tratto da biblus.acca.it

Il titolo edilizio è obbligatorio anche prima del 1967 se lo prevede il PRG? Fiscalizzazione, onere di prova, opere in zona vincolata: il Tar Lazio chiarisce vari aspetti in materia di abuso edilizio.

Una recente pronuncia del TAR Lazio (sentenza n. 8022/2025) fornisce importanti chiarimenti in materia di abuso edilizio, affrontando questioni centrali come l’obbligo di titolo edilizio anche per opere realizzate prima del 1967, la fiscalizzazione dell’abuso, l’onere della prova sulla data di costruzione e le conseguenze in caso di interventi in aree vincolate.

Nello specifico risulta che nei Comuni in cui era già stato approvato un Piano Regolatore Generale prima dell’entrata in vigore della Legge 765/1967 (nota come Legge Ponte), era comunque obbligatorio ottenere un titolo edilizio per costruire nuovi edifici (art. 31 legge urbanistica 1150/1942). Di conseguenza, anche le opere realizzate prima del 1967 sono da considerarsi illegittime se prive di tale autorizzazione.

La sentenza mostra quanto sia particolarmente importante la corretta organizzazione e archiviazione dei documenti delle pratiche edilizie soprattutto in caso di controversie.

Il caso relativo a opere realizzate prima del 1967 che necessitavano di autorizzazione

Nel caso in esame, i ricorrenti hanno impugnato due provvedimenti del Comune relativi a un immobile di loro proprietà, contestando, da un lato, l’ordine di demolizione emesso a seguito di un sopralluogo che aveva accertato la realizzazione di opere edilizie abusive – tra cui una tettoia/officina con struttura in cemento e capriate metalliche, un ampliamento ad uso abitativo su due livelli completo di impianti, e un container adibito a ufficio – e, dall’altro, la successiva irrogazione di una sanzione pecuniaria ai sensi della L.R. Lazio 15/2008.

I ricorrenti sostengono che parte delle opere risalga a epoca antecedente alla Legge Ponte del 1967 e, dunque, non sarebbe soggetta a titolo edilizio, lamentando che il Comune non avrebbe compiuto un’adeguata verifica storico-fattuale. Denunciano inoltre la mancata considerazione del legittimo affidamento maturato nel tempo e l’omesso esame dell’esistenza di una domanda di condono presentata nel 2004, che renderebbe il provvedimento illogico e contraddittorio.

Contestano anche la violazione dell’art. 34 del d.P.R. 380/2001, che impone l’applicazione di una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione quando le opere abusive non siano facilmente separabili da quelle legittime, nonché la violazione delle garanzie partecipative del procedimento amministrativo, per l’assenza dell’indicazione del termine per presentare osservazioni.

Quanto alla sanzione pecuniaria, i ricorrenti ne deducono l’illegittimità per assenza di una precedente ordinanza di sospensione dei lavori, per violazione della sequenza procedimentale (in quanto il Comune avrebbe dovuto prima ritirare la precedente ordinanza), e per la carenza dei presupposti per l’acquisizione dell’area, non sussistendo una lottizzazione abusiva.

A fronte delle deduzioni del ricorrente, l’amministrazione comunale ha sviluppato una contro-argomentazione strutturata su tre punti fondamentali:

  • esistenza di un PRG antecedente al 1967: il Comune ha dimostrato che sul proprio territorio era già operativo, prima del 1967, un Piano Regolatore Generale regolarmente approvato. Tale strumento urbanistico prevedeva espressamente l’obbligo di ottenere una licenza edilizia per la realizzazione di nuove costruzioni;
  • validità autonoma dell’obbligo edilizio: l’amministrazione ha sottolineato che, indipendentemente dall’entrata in vigore della legge ponte, la necessità del titolo edilizio trovava già fondamento nell’art. 31 della legge urbanistica 1150/1942, applicabile nei Comuni dotati di PRG. Di conseguenza, chiunque volesse edificare in tali contesti doveva necessariamente ottenere una licenza, anche prima del 1967;
  • mancanza di prova da parte del ricorrente: infine, è stato rilevato che il ricorrente non ha fornito alcun elemento probatorio idoneo a dimostrare in maniera certa che l’immobile fosse stato effettivamente costruito prima dell’adozione e dell’efficacia del PRG. L’assenza di documentazione comprovante la data di realizzazione dell’opera ha inciso negativamente sulla valutazione della sua legittimità.

Assenza di titolo ante ’67: cosa succede se il PRG del Comune lo prevedeva?

Il TAR Lazio ha esaminato attentamente il quadro normativo e fattuale della vicenda, giungendo a una serie di conclusioni chiare e coerenti.

Il TAR ha ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza amministrativa: anche prima del 1967, nei Comuni dotati di PRG, la realizzazione di nuove costruzioni era subordinata al rilascio di una licenza edilizia. Tale obbligo discendeva direttamente dalla legge urbanistica del 1942, e non vi era dunque alcuna “zona franca” normativa per le opere realizzate in quel contesto.

Il Collegio, anche a voler seguire l’argomento proposto dalla parte ricorrente, precisa che questo non è applicabile al caso specifico, dove già nel 1883 esisteva un Piano Regolatore Regionale, seguito da altri piani regolatori nel 1909 (Piano Nathan) e nel 1931. Quest’ultimo prevedeva regole precise per le costruzioni, comprese quelle estetiche e igieniche.

Successivamente, la legge urbanistica n. 1150/1942 ha imposto, all’art. 31, l’obbligo di ottenere una licenza edilizia per chiunque volesse costruire o modificare edifici, anche in zone di espansione urbana individuate dal PRG. Poiché l’area interessata dall’abuso edilizio rientrava già nelle zone di espansione del PRG del 1931, per costruire era già necessaria la licenza ben prima del 1967.

Chi ha l’onere della prova sulla data di costruzione?

Un aspetto centrale della decisione riguarda la ripartizione dell’onere probatorio: i ricorrenti non hanno specificato quale parte dell’immobile sarebbe stata costruita prima dell’entrata in vigore della Legge Ponte e non hanno fornito prove concrete a supporto di questa tesi.

Secondo giurisprudenza consolidata, l’onere della prova sulla data di costruzione ricade su chi ha realizzato l’opera. Senza elementi certi, l’amministrazione può legittimamente negare la sanatoria e ordinare la demolizione:

Costituisce principio consolidato che l’onere di provare la data di realizzazione dell’immobile abusivo spetti a colui che ha commesso l’abuso e che solo la deduzione, da parte di quest’ultimo, di concreti elementi – i quali non possono limitarsi a sole allegazioni documentali a sostegno delle proprie affermazioni – trasferisce il suddetto onere di prova contraria in capo all’amministrazione. Solo l’interessato infatti può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto e, in difetto di tali prove, resta integro il potere dell’Amministrazione di negare la sanatoria dell’abuso e il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria.” (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, Sezione VI, 15/11/2027, n. 5283).

Quale titolo per un cambio d’uso con opere in zona vincolata?

Il TAR ha confermato che il Comune ha correttamente accertato l’esistenza di una tettoia di circa 130 m2, completamente murata, per la quale è ancora pendente una domanda di condono. La realizzazione di tale struttura, come già chiarito dal Consiglio di Stato (sent. n. 3283/2023), richiedeva sin dall’origine un permesso di costruire.

A questa prima costruzione si sono aggiunti ulteriori interventi, anch’essi abusivi, che non possono essere considerati semplici opere di ristrutturazione o risanamento: si tratta, a tutti gli effetti, di nuove edificazioni. La tettoia è stata infatti ampliata di 36 m2 e trasformata in un appartamento su due livelli, completamente arredato, con impianti, bagno, cucina e collegamento alla rete fognaria. In aggiunta, è stato installato un container di oltre 16 m2, utilizzato come ufficio e anch’esso dotato di bagno collegato alla rete fognaria.

Tali opere, in base all’art. 3, lettera e) del D.P.R. 380/2001 e alla consolidata giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 1536/2020; TAR Campania, Napoli, n. 4663/2024), configurano una nuova costruzione. Esse modificano infatti l’assetto urbanistico, generano nuovi volumi e comportano un aumento del carico urbanistico, condizioni che impongono il rilascio del permesso di costruire.

Inoltre, è stato accertato un cambio di destinazione d’uso da agricola (capannone per foraggio) a residenziale, con tanto di modifica della categoria catastale, creazione di superficie abitabile e incremento del carico urbanistico. Anche in assenza di opere strutturali, la giurisprudenza (TAR Salerno n. 2328/2023; TAR Marche n. 688/2024) ha chiarito che un cambio d’uso tra funzioni autonome – come in questo caso – richiede comunque il permesso di costruire, specialmente quando l’uso abitativo è evidente, come dimostrano la presenza di arredi, impianti e servizi.

Va inoltre considerato che l’area interessata è soggetta a vincoli paesaggistici e ambientali, essendo classificata come zona agricola protetta con valore panoramico e ambientale, ai sensi degli articoli 134 e 136 del D.lgs. 42/2004 e del PTPR. Questi vincoli rendono ancora più stringente il rispetto della normativa urbanistica.

Infine, va precisato che i ricorrenti non hanno mai ottenuto alcun condono edilizio. L’unica domanda presentata risale al 2004 e riguarda una tettoia agricola di 70 m2, mai accolta e comunque non riferita alle opere oggetto del provvedimento impugnato.

Quando vale la fiscalizzazione dell’abuso edilizio?

I ricorrenti sostengono che l’ordinanza impugnata sarebbe illegittima perché l’Amministrazione non avrebbe prima verificato la possibilità di sostituire la demolizione con una sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 34, comma 2, del D.P.R. 380/2001.

Tuttavia, il Collegio osserva che tale possibilità, detta “fiscalizzazione dell’abuso”, ha carattere eccezionale e non può essere applicata automaticamente. Non spetta all’Amministrazione verificare d’ufficio se l’abuso possa essere sanato con sanzione pecuniaria prima di ordinare la demolizione. È invece il privato a dover dimostrare, in modo rigoroso e nella fase esecutiva, l’impossibilità oggettiva di eseguire l’ordine senza danneggiare la parte regolare dell’edificio (vedi, tra le altre, T.A.R. Campania Napoli, Sez. VI, 7/11/2023, n. 6089).

Inoltre, la fiscalizzazione può essere applicata solo in caso di abusi parziali rispetto al titolo edilizio. In caso, come in questo in esame, di totale assenza del titolo edilizio, essa non è ammessa.

Comunicazione di avvio del procedimento: è obbligatoria?

L’avvio del procedimento non va comunicato nei casi di atti vincolati, come nel caso di demolizione per abuso edilizio. La giurisprudenza consolidata ritiene che, trattandosi di provvedimenti vincolati, come l’ordine di demolizione, non è necessaria la comunicazione preventiva di avvio del procedimento (Cons. Stato, Sez. VI, 05/04/2022, n. 2523; 13/01/2022, n. 233; 19/08/2021, n. 5943; 24/03/2023, n. 3001).
In ogni caso, risulta che l’Amministrazione abbia effettivamente notificato ai ricorrenti un atto  che costituisce a tutti gli effetti comunicazione di avvio del procedimento, dando loro la possibilità di presentare osservazioni e impugnare l’atto nei termini di legge.

Sulla base di tali considerazioni, il Tribunale ha respinto il ricorso.

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