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Sentenza del 16/05/2025 n. 3128 – Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio Sezione/Collegio 10

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con appello trasmesso telematicamente le società H. C. S.p.A e T. C. G. spa impugnavano la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Roma , con la quale quest’ultima aveva rigettato il ricorso avverso l’avviso di liquidazione n. 2018/003/SC/——, emesso dall’Agenzia delle Entrate- Direzione Provinciale I di Roma per imposta di registro, in relazione alla sentenza del Tribunale di Roma, sez. XVII, pronunciata il 21 settembre 2018 (n. 17850).

Le società premettevano come con l’avviso di liquidazione impugnato l’Ufficio avesse richiesto il pagamento dell’imposta di registro nella misura proporzionale del 3% sulle “riserve” (i.e. richieste di corrispettivo integrativo) che il Tribunale di Roma, con la Sentenza n. 17850/2018, aveva condannato A. S.p.A. a corrispondere alle società T. C. ed HCE.

I primi giudici avevano attribuito alle richieste di corrispettivo integrativo formulate da T. C. (e riconosciute come fondate dal Tribunale di Roma) la natura di “riserve risarcitorie”. Da tale natura discendeva il non assoggettamento ad IVA delle stesse riserve e, conseguentemente, l’applicabilità dell’imposta di registro in misura proporzionale.

Tuttavia, le appellanti, con i motivi proposti, insistevano affinché fosse accertato : 1) il difetto di motivazione in ordine all’avviso impugnato; 2) la sua illegittimità poiché l’Ufficio aveva preteso di applicare l’imposta di registro in misura proporzionale, anziché fissa, sulle somme indicate nella sentenza con la quale il Tribunale aveva condannato A., sebbene tali somme costituissero un corrispettivo integrativo dovuto per l’esecuzione del contratto di appalto, in quanto tale da assoggettare ad IVA; 3) che gli importi riconosciuti a titolo di rivalutazione monetaria e gli interessi dovessero seguire lo stesso regime (IVA) delle “riserve”, essendo ad esse accessori; 4) la sospensione dell’avviso di liquidazione impugnato ex art 52 Dlgs 546/92.

Si costituiva l’Ufficio chiedendo, in via preliminare, la riunione del presente procedimento a quello instaurato dalla coobbligata A. Spa avverso la medesima sentenza, incardinata al n. 2832/2023 sezione 10; nel merito la conferma della sentenza di primo grado.

All’udienza pubblica del 14.4.2025, presenti le parti che si riportavano alle rispettive conclusioni, contenute anche nelle memorie trasmesse, il Collegio tratteneva la causa in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appello è da accogliere.

Occorre premettere come le cause oggetto di richiesta di riunione siano state trattate unitamente nel corso della stessa udienza, e non riunite, avendo parti processuali non coincidenti.

Con la sentenza civile n. 17850 del 2018, il Tribunale civile di Roma, in parziale accoglimento delle richieste attrici, dichiarava dovuta alla spa T. C. G. e per essa alla H. C. Generali, subentrata ex art 111 c.p.c., la complessiva somma 28.760.601,14 posta a carico della committente A. spa per le Riserve nr 7,10,17,18,28,29, condannando l’A. al pagamento di tale somma, maggiorata per la rivalutazione monetaria e gli interessi calcolati secondo i criteri di cui alla perizia di ufficio fino all’effettivo pagamento.

I suddetti pagamenti sono stati posti a carico dell’A. in quanto la società attrice aveva dovuto sopportare maggiori oneri durante l’esecuzione del contratto di appalto, oneri di cui alle cd. riserve sopra indicate, le quali assumevano natura contrattuale e non “risarcitoria”.

Le riserve invero riguardano “maggiori oneri spese generali, oneri per ritardato conseguimento dell’utile, maggiori oneri per la sicurezza, oneri conseguenti all’Ordine di servizio, Adeguamento prezzi per anomalo prolungamento lavori oltre la scadenza contrattuale, Rimborso costi per modifiche al progetto dovute a fatti illeciti.”

Trattasi, invero, di ulteriori adempimenti che l’appaltatore ha dovuto eseguire in forza di clausole contrattuali, per il riconoscimento di maggiori o diversi lavori rispetto al contratto di appalto o per il sostenimento di maggiori costi in corso d’opera riconducibili a prestazioni di servizi con corresponsione del maggiore corrispettivo da parte del committente e quindi con la naturale, legittima attrazione delle stesse maggiori somme riscosse al regime IVA dettato dall’art.3, comma 1, del d.P.R. n.633/72, e non a quello dell’imposta di registro che sarebbe stata applicabile in caso di risarcimento danni.

Stesse considerazioni valgono per la restituzione delle somme trattenute quale penale, trattandosi di somme facenti parte del corrispettivo pattuito e dovuto, trattenute dal committente a titolo di penale, poi restituite e quindi divenute imponibili e da assoggettare ad IVA in tale momento. Sul punto sovvengono le conclusioni dello stesso perito d’ufficio, nominato dal Tribunale civile di Roma, secondo il quale: “il tardivo rilascio del nulla osta della Soprintendenza non può essere posto a carico dell’Impresa, che di fatto ha il compito di cooperare con gli enti terzi e di compiere le attività richieste dal contratto ma non di sostituirsi a questi”, così proponendo la totale disapplicazione della penale. Si accoglie la Riserva, con conseguente disapplicazione della penale di €.173.933,45, con condanna della Stazione Appaltante a corrispondere la somma” (Sentenza Civile n. 17850/2018, pagg. 26-27).

Si ricorda come “in tema di appalto di opera pubbliche, l’equo compenso ex art. 1664, comma 2, c.c., riconosciuto all’appaltatore che nel corso dell’opera abbia incontrato difficoltà di esecuzione non previste che ne abbiano reso notevolmente più onerosa la prestazione, è oggetto d’una obbligazione di valuta e non di valore, giacché l’obbligazione nasce dal contratto e il credito ha la medesima funzione d’ogni altro emolumento spettante all’appaltatore come remunerazione. Ne conseguono, da un lato, la necessità della costituzione in mora, ex art. 1224 c.c., in funzione del decorso degli interessi, dall’altro, l’insufficienza, a tal fine, della riserva che l’appaltatore ha l’onere di iscrivere allo scopo di evitare la decadenza da domande di ulteriori compensi, indennizzi o risarcimenti, in dipendenza dello svolgimento del collaudo” ( cfr. Cass.Sez. 1 ordinanza del 10325 del 18.4.2023).

Pertanto, si concorda nel ritenere come già statuito in altri giudicati che “i mancati corrispettivi derivanti da comportamenti contrattuali illegittimi, generano indebiti costi per l’appaltatrice, i quali, collegati alla esecuzione del contratto stesso in funzione di integrazione di corrispettivo, non hanno natura risarcitoria e sono quindi soggetti a I.V.A.”

Infine, relativamente alle spese di questo grado di giudizio, ritiene il Collegio che sussistano gravi ed eccezionali ragioni per compensarle, in considerazione della complessità delle questioni trattate involgenti interpretazione di norme civilistiche .

P.Q.M.

La Corte accoglie l’appello e compensa le spese.

Così deciso nella camera di consiglio del 14/4/2025.

 

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