Tratto da : mauriziolucca.com

La sez. VII del Consiglio di Stato, con la sentenza 23 agosto 2024, n. 7220, interviene per chiarire le potestà della PA sui beni del patrimonio indisponibile dati in concessione (ex alloggio di servizio, ma l’esempio può estendersi a qualsiasi compendio di beni)[1] ad un privato (fondazione), dove prevale la manifestazione del consenso espresso, non potendo desumere la volontà (della PA) per implicito, e neppure pretendere un affidamento diretto protratto (in eterno, secondo la formula dell’Antico Testamento, «di generazione in generazione»)[2].

Pare giusto, rammentare – a margine – che, in caso di rinnovo, ossia nell’esercizio di un potere provvedimentale, la legittimità si rapporta con la regola tempus regit actum, che governa l’adozione dei provvedimenti amministrativi e che esclude l’ipotizzabilità di un’illegittimità postuma di questi[3].

Giurisdizione

È opportuno, inoltre, osservare che un bene non appartenente al demanio necessario affinché possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, ai sensi dell’art. 826, terzo comma, cod. civ., e possa essere dato in concessione in godimento per essere qualificata come concessione-contratto, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volontà (espressa) dell’Ente titolare del diritto reale pubblico e dell’effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico (servizio)[4].

I fatti

Il bene veniva assegnato in concessione, con ordinanza sindacale (anno 1997), ripetutamente rinnovata, prima di scadere (anno 2011)[5].

La fondazione dichiarava che nel bene svolgeva attività culturali e, alla scadenza del termine, versava un’indennità d’uso ridotta dell’80% rispetto ai valori di mercato, vista la meritevolezza degli interessi perseguiti.

A seguito di una segnalazione (indagine conoscitiva) della Corte dei conti sui beni di proprietà comunale, l’Amministrazione si uniformava alle indicazioni della stessa:

  • procedendo alla riacquisizione del bene concesso (atto dovuto e vincolato), venendo, altresì, meno i presupposti dell’autoriduzione dell’indennità corrisposta;
  • ritenendo l’assenza di un rinnovo in automatico (la richiesta veniva peraltro rigettata, atto discrezionale);
  • prospettando una diversa destinazione del bene da assegnare, con procedura ad evidenza pubblica (valutazioni di merito, con atto di gara).

Donde, il ricorso in appello rigettato (rigettato, pure in primo grado).

La competenza gestionale

In via preliminare e dirimente, viene osservato che la competenza in materia gestionale dei beni (alias rinnovo della concessione dell’utilizzo dell’immobile) rientra nella competenza dirigenziale, con la prevalenza delle disposizioni del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL) su eventuali contrarie previsioni regolamentari del Comune, in forza del criterio di gerarchia:

  • l’art. 107 del TUEL[6] stabilisce il principio della divisione tra le funzioni di indirizzo politico-amministrativo e l’attività di gestione dell’Ente, dove ai commi 3 e 6 attribuisce espressamente alla dirigenza tutta la gestione, amministrativa, finanziaria e tecnica, comprensiva dell’adozione di tutti i provvedimenti, anche discrezionali, incluse le autorizzazioni e concessioni (anche i loro simmetrici atti negativi), e su di essi incombe la diretta ed esclusiva responsabilità (c.d. riserva)della correttezza amministrativa di tale gestione[7].
  • l’atto di gestione del patrimonio immobiliare dell’Ente deve intendersi, quindi, riservata, anche qualora sia richiesto l’esperimento di accertamenti o valutazioni di natura discrezionale, alla competenza dei dirigenti dell’Ente locale o, nei Comuni privi di dirigenti, ai responsabili dei servizi e degli uffici (EQ)[8].

Precisazioni sulla natura dei beni

Si precisa, per completezza espositiva, che in presenza di beni di pregio, dati in concessione per l’esercizio di attività commerciali mediante procedure ad evidenza pubblica[9], la qualificazione dell’atto in termini di concessione amministrativacomporta l’applicabilità delle norme e dei principi privatistici in materia di contratto di locazione per uso commerciale, di cui alla legge n. 392/1978, nei limiti della compatibilità, alla luce dei principi ritraibili dal diritto europeo dell’evidenza pubblica e della concorrenza[10], rilevando che sussiste una ontologica differenza tra la concessione amministrativa e locazione commerciale[11].

Occorre precisare, allora, che la concessione è uno strumento autoritativo (generalmente non rientrante nel modello consensuale) particolarmente adatto per soddisfare ad una molteplicità di esigenze atte a soddisfare di determinati interessi pubblici: nell’atto concessorio, o concessione – contratto, sarà previsto un canone concessorio rapportato a parametri predefiniti dell’Amministrazione (generalmente con fonte regolamentare) in funzione dell’utilizzo del bene concessionato, appartenente al demanio o al patrimonio indisponibile; mentre la locazione è un contratto (forma ad substantiam)[12]consensuale con effetti obbligatori a prestazioni corrispettive, col quale la parte pubblica (locatore) si obbliga a far godere all’altra privata (locatario o conduttore) la cosa mobile o immobile (appartenente al patrimonio disponibile) per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo (ex art. 1571 c.c.): la presenza del corrispettivo distingue la locazione dal comodato (ex art. 1833 c.c.), che è essenzialmente gratuito, mentre si differenzia dall’affitto in quanto non ha ad oggetto una cosa produttiva (exart. 1615 c.c.).

È altrettanto vero, però, che la sola appartenenza del bene al patrimonio indisponibile non qualifica di per sé la concessione in termini di “concessione di beni”, essendo un simile automatismo certamente da escludere tutte le volte in cui la natura pubblicistica del bene trovi fondamento nella sua strumentalità allo svolgimento di un servizio pubblico, secondo il criterio teleologico, di cui all’art. 826, comma 2, c.c., giacché tale schema implica, per sua natura, una “coesistenza” tra natura pubblica del bene e funzione pubblica del servizio cui è destinato.

In questi casi, dunque, compete all’interprete individuare, tra i due profili, quello in concreto prevalente e, come tale, capace di qualificare giuridicamente il rapporto; occorre, in altre parole, operare un giudizio di “prevalenza sostanziale”, per certi versi analogo a quello previsto in materia di appalti pubblici (già presente nell’art. 169, comma 8, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50)[13].

Rinnovo

Viene chiarito che il rinnovo è un atto non automatico, non ha carattere meramente discrezionale, anche se previsto nella concessione.

È noto che i beni pubblici vanno valorizzati al meglio, anche in presenza di una precedente assegnazione ad un soggetto privato di specchiatissima capacità ed elevato riconoscimento sociale (c.d. finalità pregevoli), profilo che non può costituire una sorta di guarentigia, un’esclusività di benemerenza.

Si ricava, nella gestione degli immobili di proprietà, la PA:

  • non può dismettere il suo ruolo di Ente esponenziale degli interessi ed aspettative della comunità cittadina, dovendo sempre, specie in presenza di un rinnovo, verificare la permanenza dell’interesse pubblico, valutazione che implica una rivalutazione della compatibilità dell’attività consentita al privato con le ragioni di interesse pubblico[14];
  • dovrebbe favorire lo sviluppo delle attività di natura sociale e culturale a beneficio di questa, svolte dai cittadini singoli e associati (art. 118, quarto comma, Cost.) in condizioni di parità;
  • l’assolvimento di tali compiti non cambierebbe a seconda che ci si trovi dinanzi all’iniziale assegnazione del bene pubblico, ovvero nella fase del rinnovo della sua concessione;
  • il rinnovo (istanza di rinnovo) non può avvenire – in ogni caso – in modo tacito o per facta concludentia, ovvero, detto in termini più proficui, un rinnovo automatico, senza mediazione alcuna sull’interesse pubblico attuale;
  • all’istanza di rinnovo della concessione non può essere attribuito un valore automatico, ex se, occorrendo, di volta in volta, una nuova valutazione e istruttoria dello stato dei luoghi[15].

Principi di diritto….

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