tratto da biblus.acca.it

La sentenza 4386/2025 del Tar Campania chiarisce che una piscina può essere considerata pertinenza urbanistica solo se rispetta precisi limiti dimensionali e funzionali:

  • volume non superiore al 20% dell’edificio principale;
  • assenza di incidenza autonoma sul carico urbanistico;
  • strumentalità e accessorietà effettiva rispetto all’immobile residenziale principale.

Il caso

Il caso in esame riguarda un ricorso proposto da alcuni privati cittadini che hanno impugnato un’ordinanza di demolizione emanata dal Comune per opere edilizie ritenute abusive, realizzate in un terreno di loro proprietà per successione. Le opere contestate comprendevano:

  • pavimentazione dell’area e recinzione con muri perimetrali sormontati da ringhiera;
  • piscina interrata di circa 100 m2 a pianta irregolare;
  • manufatto in legno con tegole (45 m2);
  • manufatto in muratura adibito a bagno (10 m2);
  • spogliatoio in legno e tegole (30 m2);
  • tettoia in legno (4,8 m2 circa).

I ricorrenti hanno articolato la loro difesa su più fronti:

  • assenza di responsabilità personale nella realizzazione degli abusi;
  • decorso del tempo dalla costruzione delle opere, ritenute datate;
  • mancanza di un interesse pubblico attuale alla demolizione;
  • violazione del diritto di difesa, per mancata comunicazione di avvio del procedimento;
  • natura pertinenziale delle opere, in particolare della piscina e delle strutture connesse, asseritamente escluse dall’obbligo di permesso di costruire;
  • incertezza dell’individuazione catastale dei beni soggetti a possibile acquisizione pubblica.

L’Amministrazione comunale ha sostenuto la legittimità del provvedimento in quanto riferito a opere eseguite in assenza del titolo edilizio richiesto; l’impossibilità di qualificare le strutture come pertinenze, data la loro consistenza volumetrica e funzionale autonoma e la recentissima realizzazione degli interventi, dimostrata anche tramite raffronti su immagini aeree di Google Earth tra il 2013 e il 2021.

Il Tribunale ha rigettato in toto il ricorso, motivando in modo articolato e chiarendo, tra le altre cose, quando una piscina possa dirsi pertinenza.

Gli eredi possono ricevere sanzioni anche se non hanno commesso personalmente gli abusi edilizi?

Il TAR ha affermato che i ricorrenti, quali proprietari del fondo per successione, sono legittimi destinatari dell’ordinanza, anche se non autori materiali delle opere. In questi casi, l’ordinanza ha natura vincolata, e non necessita né di un’ulteriore motivazione né della comunicazione di avvio del procedimento, in applicazione di consolidato orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, Sez. VI, n. 2557/2020).

Quale titolo abilitativo?

La realizzazione di nuove superfici e volumi – come quelli in questione – richiede il rilascio di un permesso di costruire. L’eccezione dell’antichità delle opere è stata esclusa, in quanto il Comune ha dimostrato la recente edificazione tra il 2013 e il 2021.

La piscina può essere considerata pertinenza?

Il TAR ha ritenuto infondata l’eccezione secondo cui la piscina e le opere annesse fossero “pertinenze” dell’immobile principale. La piscina, per le sue dimensioni rilevanti (100 m2), non può considerarsi pertinenza, in quanto:

  • comporta un autonomo impatto urbanistico ed edilizio;
  • incide in modo significativo sul carico urbanistico;
  • non è stato dimostrato che il volume complessivo delle opere pertinenziali rispetti il limite del 20% del volume dell’edificio principale, come richiesto dalla normativa urbanistica per considerare un’opera “pertinenza urbanistica”.

Pertanto, non sussistendo i requisiti dimensionali e funzionali della pertinenza, la piscina è da considerare nuova costruzione e soggetta a titolo edilizio abilitativo. La sua realizzazione in assenza del titolo legittima l’adozione di provvedimenti repressivi da parte dell’Amministrazione.

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