Sarebbe difficile immaginare una definizione più calzante di quella, “museo degli orrori”, con la quale il Professore Sabino Cassese, acuto osservatore delle vicende delle Pubbliche Amministrazioni, ha bollato, scrivendone sul Corriere della Sera, il decreto-legge sulla “funzionalità delle pubbliche amministrazioni”, di recente approvato dal Consiglio dei ministri (“L’oscurità dei decreti labirinto”). Con 22 articoli per 112 commi, alcuni lunghi sei pagine, 16.825 parole, 114.192 caratteri, come il Professore puntigliosamente riassume nell’incipit del suo articolo, il decreto è un autentico monstrum che si occupa di tutto (e “di più”, come comunemente si dice per segnalare un’incongrua abbondanza) con una tecnica legislativa che credevamo abbandonata per sempre, quella del decreto omnibus irto di norme talmente oscure (con 255 riferimenti ad altre leggi) che lo stesso Cassese dubita sia stato così fatto perché gli autori “desideravano non essere capiti”. Accusa gravissima per bocca di chi è parso molto spesso “dalla parte” dei governi, considerato che scopo della normativa d’urgenza, reso palese dal titolo, è la “funzionalità”, requisito fondamentale per la regolamentazione degli apparati burocratici istituzionalmente destinati a svolgere un ruolo essenziale, quello della realizzazione delle politiche pubbliche delineate nel programma del governo. Laddove la richiesta della politica, ma anche dei cittadini e delle imprese, è quella della semplificazione cancellando adempimenti non necessari quelli, per intendersi, che sono alla base della critica che dipinge da sempre l’amministrazione pubblica farraginosa ed inefficiente.
Lo sconcerto del Professore Cassese è grande, perché in quel decreto “c’è di tutto: l’ovvio, l’utile, il superfluo, lo strano, il dannoso”. Soprattutto in tema di provvista del personale, tra modifiche dei criteri di definizione delle procedure concorsuali, ricorso a procedure selettive già svolte altrove, stabilizzazione di precari, che in tal modo diventano “di ruolo”, assunzioni a tempo determinato che diventano a tempo indeterminato. Sono ricorrenti iniziative del potere alla ricerca di assunzioni facili, mascherate con l’esigenza di celerità che nelle pubbliche amministrazioni non è sempre possibile garantire considerato il numero dei concorrenti ed i tempi di correzione degli elaborati. Così negli anni sono state attuate procedure semplificate con riduzione delle prove e delle materie di esame, con conseguenze ben note quanto all’accertamento della professionalità richiesta. Come nel caso di assunzioni effettuate con semplici colloqui, oppure con limitazione del numero delle prove scritte, un tempo particolarmente selettive. Ricordo, ad esempio, che nelle prove di accesso alle carriere “di concetto speciali”, un tempo istituite presso alcune amministrazioni, le finanze, il tesoro, la giustizia, la Corte dei conti, il Consiglio di Stato, alle quali si partecipava anche con il semplice diploma di scuola media superiore, le prove scritte erano tre, come per le carriere direttive. Ciò che giustificava che questi impiegati, nel giro di qualche anno, a seguito di una promozione entravano a far parte della carriera direttiva.
Ancora un esempio. Pochi ricordano che c’è stato un tempo nel quale le amministrazioni conoscevano nella carriera direttiva, dalla quale si traevano coloro che avrebbero esercitato funzioni dirigenziali, i cosiddetti concorsi “per merito distinto”, particolarmente selettivi perché con uno o due posti a disposizione vedevano la partecipazione di qualche centinaio di funzionari. Chi avesse vinto quel concorso sarebbe passato in testa al ruolo ed avrebbe visto la sua carriera aperta in modo straordinario. Da quei concorsi sono usciti personaggi che hanno fatto la storia delle pubbliche amministrazioni, i più giovani direttori generali.
Tornando alle osservazioni del Professore Cassese sul decreto….