Una rampa volta a eliminare le barriere architettoniche può essere considerata edilizia libera se incide sulla sagoma dell’edificio?
Il TAR Sicilia (sent. n. 1721/2025) è stato chiamato a pronunciarsi sulla legittimità di un’ordinanza comunale che imponeva la demolizione di una rampa in cemento armato, realizzata da un privato con la finalità dichiarata di eliminare barriere architettoniche. La vicenda ruota attorno al confine tra interventi rientranti nell’“edilizia libera” e opere che invece richiedono un titolo edilizio, con particolare riferimento ai manufatti che incidono sulla sagoma dell’edificio e sulla destinazione urbanistica delle aree.
Il caso
Il proprietario di un immobile aveva trasformato un magazzino in abitazione mediante SCIA e, a seguito del rialzo del piano di calpestio, aveva realizzato una rampa in cemento armato per rendere accessibile l’ingresso. L’opera consisteva in uno scivolo trapezoidale di circa 36,5 m2, con muretto e predisposizione per ringhiera.
Il Comune, dopo sopralluogo, ordinava la demolizione ritenendo che il manufatto fosse privo di titolo edilizio, alterasse la sagoma dell’edificio e ricadesse su area destinata a viabilità pubblica.
Il privato impugnava l’ordinanza sostenendo:
- che la rampa rientrava nell’edilizia libera, ai sensi dell’art. 6 D.P.R. 380/2001 e della legge 13/1989 sulle barriere architettoniche, in quanto di altezza inferiore a 60 cm, con pendenza conforme e insistenza su area privata;
- che l’indicazione dell’area come destinata a viabilità pubblica era errata, non essendo mai stato apposto un vincolo espropriativo sul suo terreno;
- che l’Amministrazione aveva errato nel non tener conto della CILA presentata.
Il Comune replicava che la normativa sugli interventi per l’abbattimento delle barriere architettoniche è applicabile solo se tali opere vengono eseguite su proprietà privata e nel rispetto delle disposizioni di legge e degli strumenti urbanistici comunali e, nel caso concreto, il ricorrente avrebbe realizzato i lavori su un’area privata ma soggetta a vincoli, per cui era necessaria un’apposita autorizzazione dell’ente pubblico, mai richiesta. Inoltre, il manufatto contestato modifica la sagoma dell’edificio e, in ogni caso, è stato realizzato in violazione dell’art. 9 delle norme di attuazione del piano regolatore generale del Comune, che assoggetta a regime concessorio interventi di questo tipo.
Un confinante si costituiva come controinteressato, denunciando che l’opera non era una semplice rampa ma un ampliamento consistente (terrazzino con muretto e futura ringhiera), con effetti sulla sicurezza e sull’accesso alla sua proprietà. Nello specifico, ha chiesto il rigetto del ricorso, rilevando che:
- i lavori oggetto di contestazione sarebbero stati eseguiti dal ricorrente circa due mesi prima della presentazione della CILA del 6 febbraio 2024 e, pertanto, non potrebbero rientrare nella c.d. “edilizia libera”;
- il ricorrente avrebbe dapprima effettuato lavori interni presso la propria abitazione, innalzando il livello del piano di calpestio del magazzino, e successivamente opere esterne consistenti nell’elevazione e prolungamento verso la via pubblica dello scivolo, nonché nella costruzione di un muretto sul quale collocare una ringhiera, al fine di recintare parzialmente l’area antistante il magazzino; in tal modo, il ricorrente avrebbe inizialmente creato egli stesso la barriera architettonica di cui, solo successivamente, ha chiesto la rimozione tramite CILA;
- l’opera non può essere qualificata come intervento volto all’abbattimento delle barriere architettoniche, poiché l’installazione di un muretto con sovrastante ringhiera modifica la sagoma dell’edificio e costituisce una nuova costruzione;
- ai sensi dell’art. 9 delle NTA del P.R.G. del Comune per la zona B1r in cui ricade l’immobile è richiesto, anche per gli interventi di manutenzione straordinaria, il rilascio di un permesso di costruire;
- la pendenza dell’8% della rampa indicata dal ricorrente e dal suo tecnico non corrisponderebbe al vero, risultando in realtà ben più accentuata.
Quali interventi di abbattimento di barriere architettoniche rientrano in edilizia libera?
Il Tar la Sicilia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, lo rigetta.
Non sono fondate le censure formulate con il primo motivo di ricorso, con cui il ricorrente sostiene che il manufatto rientrerebbe tra gli interventi di edilizia libera di cui all’art. 6 del D.P.R. n. 380/2001. Anche a prescindere dal fatto che la barriera architettonica da abbattere sia stata originariamente creata dallo stesso ricorrente nell’ambito dei lavori di mutamento della destinazione d’uso del magazzino, il Collegio ritiene che le caratteristiche e la consistenza delle opere in contestazione non consentano di ricondurle all’edilizia libera. Esse, infatti, risultano idonee ad alterare la sagoma del fabbricato e appaiono sproporzionate rispetto alle esigenze dichiarate di accesso all’abitazione.
Gli interventi di edilizia libera previsti dall’art. 6, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001, riguardano esclusivamente opere strettamente necessarie all’eliminazione di barriere architettoniche, prive di autonomia funzionale e tali da non generare incremento del carico urbanistico, impatto visivo o modifiche della sagoma dell’edificio. Nel caso di specie, al contrario, la rampa realizzata occupa una superficie di circa 36,50 m2 (cfr. ordine di demolizione impugnato) ed è pacificamente idonea a modificare la sagoma.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 282 del 21 dicembre 2016, ha chiarito che “sono da escludere dalla riconduzione ad interventi di rimozione delle barriere architettoniche opere che alterino la sagoma dell’edificio, quali la realizzazione di rampe o ascensori esterni, che sono invece riconducibili alla nozione di ristrutturazione edilizia, di nuova costruzione o, al più, di manutenzione straordinaria (cfr. in questo ultimo senso TAR Palermo, sez. II, 1 aprile 2016, n. 846) alla luce delle previsioni del D.P.R. n. 380/2001.”
Inoltre, appare evidente la sproporzione dei lavori esterni realizzati, consistenti nell’innalzamento e prolungamento dello scivolo verso la via pubblica e nella costruzione di un muretto con ringhiera a parziale recinzione dell’area antistante il magazzino.
Il Collegio ricorda che la disciplina speciale prevista dagli artt. 77 e ss. del D.P.R. n. 380/2001 (derivante dalla legge n. 13/1989), finalizzata all’eliminazione delle barriere architettoniche, ha lo scopo di garantire diritti fondamentali della persona, tutelando chiunque soffra di disabilità o difficoltà motorie, ed è ispirata a un principio di solidarietà sociale. Tuttavia, perché un intervento possa rientrare in tale disciplina, deve essere strettamente funzionale e proporzionato all’obiettivo perseguito, senza dar luogo alla creazione di nuove strutture edilizie non giustificate da reali esigenze di accessibilità.
Nel caso in esame, il ricorrente non ha neppure allegato, né tantomeno documentato, quali soggetti avrebbero beneficiato dell’intervento in quanto portatori di esigenze di mobilità tutelate dalla normativa.
La destinazione di un’area a viabilità pubblica richiede necessariamente la preventiva apposizione di un vincolo espropriativo?
A prescindere dalla natura plurimotivata del provvedimento impugnato, deve rilevarsi che, secondo consolidata giurisprudenza amministrativa, i vincoli a viabilità pubblica hanno natura conformativa. Essi, infatti, sono riconducibili alla zonizzazione di una parte del territorio destinata a parcheggio o viabilità pubblica, incidono su una generalità di beni e comportano limitazioni, ma non svuotano il contenuto essenziale del diritto di proprietà (Cons. Stato, sez. IV, 22 ottobre 2018, n. 5994). Pertanto, non hanno pregio i rilievi del ricorrente secondo cui la destinazione dell’area alla viabilità pubblica avrebbe richiesto la previa apposizione di un vincolo espropriativo, qui mancante.