tratto da personaedanno.it

Si brucia con le braci abbandonate sulla spiaggia. Il Comune risponde non ex art. 2051 c.c., ma 2043 c.c.

Una persona passeggia sulla spiaggia durante le prime ore del mattino; decide di sedersi e rimane ustionato dal braci che erano ancora ardenti, nascoste dalla sabbia, come residuo di un falò acceso acceso la sera precedente da alcune persone.
Chiede il risarcimento del danno al Comune e questi nega la propria responsabilità, sostenendo che la spiaggia non è di sua proprietà ma appartiene al demanio; dunque non è custode della stessa, pertanto non può essere ad esso Comune contestato alcunché circa il fatto che alcuni avventori, la sera prima, per spegnere il falò, avessero coperto le braci con la sabbia. Non vi è un obbligo in tal senso, derivante da un provvedimento amministrativo regionale che attribuisse al Comune il dovere di bonificare la spiaggia, e dunque scovare eventuali falò sotterrati. L’unica sua incombenza è quella di mera raccolta dei rifiuti, e ciò non significa intervenire sul manto sabbioso per trovare braci nascoste. Infine, sostiene sempre il Comune, il fatto che le braci fossero sotterrate, e quindi nascoste, lo rende fortuito, impossibile da evitare.
La Corte di legittimità non accoglie le doglianze e conferma la responsabilità del Comune, non già a titolo di omessa custodia (art. 2051 c.c.), ma a titolo di violazione del divieto di altrui lesione (art. 2043 c.c.).
La motivazione s’impernia su una distinzione a monte che si rivela decisiva: qui non vi è in discussione la violazione di un determinato dovere giuridico (l’unico obbligo era quello di mera rimozione dei rifiuti abbandonati). Al Comune non deve contestarsi alcuna violazione di obblighi giuridici, bensì una condotta attiva a tutti gli effetti.
Deve distinguersi la “omissione in senso stretto” dalla “omissione nell’azione”.
L’omissione in senso stretto consiste nel mancato adempimento di un dovere giuridico espressamente attribuito; il naturale riferimento è al principio di equivalenza che vige nel diritto penale (art. 40, cpv., c.p.), tramite il quale trovano pari considerazione le condotte attive ed omissive soprattutto nei reati casualmente orientati – laddove l’evento può essere cagionato tanto con una azione, quanto con il non fare nulla.
L’omissione nell’azione, invece, consiste nel frangente omissivo che è proprio di qualunque condotta colposa, laddove taluno tiene una determinata condotta e, pur involontariamente, cagiona un danno per “avere omesso” di rispettare una determinata norma cautelare. Si osserva che ciò non basta per qualificare la condotta tenuta come “omissiva”, anche se, a ben vedere, qualcosa “non è stato fatto” – è stato omesso, appunto – in modo appropriato, tanto da ritenere che, se si fosse agito diversamente – quindi rispettando la norma cautelare – l’evento non si sarebbe verificato.
La fattispecie in questione viene inquadrata in questo secondo paradigma. Non di discute di una omissione in senso proprio (o “in senso stretto”), ma di una condotta attiva, anche se connotata da un profilo omissivo, consistente nel mancato rispetto della norma cautelare (la c.d. omissione nell’azione).
La norma cautelare in capo al Comune è stata individuata nella adeguata pulizia dell’arenile, che non è stata eseguita in modo puntuale. Se così fosse stato, l’addetto-persona fisica incaricato del compito si sarebbe accorto che in quel punto era stato appiccato un falò; cosa ancora più prevedibile, considerato che il fatto è avvenuto durante la bella stagione, ove molti avventori della spiaggia accendono fuochi la notte.
“Si tratta allora della violazione di una cautela specifica, che non può dirsi, come ritiene il ricorrente [il Comune, n.d.r.] inesigibile o rispetto alla quale il danno è dovuto al fortuito, in quanto la rimozione dei rifiuti non è stata adeguata, e non può ovviamente considerarsi imprevedibile la presenza di braci, anche se nascoste sotto sabbia, in un periodo in cui gli utenti dell’arenile sono soliti fare falò notturni. Invero la presenza delle braci è conseguenza del mancato rispetto della regola cautelare di pulire l’arenile, e perciò stesso non può considerarsi fatto imprevedibile ed inevitabile, posto che, pulendo adeguatamente, si sarebbe evitato il danno.”
 
Di seguito, la massima:
In tema di responsabilità civile, la condotta attiva colposa, caratterizzata dall’omesso rispetto di regole cautelari proprie (cd. “omissione nell’azione”), va distinta dalla condotta omissiva propria (omissione in senso stretto), in quanto, mentre quest’ultima postula, ai fini del risarcimento del danno ad essa conseguente, la violazione di uno specifico obbligo di agire per impedire la lesione di un diritto altrui, la prima presuppone semplicemente il mancato rispetto di regole di prudenza, perizia o diligenza volte a prevenire il danno medesimo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva condannato un Comune al risarcimento dei danni subìti da un privato in conseguenza delle ustioni riportate dopo essersi seduto su un tratto di spiaggia in cui erano state nascoste le braci ardenti residuate da un falò acceso da ignoti, sul rilievo che tali danni erano stati causati, non già da un’omissione in senso proprio, bensì da una condotta attiva caratterizzata dall’omesso rispetto, da parte della P.A., della regola cautelare che le imponeva di ripulire l’arenile dai rifiuti).

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