Tratto dalla piattaforma Substack a cura di Antonio Naddeo

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Parte I – L’autonomia del dirigente: dialogare con autorevolezza

Questa settimana voglio affrontare il tema più delicato della vita di un dirigente pubblico: il rapporto con la politica. Un equilibrio che, quando funziona, fa muovere la macchina amministrativa. Quando si inceppa, la blocca.

C’è un momento, nella vita di ogni dirigente pubblico, che mette alla prova più dell’approvazione del bilancio, più della gestione del personale, più della pressione delle emergenze quotidiane: il dialogo con il vertice politico.

È un terreno fragile, un confine sottile.

Da una parte ci sono le competenze tecniche, il presidio della legalità, la responsabilità amministrativa. Dall’altra ci sono visione, priorità, mandato democratico.

Sono mondi diversi, chiamati però a cooperare. E quando questa cooperazione funziona, la macchina amministrativa accelera. Quando si inceppa, la PA rallenta, si irrigidisce, si chiude.

In questo articolo – che pubblicherò in due parti – vorrei provare a raccontare proprio questo equilibrio: come dialogare con il vertice politico senza rinunciare alla propria autonomia, e come la politica possa a sua volta rendere possibile un cambiamento vero, non retorico.

Oggi partiamo dalla prima prospettiva: quella del dirigente.


🔍 Un’esperienza trasversale

 

Nella mia vita professionale mi sono confrontato tante volte con ministri diversi, di diverso colore politico.

E ho imparato che la qualità del dialogo non dipende dall’appartenenza partitica, ma dalla reciproca capacità di riconoscere i ruoli: la politica che ha il diritto-dovere di indirizzare, la dirigenza che ha la responsabilità di realizzare nel rispetto della legalità e dell’efficacia.

Quando questa consapevolezza c’è, il confronto diventa costruttivo. Anche robusto, anche faticoso, ma costruttivo. Quando manca, si aprono due strade: o il dirigente diventa esecutore passivo, o si trasforma in ostacolo per principio. Entrambe sbagliate.

Quello che segue viene da lì: da quegli incontri, da quei tavoli, da quelle tensioni risolte (o non risolte).


1. L’autonomia non si difende opponendosi, ma dialogando con autorevolezza

 

Negli anni ho imparato una cosa semplice, ma tutt’altro che scontata: un dirigente non perde autonomia quando dialoga con il vertice politico; la perde quando smette di farlo.

Autonomia non è isolamento. Autonomia non è rigidità. Autonomia non è dire “no” per principio.

L’autonomia si difende con autorevolezza, portando sul tavolo:

  • scenari chiari

  • alternative praticabili

  • costi e benefici

  • tempi realistici

  • e soprattutto: impatti sui cittadini e sull’organizzazione

Il dirigente non è un freno: è una bussola. Il suo compito non è opporsi, ma orientare.


2. Per essere ascoltati, bisogna parlare il linguaggio dell’impatto

 

Troppo spesso, nel dialogo interno alla PA, vincono le norme, gli articoli, i commi, le eccezioni, i precedenti, le circolari.

Sono indispensabili, certo. Ma non sono linguaggio di governo.

Il vertice politico ha bisogno di capire, più di tutto:

  • cosa succede se scegliamo questa strada

  • quali saranno gli effetti sui servizi

  • come reagirà l’organizzazione

  • quali risorse serviranno

  • quanto tempo richiederà

Questo è parlare con autorevolezza. È trasformare la tecnica in intelligenza istituzionale.


3. La fermezza gentile: dire “no” quando serve, nel modo giusto

 

Un dirigente senza capacità di dire “no” non è un dirigente.

Ma un “no” per essere efficace deve essere:

  • motivato

  • documentato

  • alternativo (”non così, ma così”)

  • orientato alla soluzione, non alla difesa

La fermezza non è arroganza: è cura dell’interesse pubblico.

Paradossalmente, è proprio qui che spesso nasce la fiducia reciproca.


📌La prossima settimana: il ruolo della politica

 

Questa prima parte si è concentrata sul dirigente e sulla sua capacità di dialogare con autorevolezza.

Ma il dialogo non è mai a senso unico.

La prossima settimana vedremo l’altra faccia del patto: il ruolo della politica nel rendere possibile il cambiamento. Perché molte riforme falliscono non per limiti tecnici, ma per debolezza del mandato politico.

Ci vediamo lunedì prossimo.

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