Tratto da: Sentenzeappalti  

Consiglio di Stato, sez. V, 31.10.2025 n. 8493

12.2. La questione all’esame del Collegio impone il richiamo del quadro normativo di riferimento, e in particolare dei principi enunciati dal Codice degli appalti, a mezzo dell’art. 70 del d.lgs. n. 36 del 2023. La norma dispone l’inammissibilità delle offerte: a) non conforme ai documenti di gara; b) ricevute oltre i termini indicati nel bando o nell’invito con cui si indice la gara; c) in relazione alle quali vi sono prove di corruzione e collusione; d) considerate anormalmente basse; e) presentate da offerenti che non possiedono la qualificazione necessaria; f) il cui prezzo supera l’importo posto a base di gara, stabilito e documentato prima dell’avvio della procedura di appalto, salvo che il bando non preveda espressamente tale possibilità, individuandone i limiti di operatività.
La disposizione, modificata a seguito del d.lgs. n. 209 del 2024, stabilisce la facoltà per le stazioni appaltanti di prevedere espressamente nel bando la possibilità che il prezzo delle offerte superi l’imposto posto a base di gara, stabilito e documentato prima dell’avvio della procedura di appalto. Il bando dovrà individuare i limiti di operativi di tale possibilità. Prima della riforma, secondo la giurisprudenza di settore, le offerte il cui prezzo superasse l’importo a base di gara erano inammissibili (Cons. Stato, n. 2542 del 2017; id. n. 688 del 2022).
Appare all’evidenza che una modifica dell’importo posto a base di gara è consentita solo ed esclusivamente se prevista dal bando.
Le valutazioni tecniche che riguardano la determinazione del valore di un Accordo quadro sono espressione di discrezionalità tecnica propria della stazione appaltante e possono essere sindacate solo ove sia dimostrato che esse sono manifestamente illogiche, irrazionali, irragionevoli, arbitrarie o fondate su di un manifesto travisamento dei fatti.
Orbene, passando all’esame del primo mezzo, il Collegio ritiene che la tesi difensiva sostenuta dall’appellante, secondo cui il Tribunale adito avrebbe qualificato la stima dei ricavi della stazione appaltante come valore ‘vincolante’ e come ‘limite invalicabile’, non può trovare accoglimento.
Va, infatti, correttamente interpretata la motivazione della sentenza impugnata, atteso che il Giudice di prima istanza ha diffusamente argomentato sulle ragioni per le quali la stima dei ricavi non possa essere derogata ad libitum da parte degli operatori economici, tenuto conto che “ai sensi dell’art. 5.1. del Capitolato di oneri, la base d’asta di quattro milioni di euro, è nella specie, espressamente il valore massimo dell’Accordo quadro”.
La disposizione introduce un autovincolo stabilito dalla stazione appaltante ai fini di definire il valore massimo dell’Accordo quadro, e parimenti rappresenta un limite per gli operatori economici, i quali non possono modificare ad libitum la base d’asta, aumentandone la determinazione effettuata dalla stazione appaltante, in questo modo alterando la procedura competitiva e pregiudicando la parità di trattamento.
Come noto, l’Accordo quadro è un accordo tra una o più stazioni appaltanti e uno o più operatori economici volto a stabilire le clausole che andranno a disciplinare gli appalti da affidare entro un determinato arco temporale. L’istituto rappresenta “una procedura di selezione del contraente (che non postula alcuna deroga ai principi di trasparenza e completezza dell’offerta) allo scopo di semplificare, sotto il profilo amministrativo, il processo di aggiudicazione dei contratti fra una o più stazioni appaltanti ed uno o più operatori economici, individuando futuri contraenti, prefissando condizioni e clausole relative agli appalti in un dato arco temporale massimo, con l’indicazione dei prezzi e, se del caso, delle quantità previste. Così facendo l’amministrazione accorpa la maggior parte degli adempimenti amministrativi ed ottiene un risparmio di attività procedimentale, nonché di oneri connessi alle procedure di affidamento” (Cons. Stato, n. 5785 del 2021).
La giurisprudenza ha inquadrato l’Accordo quadro nella tipologia dei contratti normativi, cioè quei contratti da cui non conseguono nell’immediato effetti reali o obbligatori, e il cui effetto pratico è quello di vincolare le parti contraenti al rispetto delle condizioni fissate ai fini della disciplina dei successivi contratti esecutivi. Per tale ragione, l’aggiudicatario non acquisisce alcun diritto o aspettativa a eseguire le prestazioni nella misura indicata come valore massimo dell’Accordo quadro nei documenti di gara.
In questa logica, la giurisprudenza comunitaria ha affermato che nell’Accordo quadro è necessario fissare il valore massimo dello stesso che definisce il limite dello sforzo organizzativo che potrà essere richiesto all’aggiudicatario, al fine di garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento e di trasparenza. Ai fini della legittimità dell’affidamento, l’unico obbligo che hanno gli enti appaltanti è quello di fissare nella documentazione di gara il valore dell’Accordo quadro, che costituisce un limite che opera in duplice direzione: limite massimo di spesa che l’ente appaltante non può superare e limite massimo delle prestazioni che possono essere richieste all’aggiudicatario.
Dai rilievi espressi si desume che, se il valore dell’Accordo quadro rappresenta l’ammontare massimo delle prestazioni che possono essere eseguite sulla base dei contratti esecutivi dello stesso, l’operatore economico è tenuto a rispettare tale valore di riferimento.

Torna in alto