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Corte Costituzionale, sentenza del 27.03.2025, n. 36: sito esterno banca dati CERDEF.

La Corte Costituzionale ha dichiarato parzialmente fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 58, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. bb), del decreto legislativo 30 dicembre 2023, n. 220, sollevata dalle Corti di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania e della Lombardia con riferimento agli artt. 3, comma 1, 24, comma 2, 102, comma 1 e 111, commi 1 e 2, della Costituzione.
Per la Consulta è costituzionalmente illegittima la disposizione di cui all’art. 58, comma 3, citato nella parte in cui vieta il deposito delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti.
In particolare, secondo il giudice delle leggi, la sottrazione di tali atti alla regola generale prevista dal comma 1 – che consente la produzione di nova istruttori in appello se ritenuti dal giudice indispensabili ai fini della decisione o incolpevolmente non dedotti in primo grado – non risulta ragionevole, atteso che essi non presentano alcun tratto distintivo particolare per giustificare una simile deroga. Peraltro, sostiene la Consulta, escludere il deposito di quei documenti che attengono alla legittimazione processuale e sostanziale altera la parità delle armi e determina una compressione ingiustificata del diritto alla prova quando non è stata possibile la produzione degli stessi in primo grado per causa non imputabile alla parte. Nessun dubbio di costituzionalità sussiste, invece, con riferimento agli altri documenti menzionati dal medesimo comma 3 (notifiche dell’atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono il presupposto di legittimità).
Con la stessa pronuncia, la Corte Costituzionale ha, altresì, ritenuto costituzionalmente illegittimo l’art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 220/2023 laddove prescrive che le disposizioni in questione si applicano anche ai giudizi di appello pendenti alla data di entrata in vigore del medesimo decreto, anziché “ai giudizi di appello il cui primo grado sia instaurato successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 220/2023”. La successione di leggi processuali nel tempo non può pregiudicare situazioni verificatesi nei giudizi iniziati nel vigore della precedente normativa e ancora pendenti.

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