tratto da biblus.acca.it

La sanzione demolitoria si applica solo in caso di difformità totale? Quando può essere applicata la multa sostitutiva della demolizione? Il CdS chiarisce le sanzioni per abusi totali e parziali.

La sentenza n. 2424/2025 del Consiglio di Stato, basandosi sulla normativa vigente, ribadisce le sanzioni in relazione alla tipologia di difformità: in caso di difformità totale è prevista la demolizione (art. 31 D.P.R. 380/01); anche in caso di difformità parziale può essere disposta la demolizione, a meno che essa non danneggi la parte conforme dell’edificio (art. 34 D.P.R. 380/01).

Il caso in esame riguarda un abuso edilizio relativo a opere realizzate in difformità rispetto alla concessione edilizia originaria.

La controversia nasce dall’ingiunzione di demolizione emessa dal Comune per opere «eseguite in assenza del necessario permesso di costruire», contestate dalla proprietaria del terreno. Le opere in questione risultavano realizzate in difformità rispetto alla concessione edilizia, che autorizzava la costruzione di un’abitazione e di annessi agricoli.

Le difformità riscontrate riguardavano, in particolare, la realizzazione di un piano interrato con misure e caratteristiche difformi da quelle autorizzate — sia in termini di volumetria che di configurazione costruttiva — e la presenza di tamponature esterne complete di porte e finestre. Era stato inoltre ricavato un vano interno adibito a servizi igienici e spogliatoio. Un altro elemento era il mutamento di destinazione d’uso dell’immobile, passato da agricolo a rimessa per attrezzature e automezzi industriali, con utilizzo dell’area antistante come deposito materiali.

La proprietaria aveva impugnato l’ordinanza di demolizione davanti al TAR Lazio, sostenendo che il provvedimento si basasse su un presupposto errato, ossia l’assenza di un titolo edilizio, mentre in realtà tale titolo era rappresentato dalla concessione edilizia già menzionata. Inoltre, affermava che le difformità rispetto al progetto autorizzato non erano tali da giustificare la demolizione ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. 380/01 testo unico edilizia, ma, data la loro modesta entità, avrebbero potuto essere sanzionate semplicemente con una sanzione amministrativa.

La sentenza di primo grado, basandosi sulla documentazione acquisita dal Comune, ha accertato che la concessione edilizia autorizzava la costruzione di un’abitazione con annessi agricoli su un terreno classificato come zona agricola (zona E del PRG). Tuttavia, dai sopralluoghi era emersa la realizzazione di opere difformi rispetto al progetto approvato. Il TAR ha escluso che l’ordinanza di demolizione fosse basata sull’assenza del titolo edilizio, chiarendo che si fondava invece sulla totale difformità delle opere, in particolare per il piano interrato parzialmente fuori terra e dotato di porte e finestre, che aveva trasformato l’edificio. Inoltre, il TAR ha respinto le obiezioni relative al cambio di destinazione d’uso, confermando che il Comune poteva legittimamente ordinare il ripristino della destinazione agricola, poiché la normativa regionale richiede il permesso di costruire anche per i cambiamenti d’uso tra categorie urbanistiche, anche senza opere.

Avverso tale pronuncia, la ricorrente aveva proposto appello al Consiglio di Stato, basandosi su quattro motivi principali:

  • titolo edilizio esistente: la ricorrente ribadisce che l’ordinanza di demolizione si fondi sull’errata convinzione dell’assenza di un titolo edilizio, mentre esiste una concessione rilasciata nel 2002;
  • difformità non gravi: le opere realizzate (tamponatura esterna, piccolo vano interno, cambio d’uso) non costituirebbero una totale difformità dal progetto autorizzato, ma semplici variazioni non strutturali, già oggetto di una richiesta di sanatoria approvata dal Comune;
  • destinazione d’uso solo di fatto: il cambio d’uso dell’immobile non sarebbe rilevante sotto il profilo urbanistico, poiché non comporta trasformazioni strutturali né modifica la categoria funzionale dell’edificio;
  • opere sanabili: gli interventi sarebbero sanabili in base all’art. 36 del testo unico edilizia, perché compatibili con la destinazione urbanistica dell’area (zona D – artigianale/agricola).

Il Consiglio di Stato ha confermato integralmente la decisione di primo grado, chiarendo che l’ingiunzione di demolizione non si fonda sull’inesistenza di un titolo edilizio, ma sulle difformità tra quanto autorizzato dalla concessione edilizia e quanto effettivamente realizzato: l’eventuale riferimento alla mancanza del titolo è stato considerato un errore formale, senza influire sul contenuto sostanziale dell’ordinanza.

Il giudice ha inoltre accertato che le opere eseguite presentano modifiche in «totale difformità» rispetto al titolo ad edificare, in particolare perché il piano interrato è stato modificato, diventando parzialmente fuori terra e dotato di tamponature, finestre e porte. Ciò ha prodotto un edificio diverso per sagoma e caratteristiche, riconducibile all’ipotesi prevista dall’art. 31 del testo unico edilizia. Le obiezioni sollevate in appello su questo punto sono state giudicate generiche e prive di fondamento.

Il Consiglio di Stato ha anche specificato che, anche nel caso di difformità parziale, la demolizione sarebbe comunque legittima (ai sensi dell’art. 34 TUE), salvo che, durante l’esecuzione, la demolizione danneggi parti conformi; in tal caso, potrebbe essere applicata una sanzione pecuniaria:

anche in caso di difformità parziale, ai sensi dell’art. 34 del testo unico dell’edilizia, si applicherebbe comunque la sanzione demolitoria, salva la possibilità, prevista dal comma 2 della disposizione di legge ora richiamata, da fare valere nella successiva fase di esecuzione del provvedimento repressivo, di fiscalizzare l’abuso con il pagamento di una sanzione in caso di pregiudizio per la parte del manufatto eseguito in conformità

Infine, le obiezioni relative al cambio di destinazione d’uso sono state respinte perché il mutamento da “abitazione con annessi agricoli” a “rimessa per attrezzature e automezzi industriali” richiede un nuovo titolo edilizio, come stabilito dalla normativa regionale. Gli accertamenti comunali hanno confermato questo uso, mentre non è stata provata la presunta classificazione dell’area come zona “D” artigianale, sulla quale si fondava la tesi della sanabilità.

Pertanto, l’appello è stato respinto, poiché infondato in tutti i punti, confermando la sentenza di primo grado.

Torna in alto