Appalti: accelerano i comuni. E, infatti, per tutta risposta, il Legislatore ne vuol limitare l’autonomia
nel primo bimestre dell’anno, a fronte di una crescita generalizzata del mercato degli appalti dell’ordine del 15% rispetto al 2015, per i comuni l’aumento degli importi messi in gara è stato dell’85%, passando da 704 a 1.308 milioni. In altre parole, la crescita del mercato – che in termini assoluti passa da 2.405 a 2.76imilioni,con unaumento di 356 milioni – è data tutta dall’accelerazione comunale che assorbe anche il calo delle altre stazioni appaltanti“.
Perfetto, si direbbe. Peccato che da anni, ormai, l’ideona di Cottarelli di ridurre il numero delle stazioni appaltanti sia stata attuata con diverse misure normative il cui risultato è penalizzare proprio i comuni, ai quali sono stati imposti una serie di vincoli molto forti appunto per gestire gli appalti.
Il nuovo codice dei contratti, invece di fare chiarezza e ordine ed eliminare la confusione estrema creata da questa ridda incontrollata di norme, introduce la “qualificazione” delle stazioni appaltanti, affidandola all’Anac. Un’autorità, dunque, giudicherà se enti dotati di autonomia costituzionalmente garantita possano svolgere i compiti affidati loro dalla legge e dalla Costituzione. Sarà una buona regola di efficienza e di mercato, ma con le regole del liberalismo e dell’autonomia pare avere proprio pochissimo a che fare. Per altro, lo schema di codice prevede che, ad esempio, il Ministero delle infrastrutture sia considerato di per sè come stazione appaltante qualificata. Come se il Ministero fosse stato immune da appalti inefficienti, lentissimi, oppure da corruzione e cricche.
D’altra parte, quando si legifera e si organizza senza avere presente cause ed effetti, ma seguendo l’onda del populismo o di idee astratte (e smentite dai fatti), l’incoerenza è il minimo degli effetti collaterali dannosi.
Nessun tag inserito.