Di conseguenza, l’interpretazione che si vuole fornire riveste carattere di orientamento sui profili gestionali che sono di competenza dell’ente locale, sul presupposto fondamentale del rispetto dell’autonomia amministrativa e gestionale dello stesso ente locale nell’ambito dell’autorità discrezionale inerente le funzioni proprie.
Da una lettura coordinata dell’articolo 241 TUEL e del citato DM 21 dicembre 2018 discendono due considerazioni: la prima, che la struttura del compenso è tipizzata dal legislatore, nel senso che esiste un compenso base suscettibile di incrementi ai sensi delle disposizioni contenute nell’articolo 241 commi 2 e 3, la seconda è che la quantificazione del compenso è parametrata a più criteri oggettivi e cioè la fascia demografica e le spese di funzionamento e di investimento.
Ciò detto, restano impregiudicati i presupposti giuridici previsti dall’articolo 241 del TUEL riguardanti l’an ed il quantum dell’aggiornamento, in altri termini la discrezionalità dell’azione amministrativa di competenza dell’ente locale.
Pertanto, si ritiene che l’aggiornamento non è un obbligo, ma una facoltà dell’amministrazione che può autodeterminarsi nei limiti delle risorse finanziarie del bilancio.
In tal senso, l’aggiornamento avrà carattere di adeguamento nei termini di legge, per la parte relativa alle variazioni percentuali del tasso d’inflazione secondo gli indici Istat, dall’anno 2005 all’anno 2018, restando indefettibile la scelta dell’ente locale sull’an e sul quantum della variazione, sia quella menzionata dell’inflazione del 20,3 per cento, sia quella collegata ai criteri previsti all’articolo 1 del D.M. 21 dicembre 2018 e dell’ulteriore incremento del 30 per cento per gli enti con popolazione superiore a 5.000 abitanti.
Si tratta, infatti, di limiti massimi, quindi, la misura dell’aggiornamento dipende in primis dalle risorse finanziarie stanziabili nel bilancio dell’ente, oltreché dai criteri sopra accennati.
La valutazione del significato letterale e sostanziale delle citate disposizioni, conduce a ritenere la natura convenzionale del rapporto che si instaura tra il revisore e l’ente, mediante l’affidamento dell’incarico al momento della nomina.
Analogamente, a quanto previsto nel precedente decreto ministeriale, l’articolo 1 comma 3 del D.M. 21 dicembre 2018, prevede che “l’eventuale adeguamento del compenso deliberato dal Consiglio dell’ente in relazione ai nuovi limiti massimi fissati dal presente decreto non ha effetto retroattivo”, tale formulazione lascia intendere la facoltatività dell’adeguamento e l’irretroattività degli effetti sui rapporti in essere.
A suffragio della natura negoziale del rapporto, si è espressa la magistratura contabile, in varie pronunce della Sezione Autonomie, al fine di evitare che il rapporto in corso possa subire variazioni incrementali con maggiori oneri per la pubblica amministrazione, la norma del Testo unico di cui al comma 7 citato, letta unitamente al comma 1 dell’articolo 234, incardina in un unico contesto, la competenza dell’organo consiliare dell’ente e il momento della nomina, momento in cui le parti predeterminano il compenso e i rimborsi, definendo i limiti dell’autonomia negoziale e la natura negoziale del rapporto (Corte dei Conti Sezione Autonomie n.16 del 2017 e n.11 del 2016, Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna deliberazione n.5 del 2019 par.).
Ulteriore criterio ermeneutico che avvalora i connotati civilistici del rapporto si rinviene all’articolo 3, comma 2, dello stesso decreto, laddove si esplica che “Le modalità di calcolo dei rimborsi se non determinate dal regolamento di contabilità sono fissate nella deliberazione di nomina o in apposita convenzione regolante lo svolgimento delle attività dell’organo di revisione”.
Di conseguenza, per i nuovi incarichi affidati dalla data del 1° gennaio 2019, l’aggiornamento del compenso fa riferimento ai nuovi limiti massimi che, come detto, sono suscettibili di applicazioni differenziate sulla base delle determinazioni finanziarie e convenzionali delle parti che si manifestano nella delibera di nomina quale momento fondamentale di espressione dell’autonomia amministrativa e negoziale con la quale si compongono gli interessi sottostanti.
Di converso, per gli incarichi già in essere costituisce presupposto ostativo la “norma di sbarramento” sopra menzionata che fissa quale momento regolatore per il compenso del revisore la delibera di nomina; nondimeno, considerando la descritta natura del rapporto, la valutazione compiuta, al momento della nomina dell’impianto motivazionale della delibera consiliare potrà supportare le diverse determinazioni del caso concreto.
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