17/12/2019 – Per il dehors serve il permesso – Anche se è amovibile, l’opera trasforma il territorio

Per il dehors serve il permesso – Anche se è amovibile, l’opera trasforma il territorio
di DARIO FERRARA – Italia Oggi Sette – 16 Dicembre 2019
Niente da fare per il dehors dell’ enoteca realizzato senza il permesso di costruire: il manufatto rischia la demolizione anche se risulta facilmente amovibile e privo di riscaldamento. L’ opera, infatti, comporta una rilevante trasformazione del territorio: incrementa superficie e volumi utili ed è posta stabilmente al servizio del locale pubblico. Il comune, tuttavia, non può negare la concessione in sanatoria senza motivare il contrasto fra manufatto e strumenti urbanistici. È quanto emerge dalla sentenza 990/19, dalla sede di Brescia del Tar Lombardia, prima sezione.
Il caso. Torna a sperare il proprietario dell’ esercizio, una vineria con servizio di ristorazione: si può ancora evitare l’ ordine di demolizione. Non è vero, intanto, che l’ opera sia precaria: viene utilizzata da più di sette anni; si tratta di una veranda attrezzata di oltre 115 metri quadrati, con tanto di impianto elettrico per alimentare ventilatori, lampade scaldanti e stereo. È escluso che sia una mera pertinenza perché il dehors risulta destinato a soddisfare bisogni del locale che sono duraturi e non provvisori: l’ area ospita i tavoli per i clienti, anche se le tende e i teli plastificati a chiusura dell’ ambiente vengono assicurati con legacci ai travetti immersi in botti riempite di calcestruzzo.
La veranda, insomma, incide in modo significativo oltre che permanente sull’ assetto edilizio del locale: costituisce un organismo autonomo che rappresenta l’ estensione dell’ esercizio pubblico posto all’ interno del fabbricato. Sono tuttavia accolti i motivi aggiunti proposti dall’ imprenditore contro il diniego del permesso di costruire in sanatoria. Da una parte il comune omette il preavviso di rigetto impedendo che l’ imprenditore partecipi al procedimento sfociato nel provvedimento finale; dall’ altra vanno evidenziate in modo chiaro le ragioni del diniego consentendo al privato di impugnare l’ atto per vizi di motivazione ed errate interpretazioni delle norme urbanistiche.
I precedenti. Il pub può scordarsi il dehors, anche se il gestore assicura che è «smontabile». Il punto è che il locale si trova in una zona soggetta al piano territoriale paesaggistico, che non ammette incremento di volumi anche quando non è frutto di nuova costruzione, come nel caso del gazebo che pure ha tende laterali in plastica trasparenti. Risulta allora legittimo il «no» opposto dal comune al permesso di costruire dopo il parere negativo della Soprintendenza per i beni architettonici. E non conta che l’ amministrazione abbia invece dato via libera in zona a un analogo progetto di un concorrente. È quanto si legge nella sentenza 3286/16, pubblicata dalla sesta sezione del Tar Campania, secondo cui deve rassegnarsi il legale rappresentante della società: l’ esercizio pubblico non può avere il suo bravo gazebo all’ esterno dove far accomodare i clienti (meno di quindici metri quadrati su suolo del comune).
E ciò perché ricade nella zona particolarmente suggestiva dei Campi Flegrei, area a ovest di Napoli: il piano territoriale che tutela il paesaggio non fa differenza fra i volumi edilizi e quelli tecnici, ma vieta ogni aumento delle cubature; l’ agognato dehors non può comunque essere definito una struttura precaria da un punto di vista edilizio laddove invece deve essere destinato in modo stabile alle esigenze commerciali del pub, vale a dire assicurare nuovi tavoli al locale. Non giova poi al gestore lamentare che l’ altro ristorante ha ottenuto il via libera al dehors, peraltro progettato dallo stesso consulente tecnico cui si è rivolto lui. Inutile lamentare il vizio di eccesso di potere: conta il ptp (piano territoriale paesistico) che tutela quello «specifico paesaggio» e gli atti che sono espressione di discrezionalità non risultano censurabili per violazione del canone di imparzialità.
E ancora, prima di rivolgersi al comune, il titolare del bar deve fare i conti con il condominio: altrimenti niente dehors. Stop all’ autorizzazione unica concessa all’ esercizio pubblico dallo sportello attività produttive dell’ ente locale: la struttura a padiglione, infatti, deve essere considerata aderente alla facciata dello stabile e quindi non può essere installata in loco senza il previo nulla osta di tutti coloro che risultano proprietari del muro perimetrale ex articolo 1117 c.c. È quanto stabilito dalla sentenza 379/2016, pubblicata dalla seconda sezione del Tar Toscana, che ha accolto il ricorso di uno dei condomini. Il progetto del dehors per il bar prevede che la struttura sia posta a un solo centimetro di distanza alla facciata dello stabile: non può dunque essere considerata non aderente al muro perimetrale. Ed è proprio il regolamento comunale a imporre il previo nulla osta dei proprietari o dell’ amministratore dell’ edificio quando si verifica il «contatto-aderenza» con la superficie esterna di un fabbricato: sbaglia l’ amministrazione laddove interpreta le norme ritenendo necessaria l’ autorizzazione preventiva da parte del condominio soltanto nell’ ipotesi in cui i tiranti della struttura a padiglione devono essere agganciati alla parete.
E il condomino che ha trascinato davanti ai giudici amministrativi la società che gestisce il locale pubblico non ha mai dato il suo consenso all’ opera. Il bar, fra l’ altro, vorrebbe pure installare sedie e tavolini per la stagione estiva su di un’ area senza aver chiesto prima il permesso ai legittimi proprietari. Ma l’ orientamento dei Tar va oltre: altro che «lieve entità». Il dehors del ristorante da piazzare sotto il naso del proprietario del primo piano non può ottenere l’ autorizzazione paesaggistica dal comune con una procedura semplificata: è escluso, infatti, che lo spazio esterno del locale pubblico possa essere considerato un «arredo urbano» e dunque beneficiare della corsia preferenziale riconosciuta agli interventi edilizi minori dal dpr 139/10. È quanto emerge dalla sentenza 56/2016, pubblicata dalla prima sezione del Tar Liguria.
È accolto, così, il ricorso del vicino che teme ancora più fastidi dai clienti dell’ osteria nel centro storico sottoposto al vincolo della Soprintendenza. Annullato il provvedimento dell’ amministrazione che concede il placet con l’ iter più breve al dehors dell’ esercizio pubblico: lo spazio esterno riservato agli avventori del locale non rientra in alcune delle categorie indicate dal dpr 139/10. È vero, la nozione di «arredo urbano» non risulta disciplinata da alcun provvedimento normativo. Ma deve ritenersi si tratti di strutture che servono a consentire un miglior uso dei centri abitati, quanto ad accessibilità e vivibilità; vi rientrano segnaletica, illuminazione, installazioni pubblicitarie, panchine, cestini: si tratta tuttavia di manufatti a destinazione pubblica, mentre il dehors soddisfa un’ esigenza commerciale del ristorante.
Ancora: il vicino è portatore di un interesse specifico, mentre la Soprintendenza non gli ha notificato del procedimento volto al rilascio dell’ autorizzazione ex articolo 21 del decreto legislativo 42/2004. Non c’ è scampo, poi, per il ristorante che trasforma l’ originaria tenda parasole in una struttura in pvc che somiglia sempre più a un dehors non autorizzato: la sostituzione della struttura preesistenza, installata su pali infissi stabilmente al terreno, costituisce un intervento di manutenzione straordinaria e per farlo serve il titolo edilizio. Inevitabile la demolizione. Lo precisa la sentenza 2960/14, pubblicata dalla sezione prima quater del Tar Lazio.
Ha un bel dire la società che gestisce il locale affaccia sul cortile condominiale: le opere in contestazione non alternerebbero i prospetti, né creerebbero nuovi volumi essendo destinate a delimitare ed abbellire la corte di proprietà, tanto che la tenda e le protezioni in pvc sono rimosse per tutto il periodo invernale quando le condizioni climatiche lo consentono l’ area è sempre liberamente transitabile. In realtà nell’ intervento di manutenzione straordinaria realizzato dal ristoratore assume decisiva prevalenza il momento trasformativo innovativo rispetto a quello conservativo: serviva il preventivo rilascio del prescritto titolo abilitativo che nella specie non c’ è stato. Non resta che abbattere.

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