tratto da mauriziolucca.com

L’art. 43 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL) manifesta un diritto di accesso “espanso” del consigliere comunale, non nella forma dell’accesso documentale (ex artt. 22 ss. della legge n. 241/1990), quanto in un diritto attinente allo status di “ottenere” (diritto pieno e autonomo) dall’Amministrazione di appartenenza e sue partecipate («aziende ed enti dipendenti») tutte (nessuna esclusa) «le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge» (quando una fonte primaria ne imponga la non divulgazione).

Tutto ciò che è “utile” è accessibile.

Ratio del diritto

La ratio della norma (l’intento voluto) fonda (questa “specie” di diritto) nel principio democratico correlato al riconoscimento delle Autonomie Locali (cfr. art. 114 Cost.) e della rappresentanza politica spettante ai componenti degli organi elettivi: un diritto funzionale non tanto all’interesse del consigliere comunale in quanto tale, ma alla cura dell’interesse pubblico connessa al munus e al mandato conferito, in quanto preordinato al controllo dell’attività e dei comportamenti degli organi decisionali dell’ente: una ragionevole proporzione e un equilibrio tra gli opposti e meritevoli interessi coinvolti dall’accesso a documenti amministrativi[1].

In termini immediati, il riferimento normativo alla “utilità” della pretesa ostensiva non va acquisito nel senso restrittivo della stretta connessione con l’attività espletata (o da espletare) nell’esercizio dell’attività di componente del Consiglio comunale, ma in quello, lato, della strumentalità rispetto alla valutazione degli interessi pubblici, anche in funzione di generico controllo (ergo l’estensione spaziale e qualitativa del suo contenuto).

Se dunque il diritto è correlato ad un interesse conoscitivo (diligente) finalizzato ad un esercizio della funzione pubblica e della votazione (in aula) in modo consapevole, non può frapporsi alcun onere motivazionale della richiesta, diversamente ci troveremo di fronte ad inversione funzionale, una sorta di controllo dell’ente, attraverso i propri uffici, sull’esercizio del mandato politico, eludendo il diritto e inibendo le prerogative.

Gli unici limiti insiti nel principio di strumentalità, inerenza e proporzionalità, si riscontrano in quelle regole di ragionevolezza e proporzionalità, ambiti connessi all’art. 97 Cost., che depongono per un esercizio del diritto non in contrapposizione ai principi di “buona amministrazione”, quando il consigliere comunale, errando nel ruolo, formula pretese (non semplici richieste) che ostacolano la funzionalità (stabilità organizzativa) dell’Ente.

A volo d’uccello, l’esercizio del diritto deve avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici (anche evitando insistenti comportamenti intimidatori o predatori) e non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche, ovvero meramente emulative o di disturbo, che si traducano in un sindacato generale, indifferenziato e non circostanziato sull’attività amministrativa, fermo restando che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto medesimo, invocando (a volte) ragioni indimostrabili di riservatezza[2].

La dialettica tra il diritto/dovere del consigliere di conoscere gli atti in possesso dell’Amministrazione, nell’ambito dell’esercizio del suo fondamentale ruolo di controllo politico dell’attività della PA in un contesto di democrazia partecipata e partecipativa, e la riservatezza che la legge impone di osservare rispetto a documentazione in relazione alla quale entrano in gioco interessi contrapposti si risolve in favore della seconda in tutti quei casi in cui il sindacato (cui rimanda la richiesta di accesso) non sia relativo ad atti dell’ente di appartenenza dell’istante, laddove, in ogni caso, le disposizioni primarie e secondarie consentono di negare l’accesso per la tutela di contrapposti (e superiori) interessi dell’Amministrazione e di soggetti terzi[3].

Invero, nell’esperienza dei Tribunali, osserviamo condotte da entrambe le parti – consiglieri (di minoranza) e ente (rectius maggioranza) – contrapposte, quasi una “gara” (non una disputa) nel simulare esigenze istituzionali indilazionabili, con richieste che impegnano inutilmente la struttura a raccogliere dati e informazioni del tutto esorbitanti (prive di contesto, la citata “utilità”), oppure l’inserimento (indebito) di ostacoli all’esercizio della funzione, su improbabili ragioni di riservatezza: uno spettacolo da teatro elisabettiano (The Comedy of Errors).

Pareri legali

In generale la materia dell’accesso ai “pareri legali”, forniti alla PA, porta a due distinte e contrapposte soluzioni:
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