Tratto da: Lavori pubblici.it
La formulazione del comma 1-bis, art. 9-bis, del D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) – recentemente modificato dal D.L. n. 69/2024 (Decreto Salva Casa) – consente l’utilizzo di riprese fotografiche, estratti cartografici, documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, per la valutazione dello stato legittimo dell’immobile.
Prescindendo dallo stato legittimo, alla luce dell’attuale disciplina edilizia e soprattutto per gli interventi realizzati in assenza di titolo edilizio, risulta di fondamentale importanza la prova della data di realizzazione degli stessi. Una prova che, come ormai chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, può essere fornita solo dal privato che risulta essere l’unico soggetto a essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova e, quindi, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l’epoca di realizzazione del manufatto.
Tra la documentazione idonea a dimostrare la data di realizzazione dell’intervento è ormai pacifico che non è possibile utilizzare dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà che non sono di per sé sufficienti e potendo essere utilizzate nel processo amministrativo solo in presenza di altri elementi probatori, precisi e concordanti, mentre in mancanza di idoneo riscontro, non essendo suscettibili di essere verificate, non rivestono alcun effettivo valore probatorio.
Le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà possono, cioè, costituire solo indizi che, in mancanza di altri elementi nuovi, precisi e concordanti, non risultano ex se idonei a scalfire l’attività istruttoria dell’amministrazione.
Tra i documenti probatori assumono, invece, particolare rilevanza le scansioni di Google Earth. Lo ha copiosamente confermato la giurisprudenza amministrativa che ha ribadito il concetto con la recente sentenza del Consiglio di Stato 3 giugno 2024, n. 4973 che consente di approfondire l’argomento.
Nel caso di specie viene appellata una sentenza di primo grado che aveva confermato la demolizione di alcuni interventi edilizi realizzati su un immobile. In secondo grado viene contestato:
- l’inattendibilità dell’attività di accertamento di eventuali abusi edilizi e della loro imputabilità;
- la violazione dell’art. 3, comma 1, lettera d) del Testo Unico Edilizia;
- l’applicazione dell’art. 31 del Testo Unico Edilizia ovvero l’applicabilità del procedimento sanzionatorio ad un abuso non scorporabile dalla parte legittima e, per di più, ricadente in zona vincolata.
Relativamente al primo punto, secondo il ricorrente il primo giudice avrebbe erroneamente ritenuto che i “raster” di Google costituiscano idonea prova dell’epoca di realizzazione dell’abuso e che tale circostanza sarebbe sufficiente a legittimare l’omissione della garanzia procedimentale di cui all’art. 7 della Legge. n. 241/1990. Il ricorrente, infatti, ha lamentato la contraddittorietà della sentenza impugnata che, pur riconoscendo che i rilievi estratti da “Google earth” (i raster) non hanno carattere certificato e non possono, quindi, costituire prova certa dell’abuso ha, tuttavia, assegnato ad essi un valore indiziario pregnante, tale da legittimare anche l’omissione della garanzia procedimentale.
I giudici di Palazzo Spada hanno preliminarmente ricordato che l’onere di fornire la prova dell’epoca di realizzazione di un abuso edilizio incombe sull’interessato e che la rilevanza a fini probatori delle risultanze di Google Earth è stata riconosciuta sia dalla giurisprudenza amministrativa che da quella penale, trattandosi di prove documentali che rappresentano fatti, persone o cose.
Nel caso di specie, la valenza quanto meno indiziaria dei rilievi fotografici in questione risulta corroborata, oltre che dalla certezza circa l’epoca di acquisizione delle immagini visualizzate, anche dalle visure catastali, allegate alla relazione tecnica e richiamate nell’ordinanza impugnata. Queste ultime confermano, in particolare, che l’immobile ha subito nel corso degli anni, per effetto di continui interventi edilizi non autorizzati, una variazione in termini di superficie, classamento e consistenza.
A fronte delle evidenze istruttorie sopra richiamate, l’appellante si è limitato a contestare genericamente l’attendibilità delle rilevazioni fotografiche e a lamentare la violazione dell’art. 7 della l. n. 241/1990, invocando la propria buona fede per aver acquistato l’immobile nello stato di fatto attuale.
Il Consiglio di Stato ha, inoltre, ricordato che:
- l’ordine di demolizione è atto dovuto e vincolato e non necessita di motivazione aggiuntiva rispetto all’indicazione dei presupposti di fatto e all’individuazione e qualificazione degli abusi edilizi;
- la natura ripristinatoria (e non anche sanzionatoria) dell’ordine di demolizione e l’impossibilità di configurare in favore dell’attuale proprietario un affidamento tutelabile alla conservazione dello stato di fatto esistente non consentono di assegnare rilievo né alla condizione di buona fede in cui lo stesso eventualmente versi né al tempo trascorso dalla realizzazione dell’abuso;
- costituisce jus receptum il principio secondo cui «l’attività di repressione degli abusi edilizi, mediante l’ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell’art. 7 l. n. 241/1990, considerando che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso».
Quest’ultimo principio potrebbe conoscere un’attenuazione, se non un correttivo, nei casi di abuso (non per assenza del permesso ma) per totale difformità (dal medesimo) ovvero per variazione essenziale ove fosse controverso e controvertibile – in punto di fatto – l’entità della variazione, ma non nel caso di variazione evidente e vistosa poiché in tal caso opera il meccanismo di cui all’art. 21-octies, comma 2, primo alinea, della Legge n. 241/1990 secondo il quale “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
Tali considerazioni sono state integralmente applicate dal giudice di prime cure che ha tenuto conto dell’entità dell’abuso, consistente nella totale trasformazione dell’immobile, con incremento di volume, modifica di sagoma e prospetto, in area assoggettata a plurimi vincoli sul piano ambientale, paesaggistico, sismico e idrogeologico.
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