24/12/2019 – Il divieto di opere aggiuntive vale anche per servizi e forniture, non solo per lavori

Il divieto di opere aggiuntive vale anche per servizi e forniture, non solo per lavori
Il divieto di “inquinare” le offerte nelle gare per contratti pubblici con opere aggiuntive non vale solo per i lavori, ma si estende anche a servizi e forniture.

E’ da considerare del tutto erronea la sentenza, di opposto tenore, del Consiglio di Stato, Sezione V, 12.12.2019, n. 8534.

Il passaggio fondamentale della pronuncia, attinente all’oggetto di questo approfondimento, è il seguente: “deve innanzitutto escludersi che per il servizio in contestazione nel presente giudizio possa applicarsi il divieto previsto dall’art. 95, comma 14-bis, del codice dei contratti pubblici di attribuire punti «per l’offerta di opere aggiuntive rispetto a quanto previsto nel progetto esecutivo a base d’asta», poiché – come riconosciuto dallo stesso Tribunale – esso è applicabile sulla base del suo tenore letterale ai soli contratti di appalto pubblico di lavori. Né la medesima disposizione è estensibile agli appalti pubblici di servizi in ragione della sua ratio, consistente nell’evitare che il progetto di opera predisposto dall’amministrazione aggiudicatrice sia posto nel nulla da offerte che abbiano ad oggetto lavori ulteriori, non ne consente l’estensione agli appalti pubblici di servizi. I lavori si contraddistinguono infatti per la determinazione dell’opera (come definita dall’art. 3, comma 1, lett. pp), del codice dei contratti pubblici, secondo cui «il risultato di un insieme di lavori, che di per sé esplichi una funzione economica o tecnica»), da realizzare sulla base del progetto predisposto dall’amministrazione aggiudicatrice, mentre i servizi consistono in prestazioni di fare che possono avere contenuto svariato e in cui il carattere accessorio ed aggiuntivo di alcune di esse, secondo valutazioni di carattere ampiamente discrezionale, contribuiscono comunque a soddisfare gli interessi dell’amministrazione insieme alle prestazioni di carattere principale.

7. Coerente con le caratteristiche dei servizi ora descritte è il disposto del comma 6 del medesimo art. 95 d.lgs. n 50 del 2016, che impone di valutare il miglior rapporto qualità/prezzo nell’ambito di procedure di affidamento da aggiudicare secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa in relazione agli «aspetti qualitativi, ambientali o sociali, connessi all’oggetto dell’appalto»“.

I molteplici errori di prospettiva sono i seguenti.

Tenore letterale. Afferma la sentenza (che sul punto condivide l’assunto del giudice di prime cure), che ad escludere l’applicazione a servizi e forniture del divieto contenuto nell’articolo 95, comma 14-bis, del d.lgfs 50/2016 sarebbe il suo tenore letterale.

Si tratta di un’affermazione insufficiente, sia sul piano della lettura stessa della norma, sia soprattutto sul piano dell’ordine dei criteri interpretativi.

Leggiamo il comma 14-bis: “In caso di appalti aggiudicati con il criterio di cui al comma 3, le stazioni appaltanti non possono attribuire alcun punteggio per l’offerta di opere aggiuntive rispetto a quanto previsto nel progetto esecutivo a base d’asta“.

Ora, constatiamo con assoluta evidenza:

1. il comma 14-bis non fa alcun riferimento letterale ai lavori come contratti distinti da servizi e forniture; nè potrebbe, perchè il d.lgs 50/2016 è il codice dei contratti, di tutti i contratti dei quali la PA è committente;

2. esattamente al contrario di quanto sostiene la giurisprudenza, l’interpretazione sistematica, da utilizzare sempre quando quella letterale non sia considerabile esaustiva, perchè il tenore letterale non è per nulla certo, porta ad una conclusione completamente opposta. Basta leggere, infatti, il comma 3 dell’articolo 95, espressamente richiamato dal comma 14-bis: “Sono aggiudicati esclusivamente sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo:

a) i contratti relativi ai servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, nonché ai servizi ad alta intensità di manodopera, come definiti all’articolo 50, comma 1, fatti salvi gli affidamenti ai sensi dell’articolo 36, comma 2, lettera a);

b) i contratti relativi all’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura e degli altri servizi di natura tecnica e intellettuale di importo pari o superiore a 40.000 euro; 

b-bis) i contratti di servizi e le forniture di importo pari o superiore a 40.000 euro caratterizzati da notevole contenuto tecnologico o che hanno un carattere innovativo“.

Alla giurisprudenza qui criticata è completamente sfuggita la necessaria connessione tra i commi 14-bis e 3 dell’articolo 95 e che il comma 3 è espressamente riferito proprio a quella categoria di contratti, i servizi, erroneamente ritenuta esclusa dal divieto di “opere aggiuntive”.

Natura dei servizi. Già quanto rilevato sopra è ampiamente sufficiente a dimostrare lo svarione clamoroso nel quale è incorsa la giurisprudenza amministrativa.

Non minore è l’errore interpretativo relativo alla presunta distinzione della natura dei lavori, rispetto ai servizi.

Il Consiglio di stato evidenzia che i lavori si contraddistinguono per la determinazione dell’opera, consistente nel “risultato di un insieme di lavori, che di per sé esplichi una funzione economica o tecnica”, da realizzare sulla base del progetto predisposto dall’amministrazione aggiudicatrice; in presunta contrapposizione, secondo Palazzo Spada i servizi consistono in prestazioni di fare con contenuto svariato, alcune delle quali possono avere carattere accessorio ed “aggiuntivo”, sulla base di “valutazioni di carattere ampiamente discrezionale”, che comunque “contribuiscono comunque a soddisfare gli interessi dell’amministrazione insieme alle prestazioni di carattere principale”.

Si tratta di sofismi, privi di fondamento. Palazzo Spada omette di considerare che se certamente i lavori consistono nella realizzazione di un’opera finita, mentre i servizi sono una prestazione di fare, in entrambi i casi la prestazione comunque deve essere assolutamente determinata nel suo contenuto, altrimenti non sarebbe possibile nè controllarne la corretta esecuzione nè, soprattutto mettere a gara le offerte, che debbono naturalmente essere riferite ad un oggetto uguale.

Lo scopo del divieto di “opere aggiuntive” consiste proprio nell’evitare che una modifica sostanziale alla prestazione comprometta l’omogeneità dell’oggetto e, quindi, delle offerte, sia che si tratti di una vera e propria “opera”, sia che si tratti di qualsiasi prestazione tale da modificare il contenuto del servizio e anche della fornitura a base del confronto competitivo.

Non si deve dimenticare che ai sensi dell’articolo 22, comma 14, del d.lgs 50/2016, la progettazione è necessaria anche per forniture e servizi: dunque, le amministrazioni mettono a gara la definizione completa dell’attività che l’appaltatore deve svolgere.

Ma, a questo punto è necessario leggere il comma 15 dell’articolo 22 del codice dei contratti: “Per quanto attiene agli appalti di servizi, il progetto deve contenere: la relazione tecnico-illustrativa del contesto in cui è inserito il servizio; le indicazioni e disposizioni per la stesura dei documenti inerenti alla sicurezza di cui all’articolo 26, comma 3, del decreto legislativo n. 81 del 2008; il calcolo degli importi per l’acquisizione dei servizi, con indicazione degli oneri della sicurezza non soggetti a ribasso; il prospetto economico degli oneri complessivi necessari per l’acquisizione dei servizi; il capitolato speciale descrittivo e prestazionale, comprendente le specifiche tecniche, l’indicazione dei requisiti minimi che le offerte devono comunque garantire e degli aspetti che possono essere oggetto di variante migliorativa e conseguentemente, i criteri premiali da applicare alla valutazione delle offerte in sede di gara, l’indicazione di altre circostanze che potrebbero determinare la modifica delle condizioni negoziali durante il periodo di validità, fermo restando il divieto di modifica sostanziale. […]“.

La disposizione normativa qui richiamata è una smentita totale e testuale della tesi erronea di Palazzo Spada: il progetto dei servizi deve essere reso in modo da rendere concreta ed evidente in ogni sua parte la prestazione di fare. Può, ovviamente, consentire le varianti migliorative; non può e non deve ammettere nessuna modifica che modifichi sostanzialmente l’oggetto. Tra tali modifiche rientrano senza ombra di dubbio proprio le “opere aggiuntive”, che dall’interpretazione sistematica non possono che essere intese come “prestazioni aggiuntive”.

D’altra parte, è del tutto erroneo pensare che i servizi consentano quelle “valutazioni di carattere ampiamente discrezionale” di cui parla la sentenza del Consiglio di stato, laddove, se funzionali appunto a prestazioni aggiuntive, modificassero sostanzialmente l’oggetto.

L’accessorietà delle prestazioni di fare deve essere ammessa e considerata dal progetto, nei limiti delle varianti ammesse.

Prestazioni ulteriori rispetto a quelle progettate sono necessariamente modifiche sostanziali al progetto, in quanto tali vietate. Spessissimo negli appalti di servizi si assiste all’offerta di maggiori ore di lavoro. Ora, o queste maggiori ore sono contemplate espressamente come varianti ammesse dal progetto, oppure, se non ammesse, non sono altro che opere aggiuntive, tali da modificare l’assetto della progettazione, sbilanciare totalmente l’offerta e, per altro, mettere a rischio proprio la remunerazione dei lavoratori, che invece il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa intende tutelare.

In conclusione, l’interpretazione sistematica del complesso delle disposizioni del codice dei contratti rivela che, esattamente all’opposto dell’erronea giurisprudenza fermatasi ad un dato letterale ed interpretativo limitato a poche parole del solo comma 14-bis dell’articolo 95, il divieto di opere (rectius prestazioni aggiuntive) si estende, eccome, ai servizi, come alle forniture.

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