Tratto da: Lavori Pubblici  

Difficoltà tecniche e gestione algoritmica possono giustificare il diniego di accesso documentale? Quali principi governano l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei procedimenti amministrativi? Come si bilanciano esigenze difensive e tutela dei dati nei rapporti tra privati e PA?

Nel panorama sempre più articolato della digitalizzazione amministrativa, l’intelligenza artificiale – con i suoi strumenti di automazione e machine learning – è ormai entrata stabilmente nei processi decisionali pubblici. Ma cosa accade se la PA invoca la complessità algoritmica per negare l’accesso agli atti? Ha risposto a questa domanda il Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 4929 del 6 giugno 2025, offre un chiarimento netto e di grande rilievo per il settore degli appalti pubblici e per l’intero comparto della pubblica amministrazione digitale.

Il caso nasce da un’istanza di accesso presentata da due comproprietarie di fondi agricoli, che chiedevano copia del fascicolo aziendale intestato a un coerede, dal quale risultava avesse beneficiato, dal 2015, di contributi pubblici per la gestione di tali fondi. L’accesso era motivato dall’intenzione di agire in sede civile per il rilascio degli immobili e il risarcimento dei danni derivanti dalla loro illegittima occupazione.

L’agenzia regionale ARGEA, tuttavia, aveva opposto un sostanziale diniego fondato su un argomento inedito: la gestione automatizzata dei contributi mediante algoritmi operanti all’interno del Sistema Informativo Agricolo Nazionale (SIAN), il cui accesso richiederebbe l’intervento (oneroso) di soggetti terzi incaricati della gestione del sistema.

La Sezione VI del Consiglio di Stato ha respinto in toto l’appello di ARGEA, confermando integralmente la decisione di primo grado. Con motivazione articolata e tecnicamente significativa, il Collegio ha affermato alcuni principi di particolare interesse per l’attività amministrativa:

  • primato della trasparenza: l’accesso agli atti costituisce una declinazione fondamentale del principio di trasparenza e non può essere vanificato da ostacoli meramente organizzativi o informatici.
  • conoscibilità e comprensibilità degli algoritmi: anche in presenza di procedimenti automatizzati, ogni operatore economico ha diritto a conoscere la logica sottesa alle decisioni, così come a pretendere l’intervento umano nella validazione delle stesse.
  • divieto di discriminazione algoritmica: l’utilizzo dell’intelligenza artificiale deve avvenire secondo criteri tecnici e organizzativi tali da evitare effetti discriminatori o elusivi dei diritti riconosciuti.
    • legge n. 241/1990: in particolare gli articoli 22, 24 e 25 che disciplinano il diritto di accesso, nonché l’art. 18 che impone l’acquisizione d’ufficio degli atti rilevanti da parte della PA procedente.
    • regolamenti UE n. 907/2014 e 908/2014: che riconoscono ad ARGEA il ruolo di Organismo Pagatore per i fondi FEASR e FEAGA, confermando la sua responsabilità nella gestione e rendicontazione dei contributi agricoli.
    • D.lgs. n. 36/2023 (art. 30): che riconosce formalmente la possibilità di utilizzare sistemi automatizzati nei procedimenti amministrativi, purché nel rispetto di principi di trasparenza, non esclusività e controllo umano, obbligo di cooperazione amministrativa: l’amministrazione competente non può trincerarsi dietro la gestione affidata a soggetti esterni, ma è tenuta ad attivarsi, anche acquisendo i dati da altri soggetti pubblici o privati, nei limiti della propria funzione.

      La sentenza si fonda su un’articolata ricostruzione normativa:

      Il Consiglio di Stato chiarisce che la gestione algoritmica, sebbene efficiente, non può diventare un ostacolo alla tutela giurisdizionale. La PA, infatti, resta pienamente responsabile della disponibilità e della intelligibilità degli atti amministrativi, anche se prodotti da sistemi automatizzati.

      Particolarmente significativo il passaggio in cui si afferma che «non sono opponibili […] le difficoltà conoscitive derivanti dall’utilizzo, nell’esercizio dell’attività amministrativa, di algoritmi interamente gestiti in forma automatizzata», proprio in quanto la decisione deve rimanere sotto il controllo umano e accessibile a chi ha un interesse qualificato.

      Inoltre, il Collegio ha confermato che le motivazioni difensive invocate dagli istanti (azioni civili risarcitorie e rilascio dei fondi) giustificano pienamente l’accesso ai dati, anche in assenza di un giudizio già incardinato. L’interesse è attuale e concreto.

      La sentenza n. 4929/2025 del Consiglio di Stato rappresenta un punto fermo nel rapporto tra innovazione tecnologica e diritti fondamentali. L’uso di sistemi automatizzati, algoritmi e intelligenza artificiale non può diventare un alibi per ostacolare la trasparenza dell’azione amministrativa.

      Le amministrazioni che operano attraverso piattaforme digitali complesse restano comunque responsabili nei confronti dei cittadini e degli interessati. Anche quando la gestione dei dati è affidata a soggetti terzi o regolata da logiche algoritmiche, il diritto di accesso – soprattutto se motivato da esigenze difensive – non può essere sacrificato. Al contrario, va garantito in modo effettivo, assicurando la piena comprensibilità e intelligibilità dei procedimenti.

      Il principio è chiaro: chi chiede l’accesso ha diritto a conoscere anche i contenuti generati da sistemi automatizzati. La complessità informatica non giustifica il silenzio, né può trasformarsi in un ostacolo procedurale. Se sono necessari costi per l’elaborazione dei dati, questi potranno eventualmente essere sostenuti dal richiedente, ma l’amministrazione ha comunque il dovere di attivarsi.

      In definitiva, la digitalizzazione della PA non può prescindere da un presidio umano della decisione e da un’assoluta chiarezza nei confronti degli utenti. Anche nell’era dell’intelligenza artificiale, il diritto di accesso resta uno degli strumenti più efficaci per garantire la legalità, la tutela dei diritti e la fiducia nei confronti dell’azione pubblica.

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