La clausola sociale non comporta l’obbligo di attribuire ai lavoratori assorbiti esattamente le stesse mansioni e qualifiche che avevano alle dipendenze del precedente datore di lavoro, in quanto l’istituto del cd cambio di appalto richiede un bilanciamento fra i valori, di rango costituzionale, concernenti la libertà di iniziativa economica privata, e il diritto al lavoro, e di conseguenza “il mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto va contemperato con la libertà d’impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell’appalto” (cfr. Cons. Stato, VI, 21 luglio 2020, n. 4665; 24 luglio 2019, n. 5243; V, 12 febbraio 2020, n. 1066,; Cons. Stato, V, 17 gennaio 2018 n. 272; Cons. Stato, III 5 maggio 2017, n. 2078; Cons. Stato, V 7 giugno 2016, n. 2433; Cons. Stato, III, 30 marzo 2016, n. 1255, Cons. Stato, Comm. spec., parere 21 novembre 2018, n. 2703).
Ciò comporta che la clausola sociale deve essere applicata in modo da garantire “la necessaria armonizzazione con l’organizzazione dell’operatore economico subentrante e con le esigenze tecnico-organizzative e di manodopera previste nel nuovo contratto” (Consiglio di Stato, III, 30 gennaio 2019, n. 750).
Il che vale a escludere che dalla clausola sociale possa derivare un obbligo “per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata, nonché alle medesime condizioni, il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria, ma solo che l’imprenditore subentrante salvaguardi i livelli retributivi dei lavoratori riassorbiti in modo adeguato e congruo”; di guisa che “l’obbligo di garantire ai lavoratori già impiegati le medesime condizioni contrattuali ed economiche non è assoluto né automatico” (Cons. Stato, n. 6148 del 2019, Cons. Stato, 16 gennaio 2020, n. 389, Cons. Stato 13 luglio 2020, n. 4515).
Tale configurazione dell’istituto del cambio di appalto non costituisce una forma di prevalenza delle ragioni dell’impresa rispetto a quelle dei lavoratori, ma piuttosto una forma di tutela dell’interesse pubblico concernente l’affidamento degli appalti e l’effettività dell’assorbimento del personale precedentemente impegnato nello svolgimento delle attività oggetto dell’affidamento.
La configurazione di un obbligo assoluto di assunzione dei dipendenti del precedente appaltatore e di mantenere i livelli di anzianità costituirebbe, infatti, una indebita invasione nell’autonomia organizzativa dell’impresa, garantita dall’art. 41 Cost, ma anche dall’art. 16 della Carta di Nizza, che scoraggerebbe la partecipazione alle gare pubbliche, altererebbe notevolmente la convenienza economica dell’appalto, renderebbe più complesse le valutazioni in merito alla congruità delle offerte, e renderebbe difficile l’applicazione dell’assorbimento, costringendo i concorrenti a impegnativi processi di ristrutturazione aziendale.
Per scongiurare tali inopportuni effetti la clausola sociale va formulata e intesa “in maniera elastica e non rigida, rimettendo all’operatore economico concorrente finanche la valutazione in merito all’assorbimento dei lavoratori impiegati dal precedente aggiudicatario”( Cons. Stato, V, 12 settembre 2019, n. 6148, Cons. Stato, sez. V, 10 giugno 2019, n. 3885; III, 30 gennaio 2019, n. 750; III, 29 gennaio 2019, n. 726; 7 gennaio 2019, n. 142; III, 18 settembre 2018, n. 5444; V, 5 febbraio 2018, n. 731).
In questa prospettiva lo strumento per garantire l’effettiva applicazione della clausola sociale e prevenirne forme di aggiramento ed elusione da parte degli aggiudicatari degli appalti pubblici non è costituito dall’imposizione di un rigido e generalizzato obbligo di assorbimento, ma piuttosto dalla strutturazione di un sistema che garantisca la concreta volontà del concorrente di utilizzare il personale precedentemente impiegato nell’appalto e ne consenta la valutazione da parte della stazione appaltante.
Al riguardo è stata posta in risalto l’opportunità di prevedere un “vero e proprio ‘piano di compatibilità’ o ‘progetto di assorbimento’, nel senso che [l’offerta] debba illustrare in qual modo concretamente l’offerente, ove aggiudicatario, intenda rispettare la clausola sociale”; il che confluirebbe nella formulazione di “una vera e propria proposta contrattuale […] che contenga gli elementi essenziali del nuovo rapporto in termini di trattamento economico e inquadramento, unitamente all’indicazione di un termine per l’accettazione”, con conseguente possibilità per il lavoratore di “previa individuazione degli elementi essenziali del contratto di lavoro” (Cons. Stato, parere n. 2703 del 2018, sulle Linee guida Anac n. 13, approvate con delibera n. 114 del 13 febbraio 2019, relative all’applicazione dell’art. 50 d.lgs. n. 50 del 2016).
Allo stesso modo la stazione appaltante potrebbe valutare se “inserire tra i criteri di valutazione dell’offerta quello relativo alla valutazione del piano di compatibilità, assegnando tendenzialmente un punteggio maggiore, per tale profilo, all’offerta che maggiormente realizzi i fini cui la clausola tende”.
In tal modo l’amministrazione aggiudicatrice sarebbe in grado di valutare la congruità e la sostenibilità economica delle offerte e di scegliere quella che garantisce la migliore esecuzione delle attività oggetto di affidamento e la proposta più adeguata di assorbimento del personale già impegnato in quelle attività.
Sulla base di tali argomentazioni il Consiglio di Stato, con la sentenza 6761/2020, ha stabilito che è rimessa al concorrente la scelta sulle concrete modalità di attuazione della clausola sociale, incluso l’inquadramento da attribuire al lavoratore, e che spetta allo stesso operatore formulare eventuale “proposta contrattuale” al riguardo, anche attraverso il cd. “progetto di assorbimento” (cfr., in proposito, Cons. Stato, V, 1 settembre 2020, n. 5338); di conseguenza, deve escludersi l’obbligo a carico dell’aggiudicatario di mantenere l’inquadramento e l’anzianità del lavoratore assorbito.
Al riguardo la sentenza rileva che tale bilanciamento tra fondamentali valori costituzionali può essere alterato per valorizzare le esigenze di tutela dei lavoratori esclusivamente nel caso in cui specifiche disposizioni di legge prevedano espressamente il mantenimento delle condizioni economiche e contrattuali già in essere in capo ai lavoratori (Cons. Stato, V, 10 giugno 2019, n. 3885).
Sotto altro profilo il Collegio rileva che “il diverso inquadramento attribuito ai lavoratori assorbiti non può valere di per sé quale ragione d’anomalia sul costo della manodopera e relativa imposizione Irap, proprio perché, non potendosi rinvenire un obbligo generalizzato di mantenimento degli scatti d’anzianità già posseduti dal personale, il profilo dei relativi costi deve ritenersi meramente “ipotetico e inattuale, in quanto legato ad eventuali vertenze proposte dai dipendenti e alle relative (non certe) vicende ed esiti”, e di conseguenza “non può ravvisarsi alcun profilo di inadeguatezza dell’offerta in relazione al costo del personale contestando la mancata copertura di tutti i suddetti scatti e del corrispondente prelievo Irap”
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