La Cassazione chiarisce che la scelta del lavoratore di non usare i DPI rientra tra i comportamenti che il datore di lavoro, in posizione di garanzia, ha l’obbligo di prevedere e contrastare con adeguate misure di prevenzione.
La sentenza n. 14801/2025 della Corte di Cassazione riguarda la condanna del datore di lavoro per omicidio colposo aggravato a seguito della morte di un lavoratore, avvenuta durante lavori in quota per la rimozione di coperture in cemento-amianto sul tetto di un capannone dello stabilimento. Al momento dell’incidente, il lavoratore non era dotato di adeguati dispositivi di sicurezza e non aveva ricevuto la necessaria formazione. Inoltre, l’accesso al cantiere era avvenuto in modo irregolare, poiché il lavoratore aveva utilizzato il tesserino identificativo del figlio dell’imputato, sostituendolo per poter lavorare.
Il datore di lavoro avrebbe omesso di garantire un’adeguata formazione e informazione ai lavoratori in materia di sicurezza sul lavoro, non avrebbe fornito DPI idonei, né avrebbe predisposto sistemi di protezione collettiva come reti anticaduta o impalcati, indispensabili per i lavori in quota. Inoltre, non avrebbe attuato correttamente le misure previste nel PSC.
Secondo la ricostruzione dei giudici, queste gravi carenze organizzative e preventive hanno generato un rischio tale da portare all’incidente mortale.
La difesa, nel ricorso presentato in Cassazione, ha sostenuto che il datore di lavoro non fosse a conoscenza della presenza del lavoratore sul cantiere, poiché quest’ultimo vi sarebbe entrato utilizzando il tesserino del figlio dell’imputato. È stato, inoltre, affermato che i DPI erano stati previsti in modo adeguato, sia individuali che collettivi, ma si era deciso di utilizzare esclusivamente la linea vita, considerata sufficiente e approvata anche dai tecnici della stazione appaltante e dal coordinatore della sicurezza.
La caduta del lavoratore è stata attribuita ad una condotta imprevedibile e autonoma dello stesso, che avrebbe volontariamente scelto di sganciarsi dalla linea vita. La difesa ha poi sostenuto che la norma che imponeva l’adozione obbligatoria dei DPC non era ancora in vigore al momento dei fatti. Infine, è stato richiesto il riconoscimento delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena, considerando il comportamento tenuto dopo i fatti, l’assenza di precedenti e l’età avanzata dell’imputato.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso. I giudici hanno confermato la responsabilità del datore di lavoro, sottolineando che la mancata vigilanza sul cantiere e l’assenza di un preposto rappresentano gravi omissioni. È stato, inoltre, accertato che la vittima lavorava in nero e che la sua condotta, seppur imprudente, rientrava tra i rischi prevedibili e non interrompeva il nesso causale. Infine, la Corte ha ritenuto corretta la pena inflitta, giudicando inadeguate le richieste di attenuanti o di sospensione condizionale, anche alla luce del risarcimento del danno e dell’età avanzata dell’imputato.