La sentenza 1198/2025 del TAR Campania chiarisce l’impatto pratico del Decreto Salva Casa (D.L. 69/2024) sui cambi di destinazione d’uso e consolida l’orientamento secondo cui il permesso di costruire è riservato ai soli mutamenti che incidono sul carico urbanistico con opere rilevanti.
Il caso
I ricorrenti sono comproprietari di un’unità immobiliare ricevuta in donazione dalla madre. Fino al 2017, due locali dell’immobile erano adibiti a rivendita di tabacchi, attività alla quale, per alcuni anni, era stata affiancata anche una vendita di prodotti di salumeria.
Dopo la cessazione dell’attività, i due locali, già strutturalmente annessi all’abitazione, sono stati riportati a uso residenziale. Dagli atti di causa e da quanto emerso nel giudizio R.G. n. 1844/2024, deciso con sentenza n. 216/2025, risulta che gli stessi locali erano già stati oggetto di istanza di condono, presentata nel 1986 dalla madre dei ricorrenti, per sanare un ampliamento realizzato al loro interno.
Con la sentenza n. 216/2025, il Tribunale ha accolto il ricorso proposto anche dagli attuali ricorrenti, riconoscendo che l’istanza di condono si è perfezionata per silenzio-assenso.
Nonostante ciò, il Comune ha successivamente emesso l’atto impugnato, ordinando il ripristino della precedente destinazione d’uso dei locali e sostenendo che il cambio avrebbe richiesto un permesso di costruire. Il provvedimento assume inoltre, erroneamente, che l’istanza di condono sia ancora pendente, basandosi sul fatto che contro la sentenza n. 216/2025 è stato proposto appello.
Contro tale ordinanza è stato presentato il ricorso, articolato in due motivi per eccesso di potere per sviamento, travisamento, difetto di istruttoria; violazione dei principi di imparzialità, buona fede, proporzionalità e per ingiustizia manifesta.
In sintesi, i ricorrenti contestano innanzitutto la tesi secondo cui l’istanza di condono sarebbe ancora pendente, essendo stata invece già accolta per silentium, come da sentenza n. 216/2025.
Quanto al cambio di destinazione d’uso, essi evidenziano che, alla luce del D.L. 69/2024 (cd. Decreto Salva Casa), il mutamento d’uso all’interno della stessa unità abitativa, in assenza di opere edilizie, rientra nell’edilizia libera. In tal caso, al massimo sarebbe stata necessaria una SCIA, e non un permesso di costruire. Da ciò deriva, secondo i ricorrenti, l’illegittimità dell’ordine di demolizione.
Quando il Salva Casa elimina il permesso di costruire per il cambio di destinazione d’uso?
Il ricorso risulta fondato già sotto il primo motivo, relativo alla violazione di legge per mancata applicazione dell’attuale formulazione dell’art. 23-ter del Testo Unico Edilizia (TUE), come modificato dal D.L. 69/2024.
Tale rilievo, unito alla decisione assunta in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., consente di assorbire gli ulteriori motivi di ricorso, in quanto privi di un’utilità aggiuntiva rispetto alla tutela già garantita.
I ricorrenti hanno sostenuto che il cambio di destinazione d’uso, da commerciale a residenziale, riguardante una porzione della medesima unità immobiliare, non richiedesse il permesso di costruire. Per il Tar, tale tesi è fondata in quanto il D.L. 69/2024 ha modificato l’art. 23-ter TUE, stabilendo, in particolare ai commi 1-ter e 1-quater, che il mutamento di destinazione d’uso di singole unità immobiliari non necessita del permesso di costruire qualora:
- non comporti opere edilizie;
- ricada tra gli interventi di edilizia libera.
In queste ipotesi, è sufficiente la presentazione di una SCIA o altra comunicazione.
Il nuovo comma 1-ter stabilisce che: Sono, altresì, sempre ammessi i mutamenti di destinazione d’uso [senza opere] tra le categorie funzionali di cui al comma 1, lettere a), a-bis), b) e c), di una singola unità immobiliare situata nelle zone A, B e C di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, o zone equipollenti previste dalla normativa regionale, nel rispetto delle condizioni del comma 1-quater e delle normative di settore, ferma restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di stabilire specifiche condizioni.
In base al successivo comma 1-quater: Per le singole unità immobiliari, il mutamento di destinazione d’uso di cui al comma 1-ter è sempre consentito, ferma restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni, inclusa l’adeguatezza rispetto alla destinazione prevalente delle altre unità immobiliari presenti nell’edificio.
Pertanto, il cambio da commerciale a residenziale effettuato dai ricorrenti rientra esattamente nell’ambito di applicazione della normativa sopra citata e non richiede, quindi, alcun permesso di costruire.
Il Comune ha ritenuto necessario il permesso di costruire e, conseguentemente, ha ordinato il ripristino dello stato dei luoghi. Tuttavia, tale impostazione è in contrasto con la normativa vigente al momento dell’adozione del provvedimento. Non solo l’intervento ricade nell’edilizia libera, ma non è stato nemmeno realizzato alcun ampliamento o altra opera che possa far sorgere l’obbligo del permesso di costruire.
L’Amministrazione, dunque, non ha considerato le modifiche normative sopravvenute, rendendo il provvedimento impugnato illegittimo.
Inoltre, anche la motivazione dell’ordinanza fondata sulla presunta pendenza dell’istanza di condono si rivela infondata.
La legittimità di un provvedimento va valutata al momento della sua adozione e, in questo caso, l’istanza di condono presentata nel 1986 è da ritenersi accolta per silentium, come accertato dalla sentenza n. 216/2025 dello stesso Tribunale. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dal Comune, l’istanza non può considerarsi pendente, ma deve ritenersi definita favorevolmente.
Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso è fondato e deve essere accolto, con conseguente annullamento dell’ordinanza comunale di demolizione.
Pertanto, il mutamento di destinazione d’uso di una singola unità immobiliare, privo di opere edilizie, effettuato tra le categorie funzionali “commerciale” e “residenziale” dopo l’entrata in vigore del Salva Casa, rientra nell’edilizia libera ed è assoggettato, al più, a SCIA; l’ordinanza comunale che ne pretende il permesso di costruire è illegittima e va annullata.