratori di svolgere il loro mandato senza gravose “eredità”.

Corte Cost. 14 febbraio 2019, n. 18

Art. 1, comma 714L. 28 dicembre 2015, n. 208 (G.U. 30 dicembre 2015, n. 302, S.O.)

Art. 1, comma 434L. 11 dicembre 2016, n. 232 (G.U. 21 dicembre 2016, n. 297, S.O.)

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