La sentenza del Tar Lazio n. 21060/2025 analizza la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con una sanzione pecuniaria, in presenza di interventi edilizi realizzati in assenza di permesso di costruire o in totale difformità rispetto al progetto autorizzato. Al centro della controversia vi è la corretta applicazione dell’articolo 33 del Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. 380/2001), con particolare riguardo agli obblighi dell’Amministrazione di valutare le istanze dei privati e l’adeguatezza dell’istruttoria tecnica.
Il caso
La parte ricorrente è proprietaria di un appartamento situato all’ultimo piano di una palazzina a Roma, sul quale, nel 2006, ha realizzato un terrazzo di 4,20 x 3,85 metri, previa demolizione parziale del tetto a falda, e ha creato un locale abitabile nel sottotetto. Le opere realizzate sono state ritenute abusive con l’ordinanza che ne ha disposto la demolizione e il ripristino; ordinanza successivamente confermata dal T.A.R. Lazio.
Nel frattempo, il 9 dicembre 2020, la ricorrente ha presentato una SCIA ai sensi dell’art. 33 del D.P.R. 380/01 (“Testo unico edilizia”), chiedendo la sanatoria degli interventi realizzati senza permesso di costruire o in totale difformità, tra cui la realizzazione di terrazzini a sacca e la sostituzione del solaio, e ha contestualmente depositato un’istanza di sanatoria al Genio Civile, che ha approvato tecnicamente il progetto di adeguamento. La Direzione Tecnica del Municipio, con la nota impugnata, ha contestato la validità della SCIA, rilevando che l’istante non aveva dimostrato l’impossibilità di ripristinare le falde del tetto, che il deposito al Genio Civile riguardava solo la regolarizzazione strutturale, che i terrazzi a tasca erano inammissibili secondo il Piano Regolatore e che l’intervento, essendo una ristrutturazione RE2, era in contrasto con gli artt. 25 e 26 delle N.T.A. di P.R.G. Successivamente, la sentenza del Consiglio di Stato del 10 febbraio 2025 ha confermato la legittimità della sentenza di primo grado, dichiarando infondate le censure sulla presunta impossibilità di eseguire la demolizione senza compromettere la staticità dell’edificio.
Nel ricorso contro il diniego della fiscalizzazione degli oneri, la parte ricorrente ha sostenuto un unico motivo, invocando eccesso di potere per difetto di istruttoria e violazione di legge ex art. 33 TUE, ritenendo illegittimo il rigetto della SCIA in quanto mirava solo alla fiscalizzazione delle opere del 2006, sulla base dell’impossibilità di ripristinare lo stato ante operam, e omettendo di valutare la possibilità di convertire la sanzione ablatoria in pecuniaria.
Inoltre, ha sottolineato che la demolizione delle terrazze e il ripristino del tetto comprometterebbero gli adeguamenti antisismici e aumenterebbero i rischi strutturali. L’Amministrazione, costituitasi in giudizio, ha respinto le doglianze, evidenziando l’inutilizzabilità del modulo semplificato della SCIA per la fiscalizzazione degli oneri, il giudicato della sentenza del Consiglio di Stato secondo cui la ricorrente non aveva dimostrato l’impossibilità di eseguire la demolizione senza pregiudicare la staticità dell’edificio, e la mancanza di prova, anche con l’istanza impugnata, dei presupposti per applicare la fiscalizzazione.
Come deve comportarsi l’Amministrazione quando una richiesta di fiscalizzazione degli oneri viene presentata con un modulo non corretto?
All’esito dell’udienza di smaltimento dell’arretrato del 10 ottobre 2025, la causa è stata trattenuta in decisione. Il ricorso si ritiene fondato nei termini di seguito precisati.
In via preliminare, occorre osservare che, sebbene la ricorrente abbia erroneamente utilizzato il modulo SCIA, disciplina cui la fiscalizzazione degli oneri non è soggetta, tale circostanza non giustifica di per sé il rigetto dell’istanza. L’Amministrazione, infatti, nell’ottica del principio di leale collaborazione con il privato, è tenuta a valutare il contenuto sostanziale delle richieste anche se presentate con modulo non corretto, soprattutto quando la presentazione di un modulo specifico non è richiesta a pena di inammissibilità.
Nel caso in esame, è chiaro che la ricorrente non mirava alla sanatoria dell’abuso edilizio già accertato, ma alla verifica, ai sensi dell’art. 33 TUE, della possibilità di sostituire la sanzione esecutiva con quella pecuniaria. Non ostacola l’accoglimento del ricorso la pronuncia del Consiglio di Stato, in quanto, secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa, l’impossibilità di ripristino costituisce circostanza rilevabile in sede esecutiva, con applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva ai sensi dell’art. 34, comma 2, TUE. Essendo la presente richiesta presentata in fase esecutiva, l’Ufficio Tecnico Comunale era quindi tenuto a valutare la sussistenza dei presupposti per la fiscalizzazione, senza che rilevassero le statuizioni del Consiglio di Stato relative alla fase di accertamento dell’abuso.
Ai sensi dell’art. 33 TUE, qualora il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente dell’ufficio competente irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio del costo di produzione o del valore venale della superficie abusivamente trasformata. Applicando tale disciplina, emerge dalla relazione tecnica strutturale che il ripristino della copertura comporterebbe un aumento del peso in sommità, vanificando i miglioramenti sismici realizzati e aggravando i rischi statici e sismici dell’edificio, già compromesso dal naturale deterioramento. L’Ufficio comunale non ha fornito elementi in grado di confutare tali valutazioni. Ne consegue la fondatezza dei vizi di eccesso di potere e difetto di istruttoria, in quanto la Direzione tecnica del Municipio era tenuta a pronunciarsi specificamente sulle considerazioni del tecnico di parte, eventualmente motivando elementi contrari. Alla luce di quanto esposto, il ricorso va accolto per difetto di istruttoria, con conseguente obbligo per il Comune di rideterminarsi sull’istanza di fiscalizzazione, prendendo puntuale posizione sui contenuti della relazione tecnica in ordine ai rischi connessi al ripristino del tetto.

