23/05/2019 – Allontanamento dal posto di lavoro senza autorizzazione: per il dipendente dell’ente locale è danno da disservizio

Allontanamento dal posto di lavoro senza autorizzazione: per il dipendente dell’ente locale è danno da disservizio

di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
L’allontanamento dal posto di lavoro da parte del dipendente dell’ente locale senza la necessaria autorizzazione non comporta automaticamente il licenziamento; è possibile, tuttavia, l’applicazione di una sanzione disciplinare conservativa e la richiesta del danno erariale per il tempo di allontanamento non lavorato; legittima anche la richiesta per il danno da disservizio.
La Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Basilicata, con la sentenza n. 18, dell’8 maggio 2019, ha condannato il dipendente di un ente locale per danno erariale di modesta entità e di danno da disservizio perché si era assentato per circa 23 minuti dal lavoro senza aver timbrato l’uscita dal lavoro.
Il contenzioso
Con atto di citazione dell’ottobre 2018, il Procuratore Regionale della Corte dei Conti, chiamava in giudizio un dipendente di un ente locale, in ordine ad un ipotesi di danno erariale, scaturita da una segnalazione trasmessa alla Corte dei Conti, relativa ad un procedimento disciplinare inerente il citato dipendente con sospensione cautelare dallo stipendio (ai sensi dell’art. 55, commi 3-bis e 3-ter D.Lgs. n. 165 del 2001); nel caso in esame si trattava di un dipendente della Regione Basilicata con mansioni di autista, assegnato funzionalmente all’Agenzia, chiamato in causa per false attestazioni di presenza in servizio accertate in flagranza e con mezzi di rilevazione della presenza.
In particolare, nella lettera di contestazione si è precisato quanto segue.
a) il dipendente si sottraeva “da tempo” ai suoi compiti di servizio (rifiutandosi di toccare molti oggetti dell’ufficio, sedie, penne, postazioni di lavoro etc.), dimostrando incapacità di attendere ai suoi compiti di servizio e scarsa collaborazione;
b) nel febbraio del 2018, nel corso della riunione indetta per trovare una soluzione al problema si era ritenuto di convocare il diretto interessato, che tuttavia era risultato irreperibile;
c) si contestava al dipendente l’assenza dal lavoro non documentata con la timbratura, nonché la reiterata inosservanza degli obblighi di servizio.
Sulla base di questo esposto, è stato aperto un procedimento per accertamento di danno erariale.
Nel verbale decisorio del 23 marzo 2018, la Commissione disciplinare ha deciso di ricondurre l’illecito disciplinare in esame, non alla fattispecie dell’art. 55-quater, comma 1-bis, D.Lgs. n. 165 del 2001, bensì alla violazione dei doveri di servizio di cui all’art. 3, comma 6, lett. d), g) ed i) del CCNL Regioni-Enti Locali del 11.4.2008 (Codice disciplinare), sanzionandola con la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per 4 mesi (anziché nel massimo di 6 mesi), compreso il periodo di sospensione già disposto con la contestazione di addebito disciplinare.
La Procura inquirente osserva che dai documenti e dalle dichiarazioni, risultano 4 ore di ingiustificata assenza dal luogo di lavoro, di cui 3 ore e 24 minuti senza false attestazioni di presenza in servizio (avendo egli timbrato alle 9,16 l’uscita dalla sede regionale, dove era stato autorizzato a recarsi, ma avendo timbrato il rientro solo alle 12,50) e 25 minuti tramite omessa timbratura del suo allontanamento non autorizzato dalla sede di servizio (asseritamente per una telefonata) dalle 16,50 alle 17,15 ( senza contare i minuti per pausa-pranzo tra le 14,00 e le 14,25, che secondo l’amministrazione, nonostante l’omessa timbratura, dovrebbero essere stati automaticamente decurtati).
Inoltre, dalla lettura del fascicolo delle indagini risulta che la condotta posta in essere dal dipendente predetto ha creato un significativo disservizio per quanto emerge dalle relazioni istruttorie, tenuto conto delle assenze ingiustificate e dei rifiuti di svolgere alcune mansioni che hanno determinato un danno economico.
La tesi difensiva del dipendente, tramite i propri legali, era caratterizzata dalla mancanza di ogni violazione dei doveri di servizio e l’insussistenza di danni erariali in carenza di prova, “soprattutto in riferimento all’attività di autista”, atteso che il dipendente non aveva il dovere di svolgere alcun diverso compito ed era stato autorizzato, non avendo a disposizione un ufficio, a fermarsi presso l’ufficio del centralinista.
L’analisi della Corte dei Conti
Per i giudici contabili la pretesa accusatoria merita di essere accolta, sia pure con il temperamento di una diversa e più contenuta quantificazione dell’importo di danno erariale, così come dedotto dalla pubblica accusa.
Il Collegio osserva che la prospettazione della Procura contabile individua, nella fattispecie dedotta in giudizio, una multiformità di comportamenti antidoverosi del dipendente dell’ente locale, caratterizzati da antigiuridicità e, sotto il profilo psicologico, connotati da dolo e/o colpa grave.
Il comportamento del dipendente è colpevole sia in relazione alla violazione delle disposizioni in materia di responsabilità per danno erariale, ma anche in relazione a norme speciali che impongono precisi doveri ai dipendenti pubblici, finalizzati allo scopo di evitare di determinare danni patrimoniali e non patrimoniali a carico dell’amministrazione di appartenenza.
A tale riguardo, la Procura ha contestato in primo luogo un danno diretto per aver il convenuto percepito, anche per ore in cui si trovava fuori dalla sede di servizio, una indebita controprestazione retributiva, pari ad euro 100,25.
In secondo luogo, la Procura ha ritenuto configurabile altresì un danno da disservizio per la condotta tenuta dal dipendente che, in carenza della dovuta diligenza nello svolgimento del suo servizio, non ha svolto nei tempi e nei modi dovuti la sua prestazione lavorativa, con un conseguente nocumento erariale pari ad € 3.914,00, per quanto riguarda i soggetti che hanno curato il procedimento disciplinare (erogazione che risulta priva di alcuna utilità per l’amministrazione), mentre per gli altri dipendenti, (distolti dai loro compiti e dunque con una diminuita quantità e qualità della loro prestazione lavorativa), attesa la difficoltà di una specifica quantificazione di tale danno, esso può equitativamente liquidarsi in misura pari a quella contestata a titolo di danno patrimoniale, ovvero ad € 100,25.
In terzo luogo, pur in assenza di un’eco mediatica della vicenda, sarebbe riconducibile al convenuto, altresì, un danno all’immagine ai sensi del comma 3-quater dell’art. 55-quaterD.Lgs. n. 165 del 2001 (nel testo vigente all’epoca dei fatti), essendo rinvenibile un’ipotesi di falsa attestazione di presenza in servizio.
Relativamente a quest’ultimo punto il danno non risulta dovuto in quanto non è applicabile in quanto la condotto del dipendente non è stata considerata dalla stessa amministrazione come effettuata in modo fraudolento.
Il collegio rileva, innanzitutto e in via preliminare, che deve osservarsi che la presente imputazione di danno erariale si articola essenzialmente alla luce del procedimento disciplinare, la cui procedimentalizzazione, (oltre che rispondere ad un’esigenza di garanzia per la parte inquisita), consente di acquisire in modo compiuto il corredo probatorio a sostegno dei provvedimenti disciplinari irrogati ed in ogni caso, pur essendo intangibile l’autonomia dei giudizi (disciplinare e contabile), non v’è dubbio che in carenza di una diversa e autonoma allegazione probatoria da parte del Procuratore, in sede di giudizio contabile, si configurano come adeguatamente accertate le conclusioni cui è pervenuto il procedimento disciplinare.
Esse, peraltro, sono confermate dalla stessa dichiarazione, avente valore confessorio, del dipendente che, nel corso del procedimento disciplinare acquisito agli atti del presente giudizio, ha testualmente affermato:”Ammetto comunque di aver sbagliato senza aver previamente timbrata l’uscita. Chiedo pertanto che non venga applicata la grave sanzione minacciata, anche considerato la breve durata dell’allontanamento” .
Pertanto i giudici contabili, oltre che inferire la fondatezza degli addebiti può, come detto, in carenza di prova contraria, ritenere del tutto fondata la ricostruzione della vicenda di cui trattasi, avvenuta nell’ambito del predetto procedimento disciplinare e confermata dallo stesso interessato.
A tale specifico riguardo va peraltro e altresì sottolineato che il verbale decisorio della commissione di disciplina, del 23/5/2018 testualmente ha affermato che: “Le testimonianze raccolte danno conto che effettivamente il (…) era stato autorizzato a trattenersi anche nella stanza del centralinista nelle ore in cui era disposizione in quanto non impegnato nella guida e che l’assenza effettiva dalla struttura in cui ha sede l’Ente non concordante con le risultanze del cartellino, si colloca nel periodo dalle 14:00 alle 14:30 e dalle 16:50 circa alle 17:13”.
La commissione di disciplina ha altresì precisato che nello spazio temporale tra le 14.00 le 14:30: “l’Ente non ha subito danno economico, poiché i 30 minuti della pausa pranzo sono stati automaticamente decurtati dal conto orario giornaliero”.
La commissione ha altresì valutato: “che l’accertata discordanza tra le risultanze del cartellino e l’effettiva presenza nel luogo di lavoro, è contenuta in un arco temporale ridotto, sostanzialmente equivalente a 23 minuti compresi tra le 16.50 e le 17.13 dedicati, per quanto dichiarato, alla telefonata personale compiuta fuori dalla linea che delimita la sede di lavoro e quindi appena all’esterno di essa”; inoltre: “Le modalità di svolgimento della giornata lavorativa del dipendente, le dichiarazioni rese ed i riscontri testimoniali, conducono a ritenere non provata una preordinata volontà del lavoratore alla fraudolenta alterazione dei dati relativi alla sua presenza in servizio che costituisce l’oggetto della contestazione, risultando il comportamento agito più propriamente addebitabile ad una particolare noncuranza e riluttanza del dipendente ad uniformarsi alle regole contrattuali ed organizzative apparendo plausibile, secondo la cronologia degli eventi, che si sia solo spostato dal cortile appena al di fuori della linea di confine dell’area ove ha sede l’Ente per effettuare una telefonata”.
Pertanto, la Corte di Conti, alla luce delle valutazioni della Commissione di disciplina, atteso che l’assenza dal servizio in ordine alle 4 ore del mattino non risulta confermata sul piano probatorio per le ragioni sopra indicate, bensì appare frutto della disattenzione dell’interessato nel timbrare in entrata il cartellino, dopo essersi recato alle votazioni sindacali, comportamento sicuramente in violazione degli obblighi di servizio, ma non fonte del danno diretto, in quanto quest’ultimo è etiologicamente collegabile ad una retribuzione percepita in effettiva assenza dal servizio; del pari, tenuto conto che la mancata timbratura tra le 14 e le 14,30 non ha prodotto alcun danno, essendo avvenuta la decurtazione dallo stipendio della somma corrispondente, la stessa non assurge a responsabilità risarcitoria.
Diversamente la residuale ipotesi sopra evidenziata, pari a 23 minuti di assenza dal servizio, oltre che risultare conclamata, pur essendo stata di breve durata, configura una ipotesi di inadempimento contrattuale, sia pure di natura non fraudolenta, che ha cagionato un nocumento di lieve entità e tuttavia suscettibile di essere commisurato in termini risarcitori per una somma pari ad € 9,50, così calcolata in misura del trattamento economico del dipendente.
Il danno di disservizio
La Corte dei Conti osserva che nell’accezione del danno da disservizio, atteso che è oggettivamente accertato sia il costo disutile per l’amministrazione, pari ad € 3.914, (riveniente dalla costituzione della commissione di disciplina) nonché per la somma di € 100,25, deve altresì osservarsi quanto segue.
In punto di vaglio dell’elemento psicologico, la condotta del dipendente in ordine al rispetto sia delle regole comportamentali che ne presidiano l’azione e sia sotto il versante della diligente ed efficace manifestazione della stessa (sotto il profilo di una esaustiva performance qualitativa), appare supportata da una chiara e dolosa consapevolezza del perseguimento di un fine palesemente contraddittorio rispetto ai doveri primari dell’impiegato pubblico.
A tale ultimo riguardo, va altresì sottolineato che il danno da disservizio scaturisce dal mancato esplicitarsi della prestazione di servizi, circostanza questa che comporta, ad un tempo, l’interruzione del rapporto sinallagmatico tra attività lavorativa e corresponsione stipendiali, nonché una responsabilità di risultato da intendersi come non raggiungimento del fine pubblico rinvenibile nella prestazione lavorativa, a fronte di una mancata utilità e dunque di un maggior costo sostenuto (compenso stipendiale corrisposto), del tutto ingiustificato e disutile.
E’ evidente nel caso di specie che la funzionalità e/o la qualità del servizio sia risultata compromessa in conseguenza della condotta illecita del dipendente, caratterizzata da comportamenti ostruzionistici e disattenzione verso i propri obblighi di servizio, che ha reso necessario distogliere altri dipendenti dai propri compiti, sia per lo svolgimento del procedimento disciplinare, sia per effettuare i lavori che il dipendente non svolgeva adeguatamente, così cagionando un decremento della produttività funzionale dell’Amministrazione.
In conclusione, in ordine alla quantificazione complessiva del danno la Corte dei Conti quantifica il danno pari alla somma di € 3.914,00 corrispondente a quanto erogato per i lavori della Commissione di disciplina di che trattasi, e la somma di € 100,25, corrispondente alla valutazione equitativa dell’attività di altri dipendenti distolti dai propri compiti, per sopperire alle inadempienze del dipendente pubblico.

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