Si scrive valutazione dei dirigenti, si legge spoils system
La selezione dei dirigenti pubblici basata sui curricula promossa dalla riforma Madia difficilmente funzionerà. Tra le falle, gli astratti criteri di selezione e la struttura delle commissioni, troppo piccole e politicizzate. Non è che questa procedura è un velo per mascherare sistemi di cooptazione?
La procedura comparativa sui curricula dei dirigenti pubblici, finalizzata all’assegnazione degli incarichi, appare uno tra i punti maggiormente a rischio di flop del decreto legislativo attuativo della riforma della dirigenza, imposta dal ministro Madia. Il meccanismo descritto nel testo del decreto legislativo presenta infatti troppe falle per poter immaginare che funzioni davvero.
Una commissione troppo politicizzata
Il primo problema consiste nella composizione delle commissioni nazionali competenti per ciascuno dei ruoli dirigenziali (ruolo statale, regionale e degli enti locali) che cureranno le procedure comparative. La legge delega prevede che i componenti delle commissioni siano selezionati con modalità tali da assicurarne l’indipendenza. Lo schema di decreto legislativo, invece, indica sette componenti, tutti di matrice governativa. La composizione qualitativa delle commissioni è tale da confermare l’impronta di forte politicizzazione della dirigenza in contrasto con l’articolo 98 della Costituzione, secondo il quale i dipendenti pubblici debbono sì operare per attuare gli indirizzi politici, ma sono al servizio non della maggioranza, bensì della nazione.
Sette membri non bastano
Si pongono inoltre evidenti problemi anche sul piano quantitativo. Sette componenti appaiono davvero pochi, considerando che il compito demandato loro è di curare le procedure comparative per circa 36 mila dirigenti e, dunque, per altrettanti incarichi.
Poiché la riforma impone che ogni quattro anni gli incarichi dirigenziali scadano (salvo proroghe eccezionali per altri due anni), le commissioni saranno a regime investite da centinaia, se non migliaia di procedure comparative da svolgere annualmente, alle quali è verosimile parteciperanno decine se non centinaia di candidati per volta.
Che sette persone possano sostenere un impatto operativo simile appare impensabile. Soprattutto considerando che la maggior parte dei componenti delle commissioni avrà ulteriori e pesanti incombenze. Il presidente dell’Anac, il Ragioniere generale dello stato e il presidente della Conferenza dei rettori sono componenti di tutte e tre le commissioni; il segretario generale del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e il capo dipartimento per gli affari interni e territoriali del ministero dell’Interno sono componenti di due commissioni su tre. Ad esempio il presidente dell’Anac, come è noto, è ormai chiamato ad operare su tantissimi fronti: c’è da chiedersi quando e come riuscirà a trovare il tempo di dedicarsi alla comparazione dei curriculum per centinaia di procedure di incarico di dirigenti.
Una selezione basata su criteri astratti
Compito che, peraltro, di per sé non sarà affatto semplice. Lo schema di decreto, infatti, reitera le gravi carenze di ogni riforma “epocale” della pubblica amministrazione enunciata come finalizzata a valorizzare il merito attraverso la valutazione, limitandosi ad evidenziare criteri generici ed astratti per pesare i curriculum. Si specifica che le commissioni dettaglieranno i criteri in relazione alla “natura, ai compiti e alla complessità della struttura interessata, la valutazione delle attitudini e delle capacità professionali del dirigente, nonché dei risultati conseguiti nei precedenti incarichi e delle relative valutazioni, delle specifiche competenze organizzative possedute, dell’essere risultato vincitore di concorsi pubblici, delle esperienze di direzione eventualmente maturate all’estero, presso il settore privato o presso altre amministrazioni pubbliche, purché attinenti al conferimento dell’incarico”. Una melassa di criteri astratti ed eterogenei tra loro non comparabili. Si pensi ad esempio ai “risultati conseguiti”. Ognuna delle circa 20 mila amministrazioni utilizza un proprio sistema più o meno evoluto e credibile. L’antenata dell’Anac, la Civit, istituita dalla riforma Brunetta (“epocale” anch’essa) non riuscì mai a creare un sistema univoco di valutazione e l’Anac ha da tempo demandato questa scomoda incombenza al dipartimento della Funzione pubblica.
In assenza di strumenti operativi, come faranno sette componenti, oberati da moltissime altre funzioni, a comparare i curriculum nelle procedure d’incarico?
Selezione o cooptazione?
La sensazione che il ruolo delle commissioni e che le stesse procedure siano solo un vestito per far apparire selettivi sistemi di cooptazione dei dirigenti è molto forte. Sembra che il tutto sia pensato appositamente per rendere la procedura comparativa solo un velo: una fase obbligatoria nella quale poche persone, in modo distratto e incompleto, dovranno selezionare alcuni curriculum, per poi dare l’elenco agli organi politici che avranno libero arbitrio di scegliervi chi credono.
La procedura comparativa e l’attività delle commissioni non sembrano certamente il sistema di valutazione del merito che sarebbe auspicabile. Piuttosto, data la loro composizione e considerata la poca influenza sulla scelta finale, ricordano una sorta di stanza di compensazione, nell’ambito della quale trattare per far sì che il curriculum di quel dirigente considerato “di fiducia” da parte dell’organo politico competente alla nomina entri a far parte della rosa.
Un bel vestito per mascherare, senza neanche troppo impegno, uno spoils system esasperato.
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