02/04/2019 – I dipendenti pubblici coinvolti in procedimenti penali hanno diritto alla restitutio in integrum qualora la sanzione disciplinare non venga irrogata

I dipendenti pubblici coinvolti in procedimenti penali hanno diritto alla restitutio in integrum qualora la sanzione disciplinare non venga irrogata

di Massimo Asaro – Specialista in Scienza delle autonomie costituzionali, funzionario universitario Responsabile affari legali e istituzionali

La sentenza in commento tratta della relazione tra illecito penale e illecito disciplinare dei dipendenti pubblici concentrandosi sul diritto alla restitutio in integrum spettante, ai sensi del D.P.R. n. 3 del 1957 e/o della disciplina pattizia presente nei CCNL, al dipendente nei confronti del quale sia stata disposta precauzionalmente la sospensione facoltativa dal servizio durante il procedimento penale. La disciplina legislativa originaria è contenuta negli artt. 91 ss., D.P.R. n. 3 del 1957 e, dopo la contrattualizzazione, nelle disposizioni dei CCNL di comparto che, nelle prime tornate, facevano rinvio ai due istituti. Ai sensi della normativa indicata, il pubblico impiegato sottoposto a procedimento penale può essere sospeso dal servizio quando la natura del reato sia particolarmente grave, mentre deve necessariamente essere sospeso quando sia destinatario di misure restrittive della libertà personale; la revoca di una misura cautelare restrittiva della libertà personale, in forza della quale è stata disposta la sospensione cautelare obbligatoria del pubblico dipendente, giustifica il passaggio alla sospensione cautelare facoltativa, per la cui adozione, sul presupposto della natura particolarmente grave del reato, non è richiesto che il dipendente abbia assunto la qualità di imputato, essendo sufficiente la sua sottoposizione a procedimento penale e, perciò, anche nella fase delle indagini preliminari (Cons. di Stato, Sez. VI, 13 febbraio 2013, n. 880 e Cons. di Stato, Sez. IV, 3 dicembre 2013, n. 5745.). La sospensione facoltativa dal servizio costituisce una momentanea interruzione della prestazione lavorativa imputabile a una valutazione discrezionale dell’Amministrazione, con riguardo non solo all’opportunità, ma anche alla durata e al mantenimento della sospensione (Cons. di Stato, Sez. VI, 27 dicembre 2011, n. 6815). Essa non è un provvedimento disciplinare avente carattere sanzionatorio, bensì una misura cautelare configurabile come atto strumentale all’adozione di eventuali successivi provvedimenti disciplinari, perciò deve avere durata limitata nel tempo e costituisce una fase interinale che prelude alla sollecita attivazione del procedimento disciplinare (Cons. di Stato, Sez. III, 11 luglio 2014, n. 3587). La finalità della misura è quella di impedire che, in pendenza di un procedimento penale, la permanenza in servizio del dipendente inquisito possa pregiudicare l’immagine e il prestigio dell’Amministrazione di appartenenza. Per la sua adozione non è richiesto che l’Amministrazione svolga una dettagliata analisi dei fatti criminosi ascritti all’impiegato né che si diffonda nell’esame delle valutazioni effettuate in sede penale ma necessita solo dell’apprezzamento della gravità delle condotte addebitate all’interessato e dell’eventuale turbamento arrecato alla funzionalità dell’attività amministrativa dalla sua sottoposizione a procedimento penale (Cons. di Stato, Sez. IV, 12 maggio 2006, n. 2656). La L. n. 97 del 2001 tratta della sospensione ma non la disciplina ex novo, anzi ne presuppone l’esistenza, tant’è vero che quella facoltativa, richiamata nell’incipit dall’art. 3 è distinta da quella obbligatoria di cui all’art. 4 e resta regolata dalle disposizioni dei “relativi ordinamenti”, da individuarsi, quanto al lavoro pubblico contrattualizzato, in quelle dettate dai CCNL di comparto (Cass. civ., Sez. lav., 10 giugno 2016, n. 11988), di cui si farà cenno al termine del presente lavoro.

Con la sospensione si congela il rapporto sinallagmatico per fatto imputabile al lavoratore, se questo poi venga condannato, oppure per fatto del datore di lavoro se invece il lavoratore venga assolto (oppure sia condannato a una pena inferiore alla durata della sospensione). La restitutio in integrum connessa alla sospensione facoltativa consiste nella ricostruzione della carriera in termini di anzianità di servizio e pagamento delle retribuzioni non pagate e ha natura retributiva, non risarcitoria. Uno dei casi in cui essa è dovuta, anche in base alla contrattazione collettiva successiva al D.P.R. n. 3 del 1957, è quello in cui interviene l’assoluzione del lavoratore con sentenza passata in giudicato (Cass. civ., Sez. lav., 5 marzo 2018, n. 5060). Un altro caso si ha anche in caso di condanna in sede penale del dipendente, per il periodo di sospensione cautelare sofferto in eccedenza rispetto alla durata della pena inflitta; in tal caso dal quantum dovuto a titolo di restituzione delle retribuzioni perse durante il periodo di sospensione cautelare, va però dedotto l’importo delle retribuzioni corrispondenti al tempo della condanna penale detentiva, quand’anche questa non sia stata interamente scontata (art. 96 comma 2, D.P.R. n. 3 del 1957). Infine, la restitutio in integrum opera quando, all’esito del procedimento penale, anche se conclusosi con la condanna dell’imputato, l’Amministrazione non attivi il procedimento disciplinare (Cass. civ., Sez. lav., 10 agosto 2018, n. 20708). Sulla somma corrisposta a titolo di restitutio in integrum, sia per il caso di sospensione obbligatoria sia per quello di sospensione facoltativa, vanno riconosciuti al dipendente gli interessi legali e la rivalutazione monetaria dal servizio (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 11 giugno 2007, n. 4954).

La recente sentenza oggetto di disamina prosegue sul solco della giurisprudenza sia civile che amministrativa in materia per cui la sospensione cautelare facoltativa, per il suo carattere unilaterale e discrezionale, non fa venir meno l’obbligazione retributiva ma la sospende e la subordina all’accertamento della responsabilità disciplinare del dipendente. Solo qualora il procedimento disciplinare si concluda sfavorevolmente per il dipendente con la sanzione del licenziamento, il diritto alla retribuzione viene definitivamente meno, in quanto gli effetti della sanzione retroagiscono al momento dell’adozione della misura cautelare; viceversa qualora la sanzione non venga inflitta o ne sia irrogata una di natura tale da non giustificare la sospensione sofferta, il rapporto riprende il suo corso dal momento in cui è stato sospeso, con obbligo per il datore di lavoro di corrispondere le retribuzioni arretrate, dalle quali dovranno essere detratte solo quelle relative al periodo di privazione della libertà personale perché in tal caso, anche in assenza dell’atto datoriale, il dipendente non sarebbe stato in grado di rendere la prestazione.

Secondo la Corte poi non sussiste l’obbligo del dipendente di comunicare l’esito del procedimento penale all’Amministrazione di appartenenza.

La sospensione cautelare facoltativa in pendenza di procedimento disciplinare è attualmente regolata dall’art. 60, comma 2 ss. del CCNL Funzioni locali, dall’art. 64, comma 2 ss. del CCNL Funzioni Centrali, dall’art. 15 del CCNL Istruzione e ricerca e dall’art. 68 del CCNL Comparto Sanità che dettano una disciplina pressoché uniforme. Anche per la disciplina pattizia, terminato il procedimento penale si rende indispensabile riattivare il procedimento disciplinare e l’onere è a carico dell’Amministrazione che pertanto non deve rimanere inerte. Il dipendente ha una mera facoltà (non un obbligo né un onere) di informare l’Amministrazione dell’esito del procedimento penale.

Cass. civ., Sez. lavoro, 19 marzo 2019, n. 7657

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