tratto da lavoce.info
 
17.01.17  – Francesco Daveri
 
 

La musica sembra cambiata in Europa per i conti italiani. L’ennesimo sforamento della legge di bilancio 2017 sugli obiettivi precedenti non ha trovato l’atteggiamento benevolo del passato. Anche il rating del debito ne soffre. E’ arrivato il momento per la spending review sempre rinviata.

Abbiamo pensato che nessuno ci potesse giudicare

Nei mille giorni di durata del governo Renzi, la politica italiana nei confronti dell’Europa ha seguito una semplice regola riassumibile nel titolo di una vecchia canzone di Caterina Caselli: nessuno mi può giudicare. Solo un governo che si aspetti di non essere giudicato può così sistematicamente rivedere al rialzo obiettivi di finanza pubblica messi nero su bianco solo pochi mesi prima.

L’evidenza di questa presunzione viene fuori dal confronto degli obiettivi programmatici di finanza pubblica che Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan si sono dati nei vari documenti ufficiali nel corso del tempo. Accostandoli nella stessa tabella emerge che l’obiettivo di deficit 2015, fissato nell’aprile 2014 all’1,8 per cento, è stato poi rivisto alla fine di settembre 2014 al 2,9 per cento per poi assestarsi al dato definitivo del 2,6 per cento del Pil, con uno sforamento di 0,8 punti percentuali rispetto all’obiettivo formulato nel primo semestre 2014.

La tabella mostra anche che lo sforamento del 2015 si è poi trasmesso al 2016, per il quale l’asticella è stata spostata all’insù all’1,8 per cento già nel settembre 2014. Ma la prima revisione non è bastata. L’obiettivo di deficit per il 2016 è infatti salito di un altro 0,6, arrivando al 2,4 per cento incluso nella nota di aggiornamento al Def del settembre 2016, dato con cui probabilmente si è chiuso l’anno passato. Anche la previsione 2017 ha subito un analogo ciclo di revisioni: dall’obiettivo di deficit quasi azzerato (allo 0,3 per cento del Pil) previsto nell’aprile 2014 si è gradualmente saliti al 2 per cento indicato nella più recente nota di aggiornamento.

Di fronte alle osservazioni di chi faceva notare le sistematiche deviazioni, il governo ha sempre minimizzato. Con un argomento: dopo tutto, il deficit pubblico ha continuato a scendere nel periodo in esame, dal 3 per cento del 2014 al 2,6 del 2015 fino al 2,4 del 2016. Tutto questo mentre altri grandi paesi dell’Eurozona, come Francia e Spagna, hanno continuato a non rispettare (e in misura ben maggiore) i loro impegni di finanza pubblica, mantenendo il loro deficit al di sopra del 3 per cento del Pil.

In tutto questo periodo, i rapporti tra Roma e Bruxelles sono passati attraverso burrasche e bonacce. Ma in definitiva la Commissione europea guidata dal “burocrate” Jean Claude Juncker è stata più che comprensiva nei confronti delle esigenze dell’Italia, fiaccata da una dura e lunga recessione, e del suo governo, garantendo più o meno integralmente gli spazi di flessibilità richiesti. E lo ha fatto perché le regole del Fiscal Compact consentivano di appellarsi a varie clausole ed eccezioni che sono state creativamente ed efficacemente utilizzate dal governo italiano.

Tabella – Deficit pubblico (indebitamento netto) in percentuale sul Pil: obiettivi programmatici del governo Renzi

Nota: I dati negativi indicano un avanzo di bilancio mentre i dati positivi indicano un deficit

Nota: I dati negativi indicano un avanzo di bilancio mentre i dati positivi indicano un deficit

Con il 2017 qualcosa è cambiato

Già dai primi giorni di gennaio 2017 la musica è cambiata per i conti pubblici italiani. L’ennesimo sforamento della legge di bilancio 2017 sugli obiettivi dichiarati in precedenza non ha trovato a Bruxelles lo stesso atteggiamento benevolo del passato. Dopo la tregua “referendaria” garantita dalla Commissione, già da dicembre è infatti partito un negoziato che ha come oggetto l’entità di una manovra correttiva in corso d’anno richiesta al governo italiano per 3,4 miliardi, lo 0,2 per cento del Pil. Ma stavolta ai rilievi europei si è aggiunta l’agenzia di rating canadese Dbrs – l’ultima rimasta ad assegnare la lettera A dei migliori debitori al governo italiano. Dbrs ha abbassato il rating del nostro debito pubblico dopo gli eventi degli ultimi mesi: l’incancrenirsi della situazione del settore bancario italiano, la vittoria del “no” al referendum di dicembre, il rischio di un potenziale stallo politico dopo le prossime elezioni. Niente di drammatico, intendiamoci, almeno fino a che c’è la Bce a far da ombrello. Tant’è che lo spread Btp-bund non si è quasi mosso. Ma di fronte a un tale uno-due forse nemmeno il precedente premier avrebbe potuto fare spallucce, alludendo all’irrilevanza dei decimali e dei burocrati europei. Non è da pochi decimali di sforamento che si giudicano i conti pubblici di un paese che ha dimostrato di essere in grado di far fronte al rimborso del suo debito anche in circostanze più complicate di quelle di oggi. Ma quando Bruxelles e quelle (pur fallibili) sentinelle dei mercati che sono le agenzie di rating parlano la stessa lingua, un governo deve almeno appendere un “post it” nella stanza dove si tengono i Consigli dei ministri e porsi il problema di attuare con maggiore efficacia una spending review finora sempre rinviata.

E’ presto per dichiarare conclusa la (breve) stagione della flessibilità all’interno delle maglie codificate del Fiscal Compact europeo. È però difficile che il “Nessuno mi può giudicare” continui a essere la regola dei prossimi mesi, specialmente se la ripresa si consolida nell’Eurozona. Del resto anche la canzone della Caselli cominciava con un “La verità mi fa male, lo sai”. Farà anche male, ma meglio tenerne conto. Per evitare domani di dover chiedere un imbarazzante e costoso perdono.

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