A cura di Agostino Galeone

 Al fine di esporre, seppure sinteticamente, i concetti giuridici espressi dal tribunale salentino con la sentenza in esame, è opportuno premettere quali opere edilizie siano state oggetto dell’impugnata ordinanza di demolizione di cui il ricorrente ha chiesto l’annullamento:

  • un locale (box), della superficie coperta complessiva di circa mq 34 (m. 6,15 x m 5,25) e volumetria di circa mc 85, realizzato con strutture verticali in muratura e copertura con onduline in cemento amianto;
  • piazzali pavimentati in gres su aree esterne non adiacenti all’unità immobiliare, per una superficie complessiva di circa mq 10;
  • un tratto di recinzione in rete metallica e di un cancello di accesso in metallo, al confine della proprietà del ricorrente con il terreno limitrofo.

A sostegno dell’ingiunzione impartita con il provvedimento impugnato sono state apportate le seguenti motivazioni:

  • per il locale “box”, l’edificazione effettuata in assenza del permesso di costruire (facendo presente che la stessa opera era stata già oggetto di una ingiunzione di demolizione emessa circa 25 anni prima a carico dell’avente causa del ricorrente ma mai eseguita);
  • per la pavimentazione esterna, la recinzione e il cancello in metallo, la loro realizzazione attuata in assenza di Segnalazione Certificata di Inizio Attività.

Contro deducendo alle ragioni di censura addotte dal ricorrente, il giudice adito ha ritenuto legittimo l’ingiunzione di demolizione riferito al “box”, mentre ha annullato parzialmente il provvedimento relativamente all’intimato ordine di demolire la pavimentazione esterna, la recinzione e il cancello in quanto affetto dal vizio di violazione di legge.

Il TAR afferma, facendo proprio il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa di cui  riporta gli estremi delle sentenze e i rispettivi testuali passi, che il contestato ordine afferente al “box”, essendo un atto di natura strettamente vincolata, non necessita di una esposizione analitica circa l’iter logico seguito per pervenire alla decisione demolitoria da assumere e neppure che nello stesso provvedimento sia individuato l’interesse pubblico concreto e attuale da tutelare con la demolizione ordinata, in quanto l’interesse pubblico sotteso all’adozione del provvedimento impugnato è stato preventivamente stabilito dal legislatore; ed, inoltre, ritiene che lo stesso provvedimento risulti sufficientemente motivato con l’esatta descrizione del locale da demolire. Aggiunge, poi, che la legittimità di detto provvedimento non è in alcun modo inficiata dal fatto che l’immobile da demolire sia stato acquistato in buona fede dall’odierno proprietario ricorrente, in quanto “chi acquista un immobile abusivo succede in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo al precedente proprietario e relativi al bene ceduto, ivi compresa l’abusiva trasformazione, subendo gli effetti …  e sia dell’ingiunzione di demolizione successivamente impartita, pur essendo stato l’abuso commesso prima della traslazione della proprietà”; peraltro, fa rilevare che relativamente all’abuso edilizio in questione conserva ancora la sua efficacia la precedente ingiunzione demolitoria, adottata dal Comune circa 25 anni or sono, mai contestata e annullata, anche se non eseguita.

Il collegio giudicante, confutando la tesi del ricorrente, sostiene che il “box” non è definibile una pertinenza urbanistica, tenuto conto delle sue dimensioni e della mancanza di elementi che facciano ritenere che lo stesso non sia suscettibile di utilizzo autonomo rispetto all’unità immobiliare principale, e ciò in conformità al maggioritario indirizzo giurisprudenziale richiamato nella sentenza di cui trattasi.

Relativamente alla parte con cui è stata ordinata la demolizione della pavimentazione esterna, della recinzione e del cancello in metallo, il TAR, ritenendo fondati i rilievi formulati nel ricorso, è dell’avviso che le predette opere rientrino nell’ambito dell’edilizia libera ai sensi dell’art. 6 del DPR n. 380/2000; e, inoltre, afferma che “anche a voler ritenere, come riferito nel provvedimento impugnato, che la realizzazione delle opere in questione avrebbe richiesto la presentazione di una SCIA, tale sola constatazione non avrebbe potuto giustificare la demolizione, dovendosi tenere conto del disposto dell’art. 37 d.P.R. 380/2001, secondo cui la realizzazione di interventi in assenza o in difformità dalla SCIA (ma astrattamente eseguibili a mezzo di segnalazione) comporta l’applicazione delle sanzioni pecuniarie ivi previste e non anche di quella demolitoria, salve le eccezioni previste dalla legge o il caso in cui l’opera non sia comunque compatibile con gli strumenti urbanistici di riferimento”.

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