La sentenza n. 22013/2025 riguarda un infortunio mortale sul lavoro e affronta il tema della responsabilità penale del committente nei confronti di lavoratori non formalmente assunti. La vicenda trae origine da un incidente avvenuto nel 2015 in cui perse la vita un lavoratore. Il titolare della ditta aveva incaricato il lavoratore di eseguire lavori di manutenzione sul tetto del capannone aziendale. Durante l’intervento, una parte della copertura in plexiglass, non adatta a sostenere il peso di una persona, cedette improvvisamente, provocando la caduta del lavoratore da un’altezza di circa 6-7 metri e causandone la morte.
Il titolare della ditta, in qualità di committente di fatto, è stato ritenuto responsabile di diversi elementi di colpa: negligenza, imprudenza, imperizia e mancato rispetto delle disposizioni legislative in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. In particolare, gli sono stati contestati la violazione dell’articolo 26, lettere a) e b), e dell’articolo 148 del D.Lgs. 81/08, per non aver verificato preventivamente l’idoneità tecnico-professionale del lavoratore incaricato, per non aver fornito adeguate informazioni sui rischi presenti nell’ambiente di lavoro e, infine, per non aver controllato la resistenza della copertura del tetto.
La Corte ha sottolineato che, indipendentemente dalla natura del rapporto lavorativo (subordinato, autonomo, amicale o occasionale), chi affida un lavoro deve garantire la sicurezza del soggetto incaricato, assumendosi una posizione di garanzia.
La difesa del commettente ha presentato ricorso in Cassazione ritenendo erronea l’affermazione dell’esistenza di un rapporto di lavoro tra l’imputato e la vittima. Secondo il legale, dagli atti del processo non emergerebbero elementi che giustifichino l’attribuzione al committente di una posizione di garanzia nei confronti del lavoratore. Inoltre, ha sostenuto che il titolare non era presente in azienda al momento dell’incidente e che non avrebbe mai affidato al lavoratore un incarico così complesso, circostanze che, a loro avviso, escluderebbero una responsabilità diretta dell’imputato.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ribadendo che l’assenza di un contratto scritto o di un rapporto formalizzato non esonera il committente dagli obblighi di sicurezza, i quali sorgono già dal momento in cui si affida, anche informalmente, un lavoro pericoloso a terzi.