Tratto da: Lavori Pubblici 

La disciplina del cambio di destinazione d’uso è uno dei terreni più delicati dell’attività edilizia. La transizione da una categoria funzionale all’altra, soprattutto quando riguarda il passaggio verso l’uso abitativo, incide direttamente sul carico urbanistico, sull’organizzazione dei servizi e sulle scelte pianificatorie dell’amministrazione.

Ma quando un locale accessorio può essere considerato trasformato in una vera e propria unità abitativa? Quali elementi sono sufficienti per integrare un cambio di destinazione d’uso rilevante ai fini urbanistici? E, soprattutto, il mutamento richiede sempre il permesso di costruire, o può essere ricondotto a interventi minori?

 

Proprio su questo snodo interviene la sentenza del TAR Lazio del 16 ottobre 2025, n. 17871, relativa al ricorso contro l’ordine di demolizione di opere realizzate in difformità dal permesso di costruire originario di un locale lavatoio e trasformato in un ambiente dotato di impianti, infissi di sicurezza e dotazioni tipiche di uno spazio ad uso abitativo.

Il caso offre un’occasione preziosa per ricostruire i criteri con cui la giurisprudenza individua la soglia oltre la quale le modifiche incidono sulla destinazione funzionale dell’immobile, rendendo necessario il permesso di costruire.

Secondo le proprietarie ricorrenti, non sarebbe stato realizzato alcun cambio di destinazione d’uso, le opere sarebbero state già presenti al momento dell’acquisto dell’immobile e gli interventi sarebbero comunque regolarizzabili.

Di diverso avviso il TAR, che ha respinto integralmente il ricorso, confermando la legittimità dell’ingiunzione a demolire. Vediamo perché.

Il mutamento di destinazione d’uso è disciplinato in via generale dal d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia), che distingue tra:

  • destinazioni d’uso funzionalmente autonome, la cui variazione incide sul carico urbanistico e richiede un titolo edilizio più incisivo;
  • destinazioni d’uso omogenee o interne alla stessa categoria funzionale, il cui mutamento può essere ricondotto a regimi semplificati.

Il riferimento principale è l’art. 23-ter, che definisce le categorie funzionali (residenziale, turistico-ricettiva, produttiva, direzionale, commerciale, rurale, ecc.) e stabilisce che:

  • il cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante si verifica quando si passa da una categoria funzionale all’altra;
  • tale mutamento è sempre considerato intervento di ristrutturazione edilizia comportante trasformazione dell’immobile.

Ne consegue che il titolo richiesto varia in relazione alla presenza o meno di opere edilizie:

  • permesso di costruire quando il mutamento comporta opere edilizie tali da incidere sull’organismo edilizio o sulla sagoma, oppure quando avviene tra categorie non omogenee ed è prevista dalla pianificazione come trasformazione edilizia maggiore;
  • SCIA negli altri casi di ristrutturazione edilizia “leggera” senza opere rilevanti, nei limiti consentiti dal quadro urbanistico locale;
  • nessun titolo solo quando il cambio avviene all’interno della stessa categoria e non vi è incidenza urbanistica.

È su questo impianto normativo, che distingue la modifica meramente funzionale da quella urbanisticamente rilevante, che la giurisprudenza amministrativa ha sviluppato un orientamento consolidato: il passaggio da locale accessorio (lavatoio, stenditoio, deposito, cantina) a unità abitativa integra sempre una variazione di categoria funzionale e dunque richiede un titolo edilizio adeguato.

Neppure il recente intervento normativo del D.L. n. 69/2024 (c.d. ‘Salva Casa’), pur ampliando i casi di mutamento non rilevante, ha modificato la natura urbanisticamente significativa del passaggio da locale accessorio a residenziale, che resta sempre assoggettato a titolo edilizio idoneo.

Proprio applicando le coordinate dell’art.23-ter del Testo Unico Edilizia il TAR ha sottolineato che solo il cambio di destinazione d’uso tra categorie omogenee non richiede permesso di costruire.

Quando il mutamento avviene tra categorie funzionalmente autonome e non omogenee, o tra vani accessori e spazi abitativi, si configura una trasformazione edilizia che incide sul carico urbanistico e richiede il permesso di costruire, anche se accompagnata da opere interne di modesta entità.

Per fondare tale principio, il Collegio richiama precedenti dello stesso tribunale con i quali è stato ribadito come il mutamento verso l’uso abitativo non possa mai considerarsi neutro dal punto di vista urbanistico.

Il Collegio ribadisce la natura oggettiva dell’illecito edilizio: una volta accertata la difformità, l’amministrazione deve intervenire, senza margini di discrezionalità.

Sul piano sanzionatorio, il TAR richiama anche i principi espressi dall’Adunanza Plenaria n. 9/2017 e dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui la demolizione è atto dovuto quando l’abuso è accertato e non sanato.

Il cuore della motivazione riguarda l’individuazione degli indicatori del mutamento di destinazione d’uso.

Il TAR chiarisce che la trasformazione verso l’uso abitativo può essere desunta non da un singolo elemento, ma dal complesso degli interventi presenti nell’immobile come la presenza della porta blindata, il videocitofono e l’impianto TV; l’impianto di riscaldamento a parete, indicativo della permanenza abitativa, gli impianti idrico-fognari idonei a funzioni tipiche di un bagno o di un angolo cottura, la caldaia e lavatrice installate stabilmente, le piastrellature e finiture interne coerenti con ambienti destinati alla vita quotidiana.

Il Tribunale osserva che, considerati congiuntamente, tali elementi denotano un chiaro mutamento funzionale, incompatibile con la destinazione originaria.

Non assumono rilievo, inoltre, le argomentazioni delle ricorrenti circa la preesistenza delle opere: anche se ciò fosse stato dimostrato (e non lo è), la responsabilità dell’abuso resta in capo al proprietario attuale, che ne beneficia e risponde dell’illecito.

Il ricorso è stato respinto, confermando la legittimità degli ordini di demolizione e la qualificazione delle opere quali interventi abusivi comportanti mutamento di destinazione d’uso abitativa.

Si confermano alcuni importanti punti sul tema:

  • il cambio di destinazione d’uso verso l’abitativo richiede sempre il permesso di costruire quando comporta il passaggio a una categoria funzionalmente autonoma;
  • la valutazione non si basa su un singolo elemento ma su un insieme coerente di impianti, infissi, finiture e dotazioni;
  • la presenza di impianti di riscaldamento, sicurezza, scarico e dotazioni tipiche dell’abitare è sufficiente per configurare il mutamento;
  • l’amministrazione esercita un potere vincolato: la demolizione è atto dovuto in caso di abuso non sanato;
  • la responsabilità dell’abuso ricade sul proprietario attuale, indipendentemente dall’esecutore materiale;
  • le osservazioni presentate dall’interessato non possono superare un quadro istruttorio completo e coerente come quello valorizzato nella sentenza.
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