03/10/2016 – Per il passaggio a governi autoritari non sempre occorrono riforme esplicite

Per il passaggio a governi autoritari non sempre occorrono riforme esplicite

 

Molti di noi sono abituati a considerare che il passaggio da una forma ad un’altra di governo, in particolare da una più tollerante e caratterizzata da poteri in equilibrio tra loro, ad una più dispotica nelle mani di un solo uomo, sia necessariamente frutto di un trauma.

La storia insegna che non va sempre così. La famosa tirannia di Pisistrato, ad esempio, non ebbe come retroscena un traumatico colpo di stato, ma fu il frutto dell’idea di concentrare il potere diffuso tra più organi dell’Antica Atene in un unico magistrato.

Il “dictator” a Roma era una figura straordinaria, alla quale si ricorreva durante la Repubblica sospendendo il governo dei due consoli ed affidando ad un solo soggetto la conduzione di particolari battaglie.

Hitler è andato al potere a seguito di elezioni e anche Mussolini fu nominato dal Re, senza colpo di stato, anche se le squadre fasciste avevano creato un clima di tensione: la marcia su Roma fu solo una scenografia per condire l’incarico di presidente del consiglio che il Re avrebbe firmato da lì a poco, col Parlamento sostanzialmente consenziente.

Ma, l’esempio più chiaro di svolta autoritaria senza in apparenza cambiare le istituzioni si ebbe a Roma, con Ottaviano Augusto.

La storia fa risalire a Ottaviano la costituzione dell’Impero, al posto della Repubblica.

Nella realtà, la magistratura o l’istituzione di “imperatore” a Roma non era nemmeno conosciuta. L’imperium era l’oggetto del potere, non l’identificazione di un sistema costituzionale di potere. Semmai, a Roma si parlava di “principato”; un modo elegante per non menzionare più l’odiata monarchia e definire un potere nuovo e diverso concentrato in un solo uomo.

Ottaviano non modificò le istituzioni: rimasero tutte le magistrature esistenti all’epoca repubblicana e mantenne anche il Senato. Tuttavia, modificò l’assetto dei poteri, eliminando il contrappeso del governo dei due consoli e concentrando su di sè la funzione di tribuno della plebe.

Insomma, la nuova figura del princeps era una magistratura che conteneva i poteri di console, capo dell’esercito e tribuno della plebe, oltre a definire e dirigere i lavori del Senato.

Nessuno stravolgimento esplicito delle istituzioni. Eppure, pochissimi anni dopo il passaggio dalla Repubblica al Principato, la verticalizzazione del potere in un solo uomo consentì l’acquisizione di poteri devianti come quelli di Caligola, Nerone, Commodo e, più in là, la crisi irrimediabile del Senato e delle altre magistrature, fino a trasformare l’impero in una vera e propria monarchia dispotica di tipo orientale.

La storia dovrebbe servire da lezione. La riforma della Costituzione (qui un commento) maldestramente elaborata pare “modernizzare” il Paese (non si capisce per quali caratteristiche un bicameralismo confusionario come quello introdotto possa essere “moderno”, ma lasciamo stare). In realtà compie un passo verso la verticalizzazione e concentrazione dei poteri sul Governo, sostanzialmente annullando l’indipendenza del potere legislativo. Aprendo, così, la strada, laddove dovessero assumere il potere persone e forze meno sensibili all’equilibrio dei poteri democratico, che, senza dover adottare alcun atto di forza, potrebbero utilizzare l’incauta riforma per passare dalla democrazia ad un paternalismo populista alla Peròn, se andrà bene.

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