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Inerzia del curatore e legittimazione ad agire del fallito

Sentenza del 26/05/2025 n. 643 – Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana Sezione/Collegio 3

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle Entrate di Arezzo ha impugnato le sentenze della Corte di Giustizia Tributaria di I Grado di Arezzo, indicate in epigrafe, che hanno parzialmente accolto i ricorsi presentati da P. A. nell’interesse del Fallimento 36/2019 M.S.A. s.r.l. – MSA contro gli atti di recupero per gli anni 2018 e 2019 per aver compensato un credito derivante dall’agevolazione fiscale per “investimenti in ricerca e sviluppo” introdotta dall’art. 3 del D.L. n. 145/2013, con conseguente recupero delle imposte, oltre sanzioni ed interessi.

In particolare, all’esito dell’esame della documentazione richiesta alla società fallita, l’Ufficio riteneva tale credito d’imposta inesistente per carenze dal punto di vista formale e sostanziale, ossia attinenti al presupposto costitutivo.

Il P., cui erano stato notificati gli atti impositivi quale ultimo legale rappresentante della società fallita, in assenza di iniziative da parte del curatore, li impugnava davanti alla Corte di Arezzo, la quale, dopo avere disposto una c.t., per accertare la correttezza degli adempimenti formali e sostanziali, accoglieva parzialmente i ricorsi.

Più precisamente, il c.t. accertava un credito complessivo lievemente inferiore a quello compensato (631.797,07 euro, anziché 680.971,00), evidenziando che “per la determinazione dell’importo sarebbe stato necessario conoscere preventivamente le determinazioni della Corte adita circa determinate tematiche rimesse alla sua valutazione e dettagliatamente indicate nell’elaborato”.

Secondo l’Ufficio, la Corte avrebbe accolto parzialmente i ricorsi senza approfondire o chiarire tali circostanze.

Con il primo motivo di appello, l’Ufficio lamenta la mancata pronuncia sull’eccezione di inammissibilità degli originari ricorsi per difetto di legittimazione da parte del ricorrente, che era cessato dalle sue funzioni di amministratore il 22/5/2019 e non poteva rappresentare fallimento.

Sul merito, lamenta il mancato approfondimento delle questioni specifiche indicate nella c.t., nonché di altri aspetti fondamentali, quali: 1) la mancanza della documentazione contabile idonea; 2) la congruità dei dati forniti relativamente al costo del personale; 3) l’assenza di motivazione e documentazione circa il mancato inserimento, nel calcolo della media, degli investimenti R&S effettuati negli anni 2012/2013/2014 da parte della società incorporata; 4) l’assenza di sottoscrizione da parte del rappresentante legale dei fogli di presenza; 5) la presenza di codici identificativi dei progetti oggetto di valutazione uguali a quelli sviluppati in anni precedenti e per i quali non era stato chiesto il beneficio per mancanza dei requisiti.

L’appellato si è costituito, chiedendo la conferma della sentenza.

Precisa che il credito d’imposta fatto valere ammontava in realtà ad euro 653.577,09, di cui 562.756,22 nel periodo d’imposta 2018 e 90.820,87 nel 2019.

Osserva che i documenti richiesti dall’Ufficio erano stati prodotti dal curatore nel 2020, nonché a cura dell’appellato, in seguito ad una richiesta di integrazione di tale documentazione, cui il fallimento non dava seguito. Inoltre, la curatela, interloquendo con l’appellato, aveva evidenziato la sua indisponibilità a confrontarsi con l’Agenzia per questioni che attenevano la contabilità relativa ad anni precedenti la dichiarazione di fallimento. Questo atteggiamento costituirebbe indizio dell’inerzia da parte del curatore.

Sul merito, l’appellato rileva come l’Ufficio non avesse mai compiuto alcun riscontro o valutazione di carattere sostanziale sull’esistenza dei presupposti del credito, ma si fosse basato soltanto sull’inadeguatezza della documentazione contabile prodotta dalla società a sostegno del credito di imposta utilizzato. Del resto, come rilevato dal c.t.u., nonostante gli aspetti tecnici della questione, l’Ufficio ha omesso di richiedere un parere al Ministero dello Sviluppo Economico, in base all’art. 8 comma 2 del D.M. 2 maggio 2015 in materia di controlli.

Osserva poi che il quesito al c.t.u. doveva ritenersi limitato “a quanto contestato dall’Agenzia alla parte ricorrente”. Le tematiche su cui il c.t.u. non si era espresso, demandando il tutto alla Corte, in realtà non erano state oggetto di contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate e dunque non dovevano essere affrontate dalla Corte di primo grado, se non incorrendo nel vizio di ultrapetizione.

L’appellato ha poi sviluppato controdeduzioni su tutti i punti di merito prospettati nell’atto di appello.

Con la memoria del 23/4/2025 il P. ha prodotto il dispositivo della sentenza del Tribunale di Arezzo del 26/3/2025 con cui lo stesso, su conforme richiesta del P.M., è stato assolto per insussistenza dei fatti dai delitti di cui agli artt. 81 cpv. e 10 quater del D. Lgs. 74/2000 per gli anni di imposta 2018 e 2019, ossia per le stesse violazioni oggetto del presente giudizio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Secondo la tesi del ricorrente, egli aveva agito in una situazione di inerzia degli organi fallimentari, che, secondo la Giurisprudenza di legittimità, lo legittimava nei casi in cui il presupposto del credito tributario è sorto prima della declaratoria di fallimento, in quanto il contribuente, nella “sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario e resta esposto ai riflessi della definitività dell’atto impositivo” (Cassazione, ordinanza n. 21157/2017).

L’Ufficio contesta che vi fosse stata inerzia del curatore e che fosse stata dimostrata dal ricorrente, citando giurisprudenza della Cassazione, secondo cui tale legittimazione non opera in caso di rinuncia all’impugnazione da parte del fallimento (che può basarsi sull’analisi di costi-benefici), ma solo in caso di comprovato disinteresse.

Tale eccezione non solo è infondata, ma è anche inammissibile, alla luce dei principi elaborati dalla Cassazione sulla specifica tematica.

In primo luogo, spetterebbe all’Ufficio, che eccepisce il difetto di legittimazione, fornire una concreta dimostrazione circa “l’interesse della curatela per il rapporto dedotto in causa, assumendo esclusivamente in tale ipotesi il difetto di legittimazione processuale del fallito carattere assoluto” (Cass., Sez. V-VI, 26 ottobre 2015 n. 21765). Ad esempio, si dovrebbe fare riferimento “ad una esplicita presa di posizione negativa circa la sua utilità per la massa dei creditori” (Cass., Sez. V-VI, 3 aprile 2018 n. 8132).

Invece, nel caso in cui vi sia stata semplicemente una “mancanza di iniziativa processuale del curatore”, è esclusa “la possibilità di rilevare d’ufficio il difetto di legittimazione dell’attore” ed è “inammissibile l’analoga eccezione sollevata dalla controparte” (Cass., Sez. V, 14 aprile 2007 n. 8990).

Nel caso concreto l’Ufficio non ha fornito alcuna dimostrazione in tal senso, e, addirittura l’appellato ha fatto specifico riferimento ad chiaro atteggiamento di disinteresse della curatela a contrastare le pretese dell’Ufficio nella fase dell’accertamento, che, in assenza di prove in ordine a positive prese di posizione degli organi fallimentari sulla presente vertenza, non consentono di affermare che dietro l’apparente inerzia del curatore vi fosse una precisa volontà di essere acquiescente agli atti di imposizione in esame. Una simile scelta apparirebbe veramente singolare, vista l’entità del recupero fiscale, tale da pregiudicare la massa dei creditori.

Sul merito, benché l’esito del giudizio penale non sia definitivo, è chiaro che l’assoluzione dell’appellato sugli episodi delittuosi sovrapponibili alle specifiche contestazioni in sede fiscale vale a ribadire la bontà dei giudizi della Corte tributaria aretina.

Sulle altre questioni prospettate nell’atto di appello, si osserva quanto segue.

Come è stato anche evidenziato dal c.t.u. a pag. 38 della relazione, poiché la M.S.A. s.r.l. era obbligata al deposito del bilancio di esercizio certificato da una società di revisione, la propria documentazione contabile, prodotta a sostegno della richiesta del credito di imposta, non doveva affatto essere certificata da un soggetto iscritto nel registro dei revisori ufficiali dei conti, ai sensi dell’art. 3 comma 11 del D.L. 145/2013 e dell’articolo 7 comma 3 del Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico del 27 maggio 2015 (attuativo).

Le asserite incongruità dei dati forniti in relazione al costo del personale nei prospetti nei prospetti riepilogativi delle ore e dei costi orari imputati al personale impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo riportati negli avvisi impugnati e il difetto di sottoscrizione dei fogli presenza individuale da parte del legale rappresentante legale hanno costituito oggetto di esame analitico da parte del c.t.u. a pag. 14-19 e nell’atto di appello non vengono formulate critiche nuove e specifiche per mettere in discussione il ragionamento svolto e le conclusioni del c.t.

Inoltre, il mero dato formale della parziale carenza di sottoscrizione del P. su alcuni prospetti è superato dalla presenza di altri documenti, sottoscritti dall’amministratore, che fanno riferimento al monte ore.

Come evidenziato nella relazione, “i requisiti richiesti dalla normativa per il riconoscimento del contributo sia nel 2017 che nel triennio di riferimento non sono stati oggetto di contestazione negli atti di recupero” e pertanto la ritenuta carenza di motivazione e di documentazione, in parte sanata nella fase di interlocuzione tra ricorrente e c.t., non ha rilievo ai fini della riforma della sentenza appellata.

La carenza di documentazione relativa ai costi di ricerca extra-muros è stata vagliata dal c.t.u, che ha proposto alla Corte di Arezzo di escludere dal computo delle spese di ricerca e sviluppo utili al fine del riconoscimento del credito di imposta l’importo di euro 24.000 riferite ai contratti con la società El.Ma. In tal senso, l’accoglimento dei ricorsi è stato parziale.

Infine, per quanto riguarda le sigle identificative dei codici dei macchinari ai quali erano collegati i progetti di ricerca e sviluppo e la ripetibilità delle medesime, anche trascurando la circostanza che tale specifico profilo non costituiva oggetto di contestazione negli atti di recupero, le giustificazioni addotte dall’appellato, secondo cui i predetti codici valgono ad identificare “famiglie di prodotti”, ossia ad intere gamme di macchinari, che periodicamente vengono sostituiti con quelli di nuova generazione, sono persuasive e credibili.

In ogni caso, un tale aspetto varrebbe forse a creare semplici sospetti, circa possibili anomalie, ma non a fondare una contestazione di così ampia portata, tale da escludere, addirittura, la sussistenza del complesso delle spese oggetto dell’agevolazione fiscale.

Tenuto conto della peculiarità della vicenda, ricorrono le condizioni, ai sensi dell’art. 92 comma 2 c.p.c., per compensare le spese, a causa dell’obiettiva difficoltà di individuare, caso per caso, la sussistenza delle condizioni indicate in giurisprudenza per l’applicazione del credito d’imposta, tenuto conto della complessità della vicenda, come avvenuto in sede penale, in quanto il P.M. non ha ritenuto di archiviare il relativo procedimento, esercitando l’azione penale.

P.Q.M.

La Corte di Giustizia Tributaria conferma le sentenze appellate e compensa le spese del giudizio.

Così deciso in Firenze, il 6 maggio 2025

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