tratto da luigioliveri.blogspot.it

Si scrive Madia, si legge Brunetta

 
 
I giornali di domenica 29 gennaio 2016 danno notizie fatte filtrare da Palazzo Vidoni, tese ad anticipare i contenuti principali della riforma del pubblico impiego, in attuazione della delega contenuta nell’articolo 17 della legge 124/2015.

Non essendo ancora disponibile il testo e poichè una parte non irrilevante della riforma sarà definita dal contratto collettivo, che proprio dalla riforma riacquisirà molte delle funzioni normative sottratte dal d.lgs 150/2009, non è ovviamente possibile farsi un’idea dettagliata.
Tuttavia, l’impressione è che per l’ennesima volta la riforma (l’ennesima) della pubblica amministrazione si traduca in un maxi-spot governativo per bar dello sport, senza alcuna possibilità di incidere davvero sulla funzionalità della pubblica amministrazione.
Non la pensa così, ovviamente, il giornale che in questi tre anni ha fatto puntualmente da cassa di risonanza delle veline governative, Il Messaggero, che nell’articolo “Statali, stretta sui furbetti del week end” esordisce “Una nuova svolta nel pubblico impiego”. Per una volta, non hanno scritto che si tratta di una riforma “epocale”, ma siamo sempre al tono enfatico, osannante, da propaganda pura, come regolarmente fatto negli ultimi 25 anni di continue “svolte” e “riforme epocali”, che, come si vede facilmente, se non hanno affatto migliorato produttività e funzionalità, hanno molte volte sortito gli effetti diametralmente opposti.
Perchè, contrariamente alla piaggeria e all’enfasi di tanta stampa generalista, possiamo parlare di ennesima riforma inutile e deludente? Perchè, a ben guardare, si rimane sempre e solo all’interno della direttrice stilata da Brunetta e, prima di lui, da Ichino: l’idea che la riforma del lavoro pubblico debba essere esclusivamente una lotta ai “furbetti”.
Non che non vi sia il reale e inaccettabile problema di chi non timbra o dell’assenteismo.
Tuttavia, il centro della questione è sempre quello: la “stretta”, la “lotta ai furbi”, la ricerca della “responsabilità”, la maggiore “libertà di licenziare”.
Giustissimo colpire senza pietà chi truffa, fingendo di essere presente in servizio, mentre fa dell’altro, o chi finge malattie inesistenti.
Ma, una “svolta epocale” nel lavoro pubblico sarebbe tutta un’altra: una modifica completa dei parametri dell’organizzazione del lavoro. Citiamo, a questo proposito, un passaggio dell’intervista rilasciata, sempre domenica 29 gennaio 2017, al Quotidiano Nazionale, da Francesco Verbaro, ex direttore generale di Palazzo Vidoni, oggi docente della Scuola Nazionale di Amministrazione e presidente di Formatemp: “Non conta solo assicurarsi che il lavoratore non esca dopo la timbratura di entrata e che venga al lavoro, ma che tra una timbratura ed un’altra sia utile alla collettività che lo paga”.
Il Ministro della pubblica amministrazione, Marianna Madia, al contrario, sembra attratta irresistibilmente ancora, invece, dal paradigma dei “fannulloni”. Per altro, la riforma, che intende considerare indice di comportamenti passibili di licenziamento le assenze prima e dopo il week end e nei giorni festivi ed affidare all’Inps i controlli, vuole affidare ai dirigenti l’obiettivo, da valutare ai fini del risultato, di ridurre l’incidenza delle assenze nei propri uffici. Come se i dirigenti avessero la possibilità di mettere in discussione i certificati medici o disporre di chissà quali altre armi, che non siano l’organizzazione e la motivazione, per far produrre i loro collaboratori.
Sarebbe interessante vedere riforme che si occupano di un’introduzione larghissima di tele lavoro, vista la quantità molto ampia di mansioni consistenti in attività di caricamento dati nella PA, perfettamente realizzabili da remoto. Sarebbe interessante vedere riforme che pensino alla riqualificazione del personale: c’è stata l’occasione strapersa della diaspora imposta a 15.000 dipendenti provinciali, che potevano, ad esempio, essere formati per potenziare di molto i servizi ispettivi del lavoro ed i centri per l’impiego e, invece, sono stati lasciati andar via in mille rivoli, senza una strategia, senza un’organizzazione, senza un centesimo investito in formazione ed aggiornamento professionale. Sarebbe, ancora, interessante vedere norme volte a ridurre gli obblighi formali burocratici, invece accresciuti a dismisura negli ultimi anni, in particolare dalle leggi sull’anticorruzione, la trasparenza e gli appalti, che senza aver ridotto per nulla la corruzione ed avendo inchiodato gli appalti, hanno solo accresciuto adempimenti formali, sottraendo ore e ore di lavoro a fini ben più utili. Sarebbe stato interessante un investimento sulle capacità dei dirigenti di fare da organizzatori veri del lavoro pubblico, liberi da spoil system ed ingerenze della politica che li vuole cooptare come propri accoliti, per trasformare quella dirigenziale da funzione servente la politica a funzione servile della politica.
Torniamo a citare Verbaro, dall’articolo citato: “Serve un’inversione di rotta sulle tendenze negative segnalate. Centrale è il ruolo del dirigente. E non come sorvegliante, come è stato richiamato nella normativa più recente, ma come organizzatore di risorse umane e programmatore delle attività. Sottratto alla fiduciarietà politica e pienamente responsabile, però, della gestione e dei suoi risultati”.
Servirebbero le cose indicate sopra, che nella riforma non ci sono. Anzi, l’insistenza sulla riduzione delle assenze porterà inevitabilmente a contratti collettivi che introducano come elemento per “premiare” i dipendenti la loro presenza in servizio. Che è quello che avviene in maniera diffusissima nel privato (vedi qui). Ma, nel lavoro pubblico, legare i premi o gli incentivi alla presenza in servizio, a parte che fa saltare sulla sedia i giudici della Corte dei conti con i quali la Madia ed i sindacati dovrebbero fare i conti prima di stipulare contratti scellerati, sembra francamente un atto di tracotanza verso la comunità amministrata.
Su questa strada, insomma, l’azione della Madia, presentata come alternativa a quella di Brunetta, ne segue la medesima agenda, sia pure con accenti magari diversi. E si continua a girare intorno ai problemi senza mai risolverli.

Nessun tag inserito.

Torna in alto