Le dimissioni di Raffaele Cantone
Ma queste dimissioni, al netto degli eccessi di personalismo, avvengono in un momento in cui, dobbiamo riconoscerlo, si è rivelata la inadeguatezza del “modello italiano” di contrasto alla corruzione che ha avuto modo di dispiegarsi indisturbato, per oltre cinque anni, senza riuscire a incidere in modo significativo sul fenomeno corruttivo, ottenendo l’effetto singolare di intimorire gli operatori amministrativi più che i protagonisti del malaffare, che continuano a operare, come leggiamo dalle cronache, persino nei livelli più alti del sistema, nonostante le benevole statistiche autologiche prodotte dalla stessa autorità, sorprendentemente e inspiegabilmente attiva nella improponibile dimostrazione del miglioramento della situazione.
Il modello di prevenzione da noi in uso é soltanto italiano e si fonda sulla promozione del sospetto (l’ONU promuove invece la diffusione della “buona fede”), sulla centralità della direzione in un’autorità (negli altri Paesi il “sistema” si compone delle diverse amministrazioni, come era previsto nel disegno di legge originario, non di una sola autorità) e sulla pretesa di contrastare un fenomeno profondo e radicato, come la corruzione, con algoritmi, adempimenti, prescrizioni e sanzioni. E con la produzione di studi, grafici, slides e statistiche sulla “percezione”, disattese dalla realtà dei fatti.
Una delle prime preoccupazioni dell’Autorità, espressa con la deliberazione 146/2014, è stata quella di lamentarsi per l’assenza di un “potere sanzionatorio”. E tale potere, laddove è stato esercitato, non ha colpito i “corrotti”, ma amministratori e funzionari inadempienti, soprattutto tra gli stessi responsabili della prevenzione che avrebbero dovuto rappresentare la “rete” della prevenzione. E talvolta lo ha fatto con accanimento, senza rispetto per la difficoltà del ruolo rivestito.
Questa preoccupazione della comminazione delle sanzioni, piuttosto che della promozione della “buona amministrazione” è presente nelle recenti “linee guida” sul conflitto di interessi, nelle quali, buona parte del documento è dedicata più alla elencazione degli interventi sanzionatori che alla esplicitazione delle modalità utili al funzionamento della pubblica amministrazione.
È proprio quest’ultimo punto che è sembrato in aperta collusione con la “politica di prevenzione”, tanto da spingere al dilemma: adempiere o funzionare?
Non sono pochi casi in cui l’azione amministrativa si è paralizzata sotto il peso dell’incertezza normativa e del timore della sanzione, ma soprattutto per l’assenza di un “referente collaborativo” a cui richiedere il necessario sostegno per assicurare il funzionamento, che dovrebbe essere il fine primario dell’attività delle pubbliche amministrazioni.
Questo modello rigoroso, formalista e disinteressato sui fini da perseguire, ma attento agli adempimenti e alle statistiche, ha prodotto una reazione che, come accade, è scomposta ed emotiva che ha portato alla produzione di norme finalizzate a neutralizzare la pesantezza degli adempimenti tortuosi e persino l’Autorità.
In un contesto del genere, sarebbe stato saggio che il Presidente avesse rassicurato gli animi promuovendo un’azione coordinata finalizzata allo snellimento, salvaguardando l’attività di prevenzione: ma così non è stato.
Anzi, quasi in sintonia con il clima di scontro presente nel Paese, non sono mancate le dichiarazioni in cui, da parte dell’Autorità, tradendo le aspettative di imparzialità, si esprimevano giudizi di natura politica, come se i problemi di attuazione delle politiche di prevenzione dipendessero tutte da un Governo appena nato, trascurando il fatto (per dirne una) che la giustizia amministrativa, negli ultimi anni, si è trovata ad affrontare più di mille giudizi aventi come oggetto l’interpretazione delle linee guida (come si può rilevare dal sito istituzionale).
E adesso?
Adesso c’è da augurarsi che l’ANAC non venga “smontata”, ma al contrario che se ne riscopra il vero ruolo che non è quello del guardiano degli adempimenti, ma di soggetto promotore della “buona amministrazione”, promuovendo la fiducia e non il sospetto, valorizzando i funzionari impegnati nella prevenzione della corruzione, sostenendo le amministrazioni più “difficili” e soprattutto, facendo rete con tutti quei dipendenti che, a titolo personale, credono nella legalità, ma sono isolati o persino vessati proprio da chi dovrebbe tutelarli.
C’é da augurarsi che faccia meno ricorso a esperti o accademici, che non hanno mai diretto un ufficio o aggiudicato un appalto, per dare spazio a numerosi funzionari e dirigenti di valore che possono dare contributi autorevoli e fattivi per il conseguimento della missione istituzionale.
C’é da augurarsi, soprattutto che possa riprendere il dialogo collaborativo tra le pubbliche amministrazioni, a sostegno di chi opera in prima linea e ridimensionando il ruolo di chi, ritenendosi esperto e sovraordinato, anche quando non lo é, senza alcuna responsabilità di risultato, impone adempimenti e prescrive obblighi, anche in contrasto con le norme di legge, oltre che con il buon senso.
C’é da augurarsi… che torni il buon senso, il dialogo e il rispetto reciproco al posto del conflitto tra le istituzioni
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