Tratto da NeoPA.it

Un articolo di Luca Di Donna
Come noto, in base al comma 1 dell’art. 33 del d.lgs. n. 165/2001, «Le pubbliche amministrazioni che hanno situazioni di soprannumero o rilevino comunque eccedenze di personale, in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria, anche in sede di ricognizione annuale prevista dall’articolo 6, comma 1, terzo e quarto periodo, sono tenute ad osservare le procedure previste dal presente articolo dandone immediata comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica».

I successivi commi 4 e 5 dello stesso art. 33 aggiungono poi che «il dirigente responsabile deve dare un’informativa preventiva alle rappresentanze unitarie del personale e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale del comparto o area. 5. Trascorsi dieci giorni dalla comunicazione di cui al comma 4, l’amministrazione applica l’articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, in subordine, verifica la ricollocazione totale o parziale del personale in situazione di soprannumero o di eccedenza nell’ambito della stessa amministrazione, anche mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro o a contratti di solidarietà, ovvero presso altre amministrazioni, previo accordo con le stesse, comprese nell’ambito della regione tenuto anche conto di quanto previsto dall’articolo 1, comma 29, del decreto-legge 13 agosto 2011., n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge14 settembre 2011, n. 148, nonché del comma 6».

La disposizione in esame, dunque, dopo aver previsto, quale forma privilegiata di riduzione dell’eccedenza medesima, il ricorso al collocamento a riposo del personale in possesso della massima anzianità contributiva, in via subordinata menziona «la ricollocazione totale o parziale del personale in posizione di soprannumero o di eccedenza nell’ambito della stessa amministrazione, anche mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro o a contratti solidarietà».

A giudizio della della Cassazione, il richiamo al contratto di solidarietà evoca, evidentemente, l’istituto introdotto nel nostro ordinamento dall’art. 1 del d.l. n. 726/1984, convertito dalla legge n. 863/1984, e sul quale hanno successivamente inciso molteplici disposizioni (si rimanda alla motivazione di cass. n. 22255/2015), che nel suo impianto fondamentale, rimasto inalterato, integra un’ipotesi di intervento della cassa integrazione guadagni, conseguente alla stipulazione di un contratto collettivo di diminuzione dell’orario e della retribuzione, finalizzata ad evitare, in tutto o in parte, la riduzione del personale.

La stessa Cassazione, a partire da cass. n.24706/2007, ha chiarito che il contratto aziendale si inserisce all’interno di una fattispecie complessa, comprensiva del contratto di solidarietà e del provvedimento ministeriale di ammissione all’integrazione salariale, e ne ha tratto la conseguenza che la riduzione di orario e di retribuzione, prevista dalla legge, opera erga omnes non già in virtù di una efficacia normativa generale della contrattazione, ma a seguito del provvedimento amministrativo di ammissione all’integrazione salariale, rispetto al quale il contratto vale solo come presupposto (cfr. fra le tante cass. n. 9307/2021 e Cass. n. 22266/2021).

La temporanea modifica peggiorativa, in via collettiva, del contenuto dei rapporti individuali, è sostenuta dal concorso finanziario dello Stato che rende meno gravosa la solidarietà fra lavoratori e costituisce uno strumento di tutela degli interessi di quest’ ultimi, perché consente di scongiurare l’esubero del personale e la conseguente risoluzione dei rapporti di lavoro.

È noto, precisano i Giudici, che l’istituto della cassa integrazione guadagni, nell’ambito del quale si iscrive il particolare strumento di cui si è dato conto nel punto che precede, non è applicabile all’impiego pubblico contrattualizzato e, nondimeno, il legislatore ha individuato nel contratto di solidarietà una delle modalità attraverso le quali gli enti pubblici possono procedere alla “ricollocazione totale o parziale” del personale eccedente.

La norma, che è chiara nel riferimento al contratto in parola e non contiene alcun dato testuale dal quale si possa desumere il carattere meramente programmatico del richiamo, autorizza, dunque, il datore di lavoro pubblico a procedere alla generalizzata riduzione dell’orario del personale in servizio, anche se non direttamente ricompreso fra quello eccedente, purché la riduzione medesima intervenga nell’ambito della procedura disciplinata dall’art. 33 e sia frutto di contrattazione a livello di ente, contrattazione che, in linea con il sistema delle fonti delineato dal d.lgs. n. 165/2001, ha efficacia generalizzata, a prescindere dall’adesione o meno del dipendente alle organizzazioni stipulanti, e prevale sulla contrattazione individuale di diverso tenore.

Nell’impiego privato, dunque, il contratto di solidarietà si iscrive in una fattispecie più complessa e costituisce un presupposto del provvedimento di ammissione alla cassa integrazione guadagni, in difetto del quale il contratto medesimo non è idoneo a giustificare la riduzione in peius dell’orario di lavoro; nell’impiego pubblico contrattualizzato, invece, si prescinde dall’intervento statale e la sola stipulazione del contratto di solidarietà, se validamente intervenuta nell’ambito della procedura disciplinata dal citato art. 33, giustifica la modifica non concordata dell’orario di lavoro, in deroga al principio della consensualità.

La diversità di disciplina fra impiego privato ed impiego pubblico, ancorché “privatizzato”, si giustifica in ragione degli interessi di carattere generale che vengono in rilievo rispetto ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, tenute ad assicurare, in ottemperanza a quanto prescritto dall’art. 97 Cast., l’equilibrio dei bilanci e del debito pubblico, nonché gli «obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità» (art. 2, comma 1, lett. a) d.lgs. n. 165/2001).

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