tratto da biblus.acca.it

La sentenza 5142/2025 del Consiglio di Stato riguarda la conformità di interventi su fabbricati rurali storici eseguiti tramite CILA, con particolare attenzione a possibili mutamenti di destinazione d’uso e incrementi volumetrici non autorizzati.

Il caso

Un proprietario aveva presentato al Comune una Comunicazione Inizio Lavori Asseverata (CILA) — specificamente una “CILA Superbonus” — per effettuare lavori di efficientamento energetico e miglioramento sismico su due fabbricati rurali di inizio Novecento in zona agricola (zona E2 nel piano regolatore). I fabbricati, parte di una masseria gentilizia, erano destinati originariamente ad abitazione e deposito di attrezzi agricoli.

Terminati i lavori, l’amministrazione comunale ha effettuato verifiche documentali che hanno evidenziato discordanze fra lo stato legittimo dell’immobile e gli interventi realizzati in base alla CILA. In particolare, emergono mutamenti di destinazione d’uso non autorizzati e incrementi volumetrici non consentiti, come:

  • la chiusura su tre lati di una tettoia originaria aperta;
  • la rimozione di un solaio di sottotetto con accorpamento del volume al piano abitativo;
  • il mutamento di destinazione da deposito a residenziale, con relativo utilizzo abitativo non autorizzato.

Il Comune ha quindi emesso diverse ordinanze di ripristino e atti sanzionatori, che imponevano la rimozione degli abusi e il ritorno allo stato legittimo. Il ricorrente ha impugnato questi provvedimenti al TAR, che ha respinto il ricorso. Ora la questione viene esaminata in appello davanti al Consiglio di Stato.

Le principali accuse mosse dal Comune sono le seguenti:

  • i lavori comunicati tramite CILA hanno comportato mutamenti di destinazione d’uso rilevanti dal punto di vista urbanistico e non autorizzati: da deposito o uso rurale a abitazione;
  • alcuni interventi hanno comportato aumento volumetrico non legittimato da titolo abilitativo, come la chiusura della tettoia e la rimozione del solaio sottotetto;
  • l’azione repressiva è fondata su verifiche dettagliate dello stato legittimo degli immobili, che emerge dalla documentazione catastale, dalle planimetrie e dalle licenze edili storiche.

La CILA non può sostituire i necessari titoli autorizzativi in presenza di mutamenti di destinazione d’uso urbanisticamente rilevanti.

La rinuncia all’istanza di condono del 1986 non legittima gli abusi permanenti e fa venir meno la sanatoria eventualmente implicita.

Il ricorrente eccepisce che gli immobili oggetto degli interventi risalgono al primo Novecento, epoca in cui non era previsto l’obbligo di titolo edilizio, sostenendo che la loro rifunzionalizzazione a uso abitativo non costituisce mutamento rilevante ai sensi della normativa urbanistica vigente. Analogamente, la chiusura della tettoia e gli altri lavori eseguiti non determinerebbero variazioni volumetriche né alterazioni della destinazione urbanistica originaria.

Si contesta, inoltre, che la valutazione del Comune si fondi su un’interpretazione eccessivamente rigida della destinazione catastale, la quale, avendo finalità essenzialmente fiscali, non può essere automaticamente equiparata alla destinazione urbanistica. Alcuni interventi, quali l’incorporazione del sottotetto, rientrerebbero in mere esigenze architettoniche e sarebbero conformi alla normativa regionale di settore.

Infine, il ricorrente sostiene che la rinuncia alla domanda di condono non pregiudica l’acquisizione di eventuali titoli taciti né la sanatoria conseguente al decorso dei termini di legge.

Si può usare la destinazione catastale per dimostrare che gli immobili erano originariamente destinati a uso abitativo?

Il Consiglio ha ritenuto infondate le doglianze prospettate in ordine a presunte carenze motivazionali o vizi di ultrapetizione della sentenza di primo grado, evidenziando come la stessa abbia fatto corretta applicazione di una tecnica redazionale conforme ai parametri normativi, attraverso la valutazione unitaria dei motivi di ricorso; eventuali omissioni non si traducono in un vizio invalidante, atteso che non impediscono la comprensione dell’iter argomentativo e possono essere riproposte in sede di gravame mediante specifici motivi di impugnazione, mentre l’adesione alle difese dell’amministrazione integra una modalità legittima di valutazione critica.

L’oggetto del contendere è stato incentrato sull’accertamento del mutamento di destinazione d’uso, qualificato come urbanisticamente rilevante, derivante dalla trasformazione di un fabbricato rurale in unità abitativa, con conseguente incremento del carico urbanistico, laddove lo stato legittimo è stato correttamente verificato attraverso le CILA prodotte, la documentazione catastale, i rilievi fotografici e le concessioni storiche. È stato chiarito che la destinazione catastale, avente mera valenza fiscale, non assume rilevanza ai fini urbanistici e non è idonea a escludere il mutamento di destinazione, salvo prova positiva della originaria vocazione abitativa dell’immobile, insussistente nel caso di specie per fabbricati rurali siti in zona agricola. Gli atti repressivi adottati dal Comune sono stati reputati pienamente legittimi, in quanto fondati su un accertamento dello stato legittimo degli immobili ai sensi dell’art. 9-bis del d.P.R. n. 380/2001, condotto sulla base di un ampio corredo documentale (catasto storico, concessioni edilizie degli anni ’70, istanza di condono del 1986, planimetrie del 2011 e CILA del 2021), da cui è emersa la destinazione a deposito, cantina e tettoia aperta, sicché la rifunzionalizzazione a fini abitativi deve ritenersi illegittima.

La rinuncia alla domanda di condono ha privato di effetti giuridici eventuali titoli taciti formatisi per silenzio-assenso, rendendo legittimo l’intervento repressivo dell’amministrazione sugli abusi edilizi.

In conclusione, il Consiglio di Stato, pronunciando definitivamente, ha respinto l’appello e confermato integralmente la sentenza impugnata.

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