Con la sentenza n. 5407 del 2025 il Consiglio di Stato ribadisce un principio fondamentale in materia di appalti pubblici: l’attività di progettazione svolta da un dipendente pubblico, anche se in regime di part-time, non può essere utilizzata come elemento di qualificazione tecnica nelle gare, né dal professionista stesso né dall’operatore economico cui egli appartenga.
Nel caso in esame una società aveva indicato tra i requisiti, l’esperienza progettuale maturata da un proprio socio e amministratore, dipendente part-time di un Comune (attività retribuita anche con l’incentivo tecnico previsto dal Codice dei contratti). Secondo il ricorrente, tale esperienza non era validamente spendibile in quanto imputabile all’ente pubblico e non al professionista in modo autonomo.
Il Consiglio di Stato ha confermato questa impostazione, sottolineando che l’esperienza acquisita all’interno della pubblica amministrazione non può essere assimilata a quella maturata in ambito libero-professionale, poiché è frutto di un’attività integrata nell’organizzazione pubblica e non separabile da essa. Il rapporto di immedesimazione organica tra dipendente e amministrazione impedisce infatti che le prestazioni rese possano essere considerate come personali e privatamente valorizzabili.
Anche la natura part-time del rapporto di lavoro non modifica tale qualificazione: il fatto che il dipendente operi con un orario ridotto non lo rende un libero professionista, né lo autorizza a considerare le attività svolte per conto dell’ente come proprie esperienze professionali. Inoltre, il riconoscimento di incentivi economici non incide sul carattere pubblico della prestazione, che resta legata all’ente e non al singolo tecnico.
La sentenza, dunque, esclude ogni possibilità di “spendere” attività progettuali interne alla PA come requisiti in gare d’appalto, riaffermando la distinzione tra l’esperienza pubblica e quella maturata nel mercato libero. Una posizione che rafforza la trasparenza e la correttezza nella partecipazione alle procedure pubbliche.