Il CdS delinea la reale natura della CILA, tra funzione informativa, poteri repressivi del Comune e limiti normativi.
La Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata (CILA) rappresenta uno strumento fondamentale di semplificazione e liberalizzazione delle procedure. Tuttavia, la reale portata dei poteri in capo all’Amministrazione comunale nel controllo e nella gestione della CILA è spesso fonte di dubbi e controversie. Diversamente da altri titoli abilitativi come la SCIA, la CILA implica un meccanismo di vigilanza e sanzione volto a garantire il rispetto delle norme senza prevedere un intervento preventivo o sospensivo, lasciando un delicato equilibrio tra l’autonomia privata e la tutela dell’interesse pubblico.
Qual è il regime dei controlli e delle sanzioni per la CILA da parte del Comune?
Il protagonista del caso è comproprietario di un terreno censito al NCEU. Nel 2016, egli presentava al Comune una Comunicazione Inizio Lavori Asseverata (CILA) per un cambio di destinazione d’uso da abitazione ultrapopolare a locale commerciale, con interventi interni di tramezzature e rifiniture. Successivamente, nel 2018, riceveva un parere favorevole dall’ASL per l’attività di ristorazione prevista nel locale. Tuttavia, nel 2020, il Comune dichiarava l’inefficacia della CILA presentata, sulla base del contrasto con le normative urbanistiche locali. In particolare, il Comune motivava la decisione evidenziando che l’immobile rientra in una zona sottoposta a specifiche norme di tutela, che la destinazione d’uso abitativa (ultrapopolare) non sarebbe legittima trattandosi di locali seminterrati destinati a deposito, che l’intervento sarebbe contrario alle norme che escludono i volumi seminterrati dal calcolo del volume edilizio e che la destinazione commerciale non è prevista per i locali seminterrati secondo la normativa vigente.
Il titolare della CILA impugnava tale provvedimento dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) che respingeva il ricorso. Il ricorrente proponeva quindi appello al Consiglio di Stato.
L’appellante sollevava in primo luogo la questione dell’assenza di potere del Comune di dichiarare l’inefficacia della CILA, sostenendo che la CILA dovrebbe seguire lo stesso regime della Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA), con controlli limitati a termini temporali ben definiti, oltre i quali il potere amministrativo si estingue. L’appellante evidenziava che diversamente si equiparerebbe la sua posizione a quella di un abusivo silente, poiché una mera comunicazione, con il passare del tempo, sarebbe divenuta inefficace senza ragione.
In secondo luogo, contestava la presunta natura atipica del potere invocato dal Comune per dichiarare l’inefficacia della CILA, sostenendo che questa dichiarazione non si inquadra nel potere di vigilanza previsto dalla normativa edilizia.
A sostegno di ulteriori motivi, sollevava questioni relative alla violazione del legittimo affidamento dovuto al decorso di più di quattro anni dalla comunicazione, la violazione del diritto al contraddittorio e l’inesistenza di un contrasto tra le opere eseguite e le norme urbanistiche invocate dal Comune.
Motivi a difesa del Comune in merito ai poteri esercitati sulla CILA
Il Comune, costituitosi in giudizio, sosteneva la correttezza del proprio operato e la legittimità della dichiarazione di inefficacia della CILA. Rilevava che la CILA, in quanto comunicazione certificata, ha natura e regime giuridico distinti dalla SCIA, pur condividendone la logica liberalizzatrice. Il Comune precisava che la normativa vigente (art. 6-bis del d.P.R. 380/2001) attribuisce alla CILA una funzione residuale e informativa, senza prevedere alcun potere inibitorio specifico all’Amministrazione dopo la sua presentazione, se non una sanzione pecuniaria per l’assenza della comunicazione.
Il Comune sosteneva che, nel caso in cui la CILA venga utilizzata in modo difforme dalla sua natura e destinata a legittimare interventi che avrebbero dovuto essere soggetti a SCIA o permesso di costruire, può legittimamente intervenire con poteri sanzionatori e repressivi, anche attraverso la dichiarazione di inefficacia, ai sensi dell’art. 27 del Testo Unico Edilizia. Inoltre, spiegava che questo limite si basa su un principio di proporzionalità e minimizzazione dell’intervento pubblico laddove l’impatto dell’attività privata è limitato.
Infine, sul punto urbanistico, il Comune faceva riferimento alla normativa locale di variante al Piano Regolatore Generale (PRG) che esclude la destinazione commerciale dei locali seminterrati, classificati come volumi accessori e destinati esclusivamente a deposito, collocando quindi l’intervento del privato in violazione delle norme.
CdS: la CILA è uno strumento di mera comunicazione informativa; il Comune non ha poteri inibitori preventivi ma solo poteri repressivi e sanzionatori in caso di uso difforme o abusivo esercitabili anche a distanza di tempo
Il Consiglio di Stato ha precisato che la Comunicazione Inizio Lavori Asseverata (CILA) costituisce uno strumento di liberalizzazione dell’attività edilizia, attraverso il quale il privato comunica l’inizio di lavori che non richiedono permesso di costruire né SCIA. La CILA si basa su un elaborato progettuale asseverato da un tecnico abilitato, che attesta la conformità dell’intervento agli strumenti urbanistici e alle normative tecniche ed edilizie in vigore, con particolare riguardo all’impatto strutturale, sismico ed energetico.
La normativa di riferimento è l’art. 6-bis del d.P.R. n. 380/2001, con la riforma del 2016 che ha inteso semplificare e razionalizzare i titoli abilitativi. La CILA è concepita principalmente come uno strumento residuo, applicabile agli interventi non liberi, ma che non richiedono permessi particolari o la SCIA.
Differenze tra CILA e SCIA
Sebbene la CILA condivida con la SCIA la finalità di liberalizzazione, il Consiglio di Stato ha evidenziato differenze sostanziali nel regime giuridico e nei poteri amministrativi ad essa correlati.
In particolare, mentre con la SCIA l’amministrazione esercita poteri di controllo e autotutela formalmente previsti e circoscritti nel tempo (art. 19 L. n. 241/1990), per la CILA non è prevista una siffatta attività di controllo inibitorio o di autotutela: In relazione alla CILA non si prevede, in effetti, alcuna attività di controllo che sia espressione dei poteri inibitori e di secondo grado, previsti invece nel caso della SCIA, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 19, L. n. 241 del 1990. Più precisamente, l’art. 6- bis , prevede espressamente, in relazione alla CILA, i soli poteri sanzionatori spettanti alla P.A. per il caso in cui il privato inizi i lavori senza aver previamente presentato la CILA; non sono previsti, viceversa, poteri di controllo (siano essi repressivi, inibitori, conformativi ovvero di autotutela) come nel caso di SCIA, secondo il paradigma normativo di cui all’art., L. n. 241/1990. Il legislatore del 2016 non richiama dunque in relazione alla CILA nessuno delle tre tipologie di controllo tipiche della segnalazione certificata (inibizione, conformazione e inibizione condizionata), ma si limita a prevedere una sanzione pecuniaria di 1000 euro per l’ipotesi di mancata comunicazione (art. 6-bis, comma 5, t.u.ed.) e a demandare alle Regioni a statuto ordinario la disciplina “delle modalità di effettuazione dei controlli, anche a campione e prevedendo sopralluoghi in loco” (art. 6-bis, comma 4, t.u.ed.).
Quindi, l’amministrazione può intervenire esclusivamente mediante poteri repressivi e sanzionatori, senza poteri di annullamento o sospensione del titolo sulla base della semplice comunicazione.
La CILA svolge una funzione informativa verso la Pubblica Amministrazione, che è chiamata a verificare la conformità dell’intervento. Tale differenziazione corrisponde ad una volontà legislativa precisa, volta a limitare l’ingerenza pubblica in opere di limitato impatto, considerando l’attività soggetta a CILA meno rilevante rispetto a quella soggetta a SCIA.
Poteri amministrativi sull’inefficacia della CILA
Il Consiglio ha spiegato che, in assenza di espressa previsione normativa, non si può estendere analogicamente alla CILA i poteri di autotutela e sospensione previsti per la SCIA. Pertanto, il Comune non dispone di un potere automatico e illimitato di dichiarare l’inefficacia della CILA né può assumere provvedimenti autonomi inibitori prima dell’avvio degli interventi.
Tuttavia, permane il potere di vigilanza e repressione contro abusi e irregolarità, esercitabile anche tramite dichiarazioni di inefficacia o altre misure sanzionatorie sulla base delle norme generali di contrasto agli abusi edilizi (artt. 27 e ss. del d.P.R. 380/2001): Da quanto in precedenza osservato discende che, avvalendosi dei poteri di cui all’art. 27, del d.P.R. n. 380 del 2001, l’Amministrazione comunale può certamente dichiarare l’inefficacia della CILA quando, come avvenuto nel caso in esame, essa viene utilizzata per legittimare interventi che avrebbero richiesto una SCIA o un Permesso di Costruire e, dunque, nel caso di CILA radicalmente difforme dal suo paradigma legislativo.
Ne consegue che il Comune può dichiarare l’inefficacia della CILA solamente nel caso in cui questa venga utilizzata in modo non conforme alla sua funzione residuale, ossia per interventi che richiederebbero permesso di costruire o SCIA.
Limiti temporali e legittimo affidamento
Di rilievo è la posizione del Consiglio riguardo ai limiti temporali di esercizio dei poteri di controllo: a differenza della SCIA, per la CILA non esistono limiti predefiniti entro i quali il Comune debba effettuare i controlli, esponendo teoricamente il soggetto privato a un rischio di irregolarità potenzialmente illimitato nel tempo.
Tale configurazione deriva dalla natura residuale e semplice della comunicazione, la quale non instaura un titolo autorizzativo pienamente costitutivo da cui discendano poteri di autotutela con scadenze precise. Ciò implica anche la mancanza di un consolidamento automatico della legittimità con il trascorrere del tempo, diversamente da quanto avviene per la SCIA: l’attività assoggettata a CILA non solo è libera, come nei casi sottoposti a SCIA, ma, a differenza di quest’ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, mentre deve essere soltanto conosciuta dall’Amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio, conseguendo a ciò che ci si trova di fronte a un confronto tra un potere meramente sanzionatorio (in caso di CILA) con un potere repressivo, inibitorio e conformativo, nonché di autotutela (con la SCIA). (in tal senso, cfr. il cit. parere della Commissione Speciale del Consiglio di Stato n. 1784/2016).
Con riferimento alla CILA, dunque, in assenza di espressi poteri inibitori o di autotutela, la P.A. potrà e dovrà solo verificare l’effettiva corrispondenza dei lavori (iniziati) a quelli consentiti tramite CILA.
Applicazioni e ricadute pratiche
Nel caso specifico esaminato, il Consiglio di Stato ha ritenuto legittima la dichiarazione di inefficacia della CILA da parte del Comune, che ha accertato che la comunicazione era stata utilizzata per un cambio di destinazione d’uso in zone vincolate dalla normativa urbanistica e riferite a locali seminterrati, vietati agli usi commerciali.
Il Collegio ha considerato corretto l’uso dei poteri repressivi e sanzionatori dal Comune, coerenti con i confini delineati dalla normativa e con il principio di legalità che vincola l’azione amministrativa.
Il ricorso non è, quindi, accolto.