Tratto da: Lavori Pubblici
Come si determina oggi lo stato legittimo di un immobile dopo la riforma introdotta dal Salva Casa? Fino a che punto la presenza di titoli edilizi parziali o di vecchie sanatorie può considerarsi sufficiente per attestare la conformità complessiva dell’edificio?
Nonostante l’intento del legislatore di semplificare la disciplina edilizia con il Decreto Salva Casa (D.L. n. 69/2024 convertito con modificazioni dalla Legge n. 105/2024) alcuni punti del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia o TUE) continuano a generare incertezze applicative.
Anche le Linee di indirizzo e criteri interpretativi del MIT, pur offrendo un primo orientamento interpretativo, non sono bastate a chiarire del tutto il significato operativo di “stato legittimo”.
Su questo tema si è già espressa la giurisprudenza amministrativa.
Il TAR Lombardia, ad esempio, con la sentenza n. 227 del 25 gennaio 2025, ha precisato che la semplice rappresentazione grafica di opere non legittime all’interno di una pratica edilizia non ne comporta la regolarizzazione postuma. Con la sentenza n. 2749 del 22 luglio 2025 lo stesso Tribunale ha aggiunto che non basta l’ultimo titolo edilizio se manca una verifica esplicita dei titoli precedenti: le dichiarazioni progettuali non hanno valore sanante e la presunzione di verifica, evocata dal MIT, non trova conferma nei giudizi amministrativi.
Sulla stessa linea, il Consiglio di Stato – con la sentenza n. 1382 del 18 febbraio 2025 – ha escluso che possa configurarsi un assenso implicito a opere abusive. E, con la sentenza del 13 ottobre 2025, n. 7992, ha chiarito che lo stato legittimo dell’immobile va ricostruito sulla base dei titoli effettivamente rilasciati e mai annullati, poiché solo questi definiscono l’assetto edilizio assentito. Le relazioni tecniche o le planimetrie approvate hanno valore documentale, ma non possono incidere sulla legittimità del titolo; la rimozione di eventuali errori resta affidata alla corretta gestione dell’autotutela amministrativa.
Una nuova lettura arriva ora dal TAR Lazio, che con la sentenza n. 19535 del 5 novembre 2025 offre una interpretazione puntuale del nuovo art. 9-bis, comma 1-bis, del d.P.R. 380/2001, destinata a incidere sulla prassi comunale.
Nel caso esaminato, il ricorrente aveva impugnato un’ordinanza di demolizione riferita a un ampliamento considerato abusivo.
Secondo la proprietà, l’opera doveva ritenersi conforme al titolo edilizio originario e alle successive pratiche presentate negli anni, che dimostravano – a suo dire – la coerenza dell’intero edificio.
Il Comune, invece, sosteneva che i titoli richiamati riguardassero solo parti dell’immobile e che mancasse la prova di una verifica complessiva di legittimità in sede di rilascio dell’ultimo titolo edilizio.
L’art. 9-bis del TUE, modificato dal Salva Casa, ha profondamente ridefinito il concetto di stato legittimo. Il nuovo comma 1-bis dispone che:
“Lo stato legittimo è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa o da quello che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile, a condizione che l’amministrazione, in sede di rilascio, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi.”
La norma comprende ora anche:
- i titoli rilasciati o formati in sanatoria (artt. 34-ter, 36, 36-bis, 38 TUE);
- il pagamento delle sanzioni sostitutive ex artt. 33, 34, 37 e 38;
- i casi in cui esista un principio di prova del titolo originario, anche se la copia materiale non è più reperibile.
Si afferma dunque un criterio unitario e integrato, che collega la legittimità non al singolo titolo ma alla catena documentale complessiva, purché sottoposta a verifica comunale.
Il TAR Lazio ha individuato tre condizioni cumulative per il riconoscimento dello stato legittimo nella nuova formulazione post Salva Casa:
- riferimento all’intero immobile: il titolo deve riguardare l’intero edificio o l’intera unità immobiliare, non porzioni isolate;
- verifica dei titoli pregressi: l’amministrazione deve aver effettuato, in modo esplicito, la verifica della legittimità dei precedenti; la semplice menzione o il silenzio non bastano;
- continuità documentale: la legittimità deriva dall’integrazione tra i diversi titoli succedutisi nel tempo, purché riconducibili a un quadro istruttorio coerente e controllato.
Il giudice esclude quindi che il privato possa autodeterminare lo stato legittimo mediante una ricostruzione storica o catastale non convalidata dal Comune. L’art. 9-bis – osserva il TAR – ha voluto rafforzare il ruolo certificativo dell’amministrazione, superando la precedente logica meramente dichiarativa.
La decisione segna un passaggio importante: lo stato legittimo non è più un concetto statico ma un esito procedurale, fondato sulla verifica amministrativa compiuta in occasione dell’ultimo titolo edilizio complessivo.
Ne derivano alcune implicazioni operative:
- un titolo edilizio parziale (es. CILA o SCIA) non può sanare difformità pregresse, salvo verifica espressa del Comune;
- l’assenza di documenti originari può essere colmata solo da un principio di prova certo e verificabile, non da planimetrie catastali o rilievi privi di valore probatorio;
- le dichiarazioni tecniche ex art. 34-bis assumono rilievo solo se accompagnate dal pagamento delle relative sanzioni.
In sintesi, la verifica comunale diventa l’elemento imprescindibile per la determinazione dello stato legittimo e la sua mancanza preclude l’utilizzo dell’art. 9-bis come strumento di regolarizzazione implicita.
Il TAR Lazio ha respinto il ricorso, confermando la legittimità dell’ordinanza di demolizione e affermando che la dimostrazione dello stato legittimo non può fondarsi su ricostruzioni tecniche prive di un atto amministrativo che attesti la continuità e la regolarità dei titoli edilizi pregressi.
Ecco alcune indicazioni operative utili ai tecnici:
- ricostruire sempre la catena dei titoli edilizi e verificare se l’ultimo titolo abbia interessato l’intero immobile;
- in mancanza di titolo originario, documentare il “principio di prova” attraverso atti d’archivio o catastali di provenienza certa;
- evitare di asseverare lo stato legittimo in assenza di una previa verifica comunale, poiché la responsabilità resta in capo al tecnico;
- considerare che la versione post Salva Casa dell’art. 9-bis consente una maggiore flessibilità, ma non elimina la necessità di una verifica sostanziale della conformità edilizia e urbanistica.
La decisione del TAR Lazio si inserisce dunque nel solco di una giurisprudenza sempre più orientata a valorizzare la funzione pubblica di controllo e a restituire certezza ai procedimenti edilizi, ponendo fine alla stagione delle autodichiarazioni e delle interpretazioni flessibili sullo “stato legittimo”.

