tratto da biblus.acca.it

Una semplice e generica dichiarazione di “know-how” non è sufficiente a giustificare un diniego di accesso agli atti: servono elementi oggettivi per limitarne il diritto. A ribadirlo è il TAR Piemonte con la sentenza 1271/2025. Il contenzioso trae origine da una gara d’appalto per l’affidamento di servizi di fisioterapia domiciliare, indetta da un’Azienda Sanitaria Locale. L’operatore economico arrivato secondo in graduatoria ha presentato un’istanza di accesso agli atti per visionare la documentazione relativa all’aggiudicatario. La richiesta mirava ad ottenere, in particolare, l’offerta tecnica completa e la documentazione attestante il possesso dei requisiti di gara.

La stazione appaltante ha acconsentito solo parzialmente alla richiesta, fornendo una versione oscurata del documento. La decisione era stata presa a seguito della generica opposizione dell’aggiudicatario, che aveva invocato la tutela del proprio know-how aziendale. Proprio per questo diniego è stato presentato ricorso al TAR.

Il giudice amministrativo ha evidenziato non solo la mancanza di una motivazione esauriente da parte dell’amministrazione a giustificazione del diniego parziale, ma anche l’assenza di un’istruttoria adeguata per verificare la fondatezza delle pretese di riservatezza avanzate dall’aggiudicatario. Questo tipo di comportamento, secondo il Collegio, viola i principi di buona amministrazione e trasparenza che devono governare le procedure di appalto.

Il diritto di accesso agli atti di gara ha una funzione strumentale e prevale sulla riservatezza invocata dall’aggiudicatario, specialmente quando l’istanza è finalizzata alla tutela giurisdizionale dell’operatore non vincitore.

Quali sono i requisiti di un “segreto tecnico”?

Per poter limitare il diritto di una concorrente a prendere visione dei documenti, è necessario che l’informazione:

  • sia precisamente individuata: non sono ammesse dichiarazioni generiche, ma è necessario specificare quale informazione si ritiene sensibile;
  • sia suscettibile di sfruttamento economico, ovvero in grado di garantire un effettivo vantaggio competitivo sul mercato;
  • presenti effettivi e comprovabili caratteri di segretezza, sia oggettiva (non deve essere facilmente accessibile ad altri operatori del settore) sia soggettiva (deve essere protetta con misure organizzative o tecnologiche adeguate).

L’obbligo di valutare la fondatezza di tali requisiti ricade sulla stazione appaltante. L’amministrazione non può limitarsi ad accogliere passivamente la dichiarazione dell’aggiudicatario, ma deve svolgere una valutazione autonoma e discrezionale. Essa deve ponderare i contrapposti interessi in gioco, verificando se le ragioni addotte a sostegno del segreto commerciale siano valide e pertinenti. Nel caso specifico, l’aggiudicatario aveva motivato la richiesta di oscuramento in modo “apodittico”, sostenendo che le soluzioni offerte derivassero dalla propria esperienza e che la loro divulgazione avrebbe comportato un indebito vantaggio competitivo per i concorrenti in future gare.

Questa argomentazione è stata ritenuta dal TAR totalmente priva di riscontri oggettivi, poiché l’impresa non aveva identificato specifici elementi a rischio di sfruttamento economico e non aveva dimostrato l’adozione di misure di protezione. La stazione appaltante, dal canto suo, aveva omesso di motivare il bilanciamento tra l’interesse difensivo del ricorrente e la pretesa di riservatezza dell’aggiudicatario, violando il principio di cui all’articolo 5-bis della Legge n. 241/1990.

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