tratto da quotidianopa.leggiditalia.it

Il consigliere comunale non è tra gli organi legittimati a proporre richieste di parere alla Corte dei conti in materia di contabilità. Organi legittimati a proporre richieste.

di Cristina Montanari – Responsabile dell’Area Finanziaria-Tributi del Comune di Albinea e Responsabile Servizio Gestione Crediti dell’Unione dei Comuni Colline Matildiche

Esaminando i profili di ricevibilità e ammissibilità di alcune richieste di parere ai sensi dell’art. 7, comma 8, L. 5 giugno 2003, n. 131, il magistrato contabile ne dichiara l’inammissibilità sotto il profilo soggettivo poiché provenienti da un consigliere comunale, piuttosto che dal Responsabile del Servizio di Polizia Municipale del Comune, soggetti non legittimati a sollecitare l’attività consultiva del giudice dei conti: si tratta, in particolare, delle deliberazioni 11 giugno 2018, nn. 98 e 99, pronunciate dalla Corte dei conti-Abruzzo.

La norma, come noto, innovando nel sistema delle tradizionali funzioni della Corte dei conti, ha previsto che gli enti locali possono chiedere pareri in materia di contabilità pubblica alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti.

L’attività consultiva di cui trattasi, la cui funzione si caratterizza per essere d’ausilio al sistema degli enti locali nel suo complesso, flessibilizza, com è evidente, il rapporto tra gli enti e la Corte, costituendo la punta più avanzata degli strumenti collaborativi nel promuovere l’adeguata applicazione della normativa mediante la prevenzione di comportamenti irregolari; l’ausilio che viene offerto si configura, quindi, nei suoi presupposti soggettivi ed oggettivi, come collaborazione istituzionale con il sistema degli enti locali finalizzata alla tutela della regolarità contabile e finanziaria.

Giova però ricordare, al riguardo, che a prescindere dal nomen utilizzato nella richiesta formulata (richiesta di parere, ovvero di collaborazione, atteso che il contenuto non può che essere una richiesta di parere in materia di contabilità pubblica), questa, intesa come “atto propulsivo volto ad eccitare l’esercizio della funzione consultiva da parte di un organo magistratuale che agisce in posizione di neutralità in un contesto di attribuzione di natura collaborativa nell’interesse generale del sistema delle autonomie locali” (definizione della Sezione Regionale di controllo della Corte dei Conti per la Liguria, giusto parere n. 1/2004), è una facoltà attribuita dal legislatore:

a) alle Regioni, che la esercitano direttamente;

b) a Comuni, Province e Città metropolitane, le cui richieste sono formulate, di norma, tramite il Consiglio delle autonomie locali, se istituito.

La legittimazione, dunque, è circoscritta ai soli enti previsti dalla norma, la cui elencazione (Regioni, Comuni, Province, Città metropolitane) riproduce letteralmente quella dell’art. 114 Cost., nel testo sostituito dall’art. 1L. costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, della quale l’art. 7, comma 8, L. n. 131 del 2003, è norma d’attuazione.

La funzione consultiva della Corte dei conti, dunque, trova un generale apprezzamento dagli enti locali, che ad essa possono rivolgersi per chiedere pareri in materia di contabilità pubblica; la ratio della norma, è offrire al sistema delle Autonomie una consulenza qualificata da parte di una magistratura specializzata per competenza in materia di contabilità pubblica, ed effettuata dalla Sezione Regionale del Controllo quale organo naturaliter deputato a cogliere le peculiarità degli ordinamenti locali; la sua finalità, quindi, non è fornire un servizio di consulenza amministrativa a favore dei soggetti interni al sistema delle Autonomie, né dare risposte a quesiti specifici (mera consulenza amministrativa su singoli atti), ma garantire al predetto sistema una funzione consultiva al livello istituzionale, qualificata:

a) soggettivamente dalla natura della Corte-Organo/Istituzione indipendente e neutrale, date la sua natura e collocazione costituzionale;

b) oggettivamente, perché trattasi di consulenza a livello istituzionale sull’interpretazione di norme, e non a livello tecnico sulla legittimità di singoli atti.

La Corte assume dunque, nei confronti di regioni ed enti locali, non la funzione di organo di consulenza generale tout court ma, conformemente alla missione affidata, quella di consulenza nella materia di contabilità pubblica; in altri termini: l’ambito oggettivo della funzione consultiva assegnata alle Sezioni Regionali di Controllo è la “materia di contabilità pubblica”.

L’attività consultiva svolta dal magistrato contabile è destinata a dispiegare i suoi effetti sulla linea di condotta amministrativa dell’Ente richiedente, e da ciò discende la necessità che la richiesta sia espressione di una chiara volontà dell’Amministrazione, con la conseguenza che non potranno essere prese in esame istanze provenienti da soggetti (organi) non rappresentativi dell’Ente, ancorché investiti di compiti amministrativi aventi rilevanza esterna, ovvero di organi interni di controllo; scelta, peraltro, di natura squisitamente istituzionale, che non preclude né sminuisce il ruolo e la funzione degli organi di vertice tecnico-amministrativi dell’Amministrazione, e avente anche il fine d’evitare il rischio di una disorganica pluralità di richieste provenienti dalla medesima P.A.

La legittimazione attiva ad impegnare verso l’esterno l’Ente locale, in particolare verso istituzioni costituzionalmente rilevanti come la Corte dei conti, infatti, non può che individuarsi con criteri di stretta interpretazione, limitandone pertanto la portata al solo organo di rappresentanza esterna, da un lato, e al massimo organo deliberativo, ossia il Consiglio (e per esso il suo Presidente), dall’altro, entrambi espressione della volontà di vertice dell’Ente.

Atteso che referenti della Corte sono gli organi assembleari elettivi, o, quanto meno, gli organi titolari del potere d’indirizzo politico-amministrativo, ovvero i massimi responsabili dell’Amministrazione, limitazione posta in considerazione della natura delle attribuzioni di competenza di detti organi, è fuor di dubbio pertanto, e costituisce ormai jus receptum, che l’Autorità politica di vertice dell’Ente interessato, quindi il Sindaco, ovvero il Presidente della Provincia, piuttosto che il Presidente della Regione, quale capo dell’Amministrazione, possa attivare la funzione consultiva della Corte; in altri termini: la richiesta di parere dev’essere sottoscritta dal Presidente della Regione, dal Sindaco o dal Presidente dell’Amministrazione provinciale e, nel caso di pareri richiesti dal Consiglio regionale o dai Consigli provinciali o comunali, dai rispettivi presidenti, poiché esclusivamente i rappresentanti degli enti possono ritenersi abilitati a promuovere l’attività consultiva della Corte, quali massimi responsabili dell’amministrazione della Regione, del Comune e della Provincia, o del funzionamento dei rispettivi consigli; è poi stato ulteriormente precisato che la richiesta, da parte di tali soggetti, è da accogliere ancorché la sottoscrizione non sia per esteso, ovvero sia illeggibile.

Da quanto sopra esposto discende l’ammissibilità soggettiva delle richieste provenienti solo dalla rappresentanza istituzionale, proprio per la finalità di consulenza all’Ente in chiave di collaborazione istituzionale: infatti, solo la collaborazione istituzionale, e non quella tecnica, è tale da poter orientare l’indirizzo del soggetto richiedente e dell’intero sistema delle Autonomie, e ciò prescinde dalle concrete e contingenti vicende istituzionali dalle quali la richiesta di parere scaturisce.

Pertanto, individuati gli Enti, il passaggio successivo riguarda chi, al loro interno, possa legittimamente richiedere i pareri in esame, precisando al riguardo, tuttavia, che la legge non dispone in proposito, anche se la generica indicazione testuale di regioni, comuni, città metropolitane e province può ben essere intesa riferita agli organi assembleari elettivi; ad ogni buon conto sul tema, oltre ad esprimersi la dottrina, la Corte dei Conti ha delineato precisi indirizzi attraverso le proprie deliberazioni, tra cui quelle in commento.

Secondo la magistratura contabile, è fuor di dubbio che il Sindaco, quale capo dell’Amministrazione a cui, oltre alla rappresentanza unitaria dell’Ente, spetta il compito di sovrintendere al funzionamento degli uffici e dei servizi, ex art. 50D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, possa considerarsi legittimato a richiedere, con propria autonoma decisione, la pronuncia consultiva della Corte, senza che occorra al riguardo una preventiva delibera di autorizzazione della Giunta o del Consiglio; ugualmente, il Commissario prefettizio, il quale esercita anche le funzioni del Sindaco in forza dell’art. 141, comma 3, TUEL, è ammesso a proporre quesiti (Corte dei Conti-Sardegna, deliberazione n. 6 del 2004 del 27 luglio 2004); è stato altresì ammesso, sotto il profilo della legittimazione soggettiva, il quesito di un Sindaco inoltrato dal segretario comunale, atteso che quest’ultimo si era limitato ad effettuare la mera trasmissione della richiesta formulata dall’organo politico, alla stregua di un semplice nuncius della volontà da lui manifestata (Corte dei Conti-Campania, deliberazione n. 2 del 2005 del 24 aprile 2005).

Quindi, verificato che le richieste di parere avanzate dagli enti sono considerate ammissibili solo se provenienti dall’organo rappresentativo, in coerenza con la caratterizzazione istituzionale e non tecnica della funzione, i pronunciamenti in esame concludono per il difetto di legittimazione del richiedente e, per questo, ritengono l’istanza inammissibile poiché non sottoscritta dal legale rappresentante dell’ente locale ai sensi di legge.

Conclusivamente, ancorché proveniente da soggetto legittimato a sollecitare l’attività consultiva della Corte dei conti ai sensi dell’art. 7, comma 8, L. n. 131 del 2003 (il Comune), non sono ammesse le richieste provenienti da organi non a ciò abilitati, quali: i consiglieri comunali, i revisori dei conti, il segretario comunale, i dirigenti/responsabili di area/servizio.

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