Tratto da: Lavori Pubblici  

Un errore materiale o una motivazione sintetica possono rendere illegittimo un ordine di demolizione? E cosa accade se l’atto è notificato solo al proprietario o contiene un refuso sul termine per eseguire la demolizione?

 

Ha risposto a queste domande il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio con la sentenza n. 19808 del 7 novembre 2025 che si sofferma su una problematica che, nella pratica quotidiana, torna spesso sui tavoli dei tecnici e dei legali impegnati in contenziosi edilizi, dove forma e sostanza devono trovare un equilibrio ragionevole.

Il caso riguarda un’ordinanza di demolizione emessa da un Comune per la realizzazione di opere difformi rispetto alla SCIA originaria: al piano terra, un cambio di destinazione d’uso da magazzino a residenziale e una nuova distribuzione interna dei locali; al piano seminterrato, modifiche interne ai vani adibiti a cantina e magazzino.

Il destinatario dell’ordinanza ha proposto ricorso al TAR sollevando sei motivi di illegittimità:

  • l’atto sarebbe nullo per mancanza di indicazione del responsabile dell’abuso;
  • la motivazione sarebbe carente, non descrivendo con precisione le opere abusive;
  • il termine per la demolizione (“entro 120” invece di “entro 120 giorni”) renderebbe l’ordinanza indeterminata;
  • mancherebbe un accertamento preventivo dell’abuso da parte dell’ufficio tecnico;
  • la notifica sarebbe irregolare, perché indirizzata al solo proprietario.

Il TAR Lazio ha respinto tutte le censure, riaffermando che il provvedimento comunale risponde ai requisiti di legittimità sostanziale e che i vizi formali non incidono sulla validità dell’atto quando il contenuto resta chiaro e comprensibile.

Come sempre, per comprendere i principi espressi dai giudici di primo grado, circoscriviamo il quadro normativo di riferimento.

Il potere di repressione degli abusi edilizi trova fondamento nell’art. 27 del d.P.R. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), che attribuisce ai Comuni la vigilanza sull’attività edilizia e la facoltà di ordinare la demolizione delle opere abusive.

L’art. 33 del medesimo testo unico disciplina il procedimento per gli interventi eseguiti in totale difformità o in assenza di titolo, prevedendo la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi a carico del responsabile e del proprietario.

A livello regionale, l’art. 16 della L.R. Lazio n. 15/2008 impone che l’ordine di demolizione sia accompagnato da un termine non superiore a 120 giorni, entro il quale l’interessato deve provvedere spontaneamente alla rimozione dell’abuso.

Infine, l’art. 21-octies della Legge 241/1990 esclude l’annullabilità del provvedimento per errori formali quando, per la natura vincolata dell’atto, il suo contenuto non sarebbe potuto essere diverso. È proprio questo il filo conduttore della decisione del TAR Lazio.

Sulla base del quadro normativo delineato, il Tribunale amministrativo ha ribadito un principio di fondo: la sostanza prevale sulla forma. L’ordine di demolizione è un provvedimento vincolato, che trova il suo presupposto nell’accertamento dell’abuso edilizio. Una volta verificata la difformità, l’amministrazione ha il dovere di agire, e i meri vizi materiali non possono paralizzare l’esercizio del potere repressivo.

Nel caso esaminato:

  • l’indicazione “omissis” nel testo dell’ordinanza non comporta nullità, poiché un allegato individuava con precisione il destinatario e l’immobile;
  • la motivazione è ritenuta sufficiente, poiché descrive le opere abusive, le differenze rispetto alla SCIA e le norme violate (art. 33 d.P.R. 380/2001 e art. 16 L.R. Lazio 15/2008);
  • il refuso sul termine per la demolizione è irrilevante, essendo comunque chiaro – dal richiamo alla legge regionale – il limite massimo dei 120 giorni;
  • l’accertamento tecnico è provato dal verbale della Polizia Locale, che documenta puntualmente le opere realizzate;
  • infine, la notifica al proprietario dell’immobile è perfettamente legittima, salvo prova contraria della sua estraneità alle opere abusive.

In altre parole, l’atto è considerato legittimo quando consente al destinatario di comprendere cosa gli viene contestato, perché e con quali conseguenze.

La sentenza conferma un orientamento ormai consolidato: l’ordine di demolizione non richiede una motivazione complessa, ma solo l’indicazione degli elementi essenziali che rendono intellegibile il comando amministrativo.

Nel caso concreto, l’amministrazione aveva chiaramente indicato:

  • il titolo edilizio originario (SCIA del marzo 2022);
  • la descrizione delle opere difformi, con indicazione dei piani e della nuova destinazione d’uso;
  • il verbale di sopralluogo a supporto dell’accertamento tecnico.

Tali elementi sono ritenuti sufficienti per garantire la trasparenza dell’azione amministrativa e per consentire al destinatario di difendersi.

Sul piano sostanziale, il TAR ha richiamato l’orientamento del Consiglio di Stato secondo cui l’ordine di demolizione è un atto vincolato, privo di margini discrezionali: una volta accertato l’abuso, il Comune non può che ordinare la rimozione.
Da qui la conseguenza logica: eventuali irregolarità formali – refusi, sintesi nella motivazione o imprecisioni grafiche – non inficiano l’efficacia del provvedimento, purché non compromettano la comprensibilità dell’atto e non ne alterino la sostanza.

La decisione del TAR Lazio restituisce un principio di equilibrio e ragionevolezza che i tecnici comunali e i professionisti del settore dovrebbero tenere sempre a mente: la forma è importante, ma la sostanza lo è di più.

In termini pratici:

  • chiarezza e coerenza restano gli elementi chiave di una buona ordinanza: descrivere le opere, indicare il titolo edilizio di riferimento e le norme violate basta a fondare la motivazione;
  • refusi o inesattezze formali non comportano l’illegittimità se l’atto consente comunque di comprendere l’obbligo imposto;
  • verbali e accertamenti tecnici possono essere allegati o semplicemente richiamati, purché dimostrino la conoscenza diretta dei fatti;
  • la notifica al proprietario è valida: spetta a lui dimostrare di non essere responsabile dell’abuso.

Per i privati, la sentenza è un monito a non sottovalutare le difformità realizzate rispetto ai titoli edilizi dichiarativi: la contestazione del Comune è difficilmente ribaltabile se l’abuso è oggettivamente accertato.
Per le amministrazioni, invece, è un invito a redigere atti chiari, lineari e completi, evitando formalismi superflui ma garantendo sempre la tracciabilità delle verifiche svolte.

In fondo, come ricorda il TAR, il principio di legalità non si misura dalla perfezione lessicale di un’ordinanza, ma dalla sua capacità di rendere evidente l’abuso e di ripristinare la corretta gestione del territorio.

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