tratto da biblus.acca.it

Confermata ma circoscritta la norma della Legge di Bilancio 2026 che obbliga i professionisti ad attestare il regolare adempimento degli obblighi fiscali e previdenziali

Una norma prevista dall’art. 129, comma 10 della Legge di Bilancio 2026 subordina il pagamento dei compensi ai liberi professionisti da parte delle pubbliche amministrazioni alla verifica della loro regolarità fiscale e contributiva.

In base a tale disposizione, a partire dal 1° gennaio 2026  i professionisti sono tenuti a produrre, contestualmente alla presentazione della fattura per le prestazioni rese, la documentazione attestante il regolare adempimento degli obblighi fiscali e previdenziali, pena la sospensione del pagamento del compenso.

Si tratta di un vero e proprio sistema di verifica preventiva che obbliga la pubblica amministrazione committente a controllare la regolarità della posizione dei professionisti, tenuti a loro volta a chiedere agli enti preposti una certificazione della regolarità della posizione previdenziale (equivalente al DURC) alla Cassa di appartenenza e un attestato di conformità fiscale all’Agenzia delle Entrate.

La misura sembra essere stata confermata in Commissione Bilancio del Senato durante l’esame degli emendamenti. Uno di questi, infatti, si limita a rendere maggiormente definito il dettato della norma contenuta in legge di bilancio, circoscrivendo i controlli sui professionisti alle sole cartelle esattoriali già iscritte a ruolo.

La disposizione ha la finalità di bloccare i pagamenti anche di modesta entità qualora il professionista abbia ricevuto la notifica di cartelle di pagamento. Anche in caso di approvazione dell’emendamento continuerebbe a trovare applicazione la disposizione di cui al comma 1 del D.P.R 602/1973.

Una precisazione importante che va a limitare la portata della generica “verifica della regolarità degli obblighi fiscali” che avrebbe potuto paralizzare l’attività dei liberi professionisti anche in presenza di contenziosi ancora aperti oppure, per esempio, la mancata presentazione di una ‘Lipe’.

Con l’aggiunta del comma 1 ter all’articolo 48-bis del D.P.R 602/1973 scatta, a differenza di quanto avviene oggi, l’obbligo di verifica nei confronti del professionista anche per somme inferiori a 5.000 euro. In caso di presenza di cartelle esattoriali, il blocco del pagamento del compenso avverrebbe fino a concorrenza dell’importo iscritto a ruolo (ad esempio, in presenza di un compenso di 3.000 euro e di una somma iscritta a ruolo di 2.800, verrebbe bloccata la somma di 2.800 euro). La parte eccedente (200 euro) verrebbe versata.

Pertanto, se il pagamento del compenso al professionista supera il limite di 5.000 euro, il blocco integrale scatta in ogni caso qualora gli importi iscritti a ruolo siano superiori a 5.000 euro. Qualora questi siano inferiori a cinquemila euro, invece, il pagamento, continua ad essere erogato.

Le reazioni

Il Consiglio Nazionale Forense, in particolare, esprime profonda preoccupazione per la disposizione, palesemente “vessatoria e discriminatoria nei confronti dei liberi professionisti, con effetti potenzialmente paralizzanti per lo svolgimento dell’attività professionale svolta anche favore delle classi meno abbienti“.

Un meccanismo che, anche in presenza di irregolarità minime o meramente formali – come il mancato versamento della tassa di circolazione autoveicoli, di un contributo previdenziale o di una semplice contravvenzione – potrebbe indurre le amministrazioni pubbliche a bloccare l’erogazione dei compensi invocando presunte irregolarità o discrepanze nella documentazione allegata alle fatture elettroniche.

Chiediamo al governo la soppressione di questa norma, che così formulata peraltro introdurrebbe infatti fattori di ingiusta discriminazione – spiega Francesco Greco, presidente del Consiglio Nazionale Forense – tra professionisti e dipendenti pubblici: questi ultimi, infatti, se inadempienti ai propri obblighi fiscali, anche di importo rilevante, mantengono il diritto, ovvio e corretto, alla retribuzione; al contrario l’avvocato – per un inadempimento anche di insignificante importo – perde il diritto al compenso. Le conseguenze sarebbero gravemente pregiudizievoli per il libero esercizio della professione, con inevitabili ritardi, incertezze e contenziosi nei rapporti con le amministrazioni pubbliche“.

Secondo il Consiglio nazionale dei commercialisti la misura “rischia di produrre effetti distorsivi e di introdurre ulteriori complicazioni burocratiche” e va eliminata “in quanto non sono previsti né una soglia minima dei debiti del professionista oltre la quale opererebbe il “blocco” dei pagamenti a suo favore da parte delle pubbliche amministrazioni, né un limite da applicare al compenso da sottoporre al medesimo “blocco”.

Anche l’Unione nazionale delle Camere civili ritiene che la disposizione rappresenti un inutile appesantimento amministrativo per tutti i professionisti che intrattengono rapporti di collaborazione con enti pubblici, tanto più che la PA dispone già delle informazioni necessarie per effettuare tali controlli, grazie all’interconnessione delle proprie banche dati (Agenzia delle Entrate, Inps, Inail e Casse professionali).

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