La sentenza della Corte di Cassazione n.31136/2025 riguarda un tragico incidente avvenuto in un cantiere stradale, dove un lavoratore cadendo da un burrone ha perso la vita. Questo caso offre un’importante riflessione sulla responsabilità del datore di lavoro in tema di sicurezza nei cantieri edili e sulle misure che devono essere adottate per prevenire infortuni.
Il luogo del sinistro era costituito da una strada statale con un tratto di cantiere delimitato da un guardrail che però era stato sollevato a circa 1,60 metri dal piano di calpestio, creando così una barriera insufficiente a impedire il passaggio oltre l’orlo pericoloso. Il lavoratore coinvolto, pur essendo assegnato ad attività di scavo a distanza sicura dal burrone, si è invece spostato oltre il guardrail e di lì è precipitato.
Accuse rivolte al datore di lavoro
Il datore di lavoro, titolare della ditta impegnata nei lavori, è stato accusato di non aver adottato tutte le misure necessarie per la sicurezza, come previsto dalla normativa vigente, in particolare dal D.Lgs. 81/2008, che disciplina la salute e la sicurezza sul lavoro. Le accuse principali erano la mancata redazione di un piano operativo di sicurezza che tenesse conto dei rischi reali presenti nel cantiere, la non installazione di parapetti e barriere adeguate per evitare cadute dall’alto, e la mancanza di una segnaletica chiara che avvertisse i lavoratori del pericolo. Inoltre, è stata rilevata anche l’assenza di un bagno chimico all’interno del cantiere, in violazione delle norme sull’igiene e la salute nei luoghi di lavoro.
Difesa del datore di lavoro
Dal canto suo, la difesa ha sostenuto che il lavoratore aveva superato volontariamente la barriera e che quindi l’incidente era da imputare a un comportamento imprevedibile e abnorme, che sottraeva responsabilità al datore di lavoro. Inoltre, ha sottolineato che l’area oltre il guardrail non fosse destinata a lavori quel giorno e che la barriera fosse comunque stata installata secondo le necessità.
Motivazioni della sentenza
La Cassazione ha respinto questa linea difensiva. Ha infatti osservato che la barriera non era idonea a garantire la sicurezza perché era stata sollevata in modo tale da permettere facilmente il passaggio oltre il bordo pericoloso. Questo significa che il rischio di caduta era concretamente favorito dalla mancata installazione di protezioni conformi e che, quindi, la caduta del lavoratore rientrava nello spettro di rischio previsto dalle norme di sicurezza. È stato inoltre ribadito che il datore di lavoro deve sempre prevedere misure tali da proteggere i lavoratori anche da comportamenti imprudenti o negligenti, purché rientranti nell’ambito di rischio normativamente previsto.
Inoltre, relativamente al tema del bagno chimico, è stato chiarito che, anche se questa mancanza non ha avuto un rapporto diretto con il tragico incidente, rappresenta comunque una violazione grave delle norme di tutela della salute sul lavoro, in quanto il lavoratore deve poter accedere a servizi igienici adeguati all’interno del cantiere, senza dover uscire dai luoghi di lavoro.
Mentre, per quanto riguarda il piano operativo di sicurezza, i giudici hanno rilevato che esso non era stato dettagliato e aggiornato in modo corretto, non prevedendo con chiarezza i rischi specifici del cantiere e le misure di prevenzione necessarie. Anche l’assenza di una segnaletica di rischio adeguata ha contribuito a rendere la situazione più pericolosa, riducendo la percezione del pericolo da parte dei lavoratori.
Nel complesso, la sentenza ribadisce una serie di principi fondamentali per il settore edilizio: il datore di lavoro ha l’obbligo di programmare e mettere in atto tutte le misure necessarie per prevenire infortuni, dalla progettazione dei piani di sicurezza, all’installazione di opere provvisionali adeguate, fino alla fornitura di servizi igienici e alla segnalazione dei rischi. La responsabilità del datore di lavoro non si esclude neanche in presenza di condotte imprudenti dei lavoratori, quando queste rientrano nei rischi governati dalla normativa.
Pertanto, la Corte di Cassazione, esaminati nel dettaglio i motivi di ricorso proposti dall’imputato, ha rigettato tutte le doglianze difensive avanzate. La decisione di primo e secondo grado, che aveva riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro per le violazioni alle norme antinfortunistiche e per la conseguente caduta mortale, è stata dunque confermata senza alcuna modifica sostanziale.
Il rigetto del ricorso sancisce in modo definitivo la legittimità del profilo colposo attribuito all’imputato, ribadendo la necessità per il datore di lavoro di adottare tutte le misure di sicurezza necessarie e di non escludere la propria responsabilità anche in caso di comportamenti imprudenti del lavoratore, purché rientranti nello spettro del rischio oggetto di tutela normativa.